Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10619 del 12/02/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 10619 Anno 2014
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato da
Genchi Gioacchino, nato a Castelbuono il 22/08/1960

avverso l’ordinanza del 11/06/2013 del Tribunale di Palermo;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Maria
Giuseppina Fodaroni, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito per l’indagato l’avv. Fabio Gaetano Repici, che ha concluso chiedendo
l’annullamento della ordinanza impugnata.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di Palermo, adito con istanza di
riesame presentata ai sensi dell’art. 322 cod. proc. pen., in parziale accoglimento
della impugnazione, annullava il provvedimento del 08/05/2013 con il quale il
Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale aveva disposto

Data Udienza: 12/02/2014

l’applicazione della misura cautelare reale del sequestro preventivo di tutti i
supporti informatici contenenti la banca dati denominata Teseo nella disponibilità
di Gioacchino Genchi, indagato in relazione ai reati di cui agli artt. 167 d.lgs. n.
196 del 2003 e 323 cod. pen., e, per l’effetto, disponeva la restituzione di quei
supporti all’avente diritto “una volta svuotati del contenuto rappresentato dalla
banca dati medesima”; nel contempo, dichiarava la inammissibilità della
anzidetta istanza di riesame, presentata dal Genchi, per la parte concernente il
sequestro preventivo della stessa banca dati.

l’impugnazione dell’indagato fosse inammissibile per difetto di legittimazione, in
quanto avanzata da un soggetto che non era titolare di alcun interesse
giuridicamente tutelabile alla restituzione di dati informatici detenuti
illegalmente; e come, invece, il riesame dovesse essere accolto in relazione ai
meri supporti informatici, ‘contenitori’ sui quali, una volta svuotati del relativo
‘contenuto’, non vi era ragione di mantenere un vincolo giuridico adottato con la
finalità di scongiurare pericolo della perpetrazione di altri reati, rischio
riconoscibile esclusivamente con riferimento alla libera disponibilità dei dati
memorizzati in quei supporti.

2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso il Genchi, con atto sottoscritto
da uno dei suoi due difensori, l’avv. Massimo Motisi, il quale ha dedotto i
seguenti due motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 321, 322 e 324 cod. proc. pen.,
per avere il Tribunale del riesame, violando i limiti posti al suo potere
decisionale, di fatto mantenuto il sequestro preventivo sulla banca dati Teseo con
finalità chiaramente ablatorie, dunque per ragioni diverse da quelle che il P.M.
aveva rappresentato nella sua originaria richiesta cautelare e che erano state
fatte proprie dal G.i.p. con il decreto genetico della misura reale.
2.2. Violazione di legge, in relazione all’art. 125, comma 3, co. proc. pen., per
avere il Tribunale di Palermo omesso del tutto di motivare in ordine ai numerosi
argomenti fattuali che la difesa dell’indagato aveva evidenziato allo scopo di
dimostrare la insussistenza degli elementi costitutivi dei reati ipotizzati e,
dunque, del requisito del fumus necessario per l’adozione della misura cautelare
in questione.

3. Ritiene la Corte che il ricorso sia inammissibile.

Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio
secondo il quale nel sistema processuale penale la nozione di interesse ad

2

vl

Rilevava il Tribunale come, con riferimento alla considerata banca dati,

impugnare non può essere basata sul mero concetto di soccombenza – a
differenza delle impugnazioni civili che presuppongono un processo di tipo
contenzioso, quindi una lite intesa come conflitto di interessi contrapposti – ma
va piuttosto individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità
negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di
svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella,
positiva, del conseguimento di un’utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa
rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il

Rv. 251693). Dunque, l’interesse richiesto dall’art. 568, comma 4, cod. proc.
pen., quale condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, deve essere
correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste
soltanto se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione di un
provvedimento pregiudizievole, una situazione immediata più vantaggiosa per
l’impugnante rispetto a quella esistente (Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, Rv.
203093; Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, Rv. 202269; Sez. U, n. 6563 del
16/03/1994, Rv. 197535).
Alla luce di tale regula iuris deve escludersi che l’odierno ricorrente abbia un
interesse concreto ed attuale ad impugnare l’ordinanza gravata, tenuto conto che

i supporti informatici, dei quali il Tribunale del riesame aveva disposto il
dissequestro, sono stati successivamente sottoposti a sequestro probatorio per
iniziativa del P.M. titolare delle indagini, con provvedimento anch’esso sottoposto
ad autonoma impugnazione da parte dell’indagato, ma divenuto definitivo a
seguito di adozione, in data odierna, da parte di questa Corte i di una sentenza di
rigetto del ricorso presentato dal Genchi avverso all’ordinanza del Tribunale di
conferma del vincolo per finalità probatorie.
In tale ottica è ininfluente che lo stesso Collegio avesse disposto la restituzione
di quei supporti previa eliminazione del relativo contenuto, trattandosi di
provvedimento, quello di “svuotamento”, non autonomamente impugnabile per il
principio di tassatività dei mezzi di impugnazione.

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso non consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento in favore
dell’erario delle spese del presente procedimento ed al pagamento di una somma
in favore della cassa delle ammende (113~1i2i, in quanto la inammissibilità
è dovuta ad una causa sopravvenuta – quella, appunto, della definitività di altro
provvedimento di sequestro dei medesimi beni – non imputabile all’odierno
ricorrente.

3

9-)

sistema normativo (così, di recente, Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, Marinaj,

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.

Così deciso il 12/02/2014

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