Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10621 del 12/02/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 10621 Anno 2014
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato dal
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Messina

nel procedimento nei confronti di
Cannavò Concetta, nata a Messina il 03/06/1959

nonché sul ricorso presentato dalla stessa Cannavò Concetta, innanzi
generalizzata,

avverso l’ordinanza del 02/08/2013 del Tribunale di Messina;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Maria
Giuseppina Fodaroni, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità di tutti i ricorsi
per sopravvenuta carenza di interesse;
udito per l’indagata l’avv. Alessandro Billè, che ha concluso associandosi alla
richiesta del P.G.

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Data Udienza: 12/02/2014

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di Messina, adito ai sensi dell’art.
309 cod. proc. pen., confermava il provvedimento del 09/07/2013 con il quale il
Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale aveva disposto
l’applicazione della misura degli arresti domiciliari nei confronti di Concetta
Cannavò in relazione ai reati di cui agli artt. 416 cod. pen.; 81, 110, 314 cod.

33), 34) e 39), per avere fatto parte di un’associazione per delinquere finalizzata
alla commissione di una pluralità di reati di peculato e truffa aggravata,
commessi mediante il percepimento di denaro pubblico a seguito della
presentazione di progetti di corsi e del successivo deposito di documentazione
mendace; nonché per avere concorso nella consumazione dei relativi anzidetti
reati fine.
Rilevava il Tribunale come gli elementi acquisiti durante le indagini avessero
dimostrato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagata,
anche se i fatti oggetto di addebito rubricati ai sensi dell’art. 314 cod. pen.
dovevano essere qualificati in termini di truffa aggravata e non anche di
peculato, in quanto l’erogazione di fondi regionali in misura maggiorata era
avvenuta, anche per le quote di acconto, sulla base di quanto chiesto e
rappresentato fraudolentemente dalla associazione beneficiaria.

2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso il Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di Messina il quale, sottolineata l’esistenza del proprio
interesse ad impugnare, ha denunciato la violazione di legge, in relazione agli
artt. 640, 640 bis e 314 cod. pen., ed il vizio di motivazione, per avere il
Tribunale del riesame erroneamente qualificato i fatti oggetto di accertamento
giudiziale, posto che per le somme ricevute dall’associazione, alla cui operatività
la Cannavò avevano contribuito, a titolo di primo e di secondo acconto ) erano
state liquidate senza alcuna verifica da parte degli uffici regionali, chiamati ad
effettuare un controllo solo sulla documentazione giustificativa delle spese
sostenute, prodotta in sede di rendicontazione con la richiesta finale, talché le
somme del finanziamento pubblico ricevute dall’indagato, oggetto di
appropriazione, erano già entrate nel possesso o nella disponibilità dell’incaricato
di pubblico servizio, e la successiva condotta di produzione di documentazione
fraudolenta non era stata finalizzata a permettere quell’appropriazione ma a
giustificarla formalmente ex post.

2

pen.; 61 n. 2, 81 e 640 bis cod. pen. (di cui ai capi d’imputazione 1), 31), 32),

3. Contro la stessa ordinanza ha presentato ricorso anche la Cannavò, con atto
sottoscritto dai suoi difensori avv. Pietro Carni e avv. Alessandro Billè, la quale
ha dedotto i seguenti quattro motivi.
3.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 640 bis cod. pen. e 273 cod.
proc. pen., per avere il Tribunale omesso di valutare gli argomenti segnalati dalla
indagata a propria difesa, senza considerare che l’erogazione dei finanziamenti
regionali era avvenuta non sulla base di artificiose e mendaci documenti allegati
alla domanda, ma del mancato adempimento dei doveri cui erano tenuti i

regionale era, comunque, garantita dal rilascio di una fideiussione; e senza
precisare quali fossero le singole condotte ascrivibili alla Cannavò.
3.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 416 cod. pen. e 273 cod. proc.
pen., per avere il Tribunale confermato il provvedimento genetico della misura
sulla base di un’erronea lettura delle emergenze procedimentali e senza chiarire
quale fosse stato il ruolo della Cannavò all’interno della descritta organizzazione
criminale.
3.3. Violazione di legge, in relazione ai reati di cui agli artt. 640 bis e 157 cod.
pen., e vizio di motivazione, per avere i Giudici del riesame omesso di
considerare che il reato contestatole al capo 39) risultava consumato il
07/06/2007 e si era, dunque, prescritto al momento della adozione della
ordinanza cautelare.
3.4. Violazione di legge, in relazione all’art. 275 cod. proc. pen., per avere il
Tribunale mancato di motivare le ragioni per le quali l’indagata, che è
incensurata, non avrebbe potuto beneficiare, al termine del giudizio, della
concessione della sospensione condizionale della pena, e per avere sostenuto
l’esistenza del pericolo di recidiva; e senza considerare che i reati oggetto di
addebito risultavano commessi nel lontano periodo 2007 e che la Cannavò (alla
quale non erano soggettivamente riferibili gli esiti delle più recenti intercettazioni
eseguite dagli inquirenti) da molti anni non era più legale rappresentante della
Lumen e non si occupava né si occupa di formazione professionale.

4. Ritiene la Corte che il ricorso del P.M. sia inammissibile.

4.1. In astratto vi sarebbe stato l’interesse del P.M. ad impugnare in quanto la
questione della corretta qualificazione giuridica dei fatti accertati avrebbe potuto
avere, nel caso di specie, rilevanti effetti pratici, incidendo sul computo del
termine di durata della custodia cautelare (in senso conforme Sez. 6, n. 48764
del 06/12/2011, Pmt in proc. Leone, Rv. 251569, in relazione ad una fattispecie
nella quale era stato impugnato un provvedimento con cui l’originario reato di

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funzionari pubblici addetti ai controlli; senza tenere conto che l’amministrazione

concussione era stato ‘derubricato’ in quello di violenza privata; e, con
riferimento ad una ipotesi nella quale la questione concerneva la sussistenza di
una circostanza aggravante ad effetto speciale, dal cui riconoscimento sarebbe
potuta conseguire una più lunga durata dei termini di custodia, Sez. 1, n. 25949
del 27/05/2008, P.M. in proc. Minotti e altri, Rv. 240464; contra la sola Sez. 6,
n. 18091 del 08/03/2011, PM in proc. Bellavia, Rv. 250270).
Tuttavia, tale interesse non è più attuale, in quanto l’indagata – dopo la
presentazione del ricorso – è stata rimessa in libertà, talchè è venuto meno il

della individuazione del termine di durata della custodia cautelare.

4.2. Anche il ricorso dell’indagata è inammissibile, avendo la stessa rinunciato
all’impugnazione per sopravvenuta revoca della misura cautelare a suo tempo
applicata.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso non consegue, a norma dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente privata al pagamento in favore
dell’erario delle spese del presente procedimento ed a quello di una somma in
favore della cassa delle ammende, tenuto conto che la rinuncia all’impugnazione
è ascrivibile ad una sopravvenuta carenza di interesse dovuta a circostanze non
imputabili alla prevenuta.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi per sopravvenuta carenza di interesse.
Così deciso il 12/02/2014

bisogno di verificare la correttezza della qualificazione giuridica dei fatti ai fini

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