Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10577 del 05/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 10577 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ROMANUT GIORGIO N. IL 21/11/1961
avverso la sentenza n. 700/2011 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
02/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO
era e in persona

Udito i er la parte civile, l’Avv

Data Udienza: 05/11/2013

udito il PG in persona del sost. proc. gen. dott. S. Spinaci, che ha chiesto dichiararsi
inammissibile il ricorso,
udito il difensore, avv. R. Braida che si è riportato ai motivi di ricorso e ha fatto presente che,
comunque, il reato risulta prescritto.
RITENUTO IN FATTO

2. Ricorre per cassazione il difensore e deduce carenza dell’apparato motivazionale in
relazione alle differenti condotte descritte nel capo d’imputazione, vale a dire alla tenuta dei
libri e delle altre scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del
patrimonio della società e in particolare alla omissione della tenuta del libro degli inventari e
del libro dei cespiti ammortizzabili, libri non rinvenuti dal curatore fallimentare; alla emissione
di fatture prive di una chiara indicazione delle merci cedute; alla omissione dell’aggiornamento
della contabilità.
3. Deduce ancora carenze dell’apparato motivazionale in ordine alla generalizzata
condotta di cui all’articolo 216 L F, al fatto che sono state richiamate in sentenza circostanze
irrilevanti, ovvero non dimostrate, ovvero non contestate all’imputato e, infine, con riferimento
alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato.
4. Quanto alla prima censura, il ricorso sostiene che, sulla base delle stesse parole del
curatore, risulta che, dalla consultazione dei brogliacci, è emerso comunque il riscontro dei
beni strumentali di proprietà della azienda, delle merci e dei beni inventariati ceduti nell’ultimo
periodo. Il diverso assunto che si legge in sentenza, dunque, è frutto di un travisamento delle
parole del curatore stesso. D’altra parte, la moderna dottrina è la più accorsata giurisprudenza
danno rilievo alle scritture non ufficiali quando esse si risolvano in vantaggio dell’imputato. Ne
consegue che, a tutto voler concedere, ci si troverebbe in presenza della fattispecie criminosa
di cui all’articolo 217 comma secondo L F.
4.1. Quanto al fatto che le fatture sarebbero state emesse con modalità prive di una
chiara indicazione delle merci cedute, era stato rappresentato al giudice d’appello che ciò fu
conseguenza del fatto che l’impiegata amministrativa che aveva curato, nei primi anni, la
contabilità non era più alle dipendenze della SNC, con la conseguenza che ella era stata
sostituita da altro dipendente, meno esperto.
4.2. Quanto al mancato aggiornamento della contabilità (libro giornale e registri Iva),
non è emerso con chiarezza dal dibattimento che ciò si sia effettivamente verificato. Lo stesso
curatore ha rilasciato dichiarazioni equivoche. In realtà, nella sua terza relazione, lo stesso ha
affermato che le schede contabili furono depositate in cancelleria il 28 marzo del 2001.
Peraltro, sempre al curatore, fu consegnato l’elaboratore con il quale era stata tenuta la
contabilità; ne consegue che, dal momento della consegna del predetto macchinario,
evidentemente, l’imputato non poteva più operare sulla contabilità stessa.
4.3. Quanto alla censura relativa alla manifesta illogicità della motivazione in relazione
“alla generalizzata condotta di cui all’articolo 216 L F”, nel ricorso si afferma che, dato per
scontato che la documentazione fu trovata ammassata e in disordine in uno scantinato, da ciò
è arbitrario ritenere che la stessa sia stata tenuta in maniera irregolare e in particolare allo
scopo di rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento di affari della
società.
4.4. Va poi considerato che la sentenza addebita al Romanut la mancata tenuta della
contabilità del magazzino, contabilità che, data la dimensione dell’azienda, non era
obbligatoria; addebita anche la mancata tenuta dei bilanci 1999 e 2000, dimenticando che il
fallimento fu dichiarato il 16 gennaio 2001 e che quindi era impossibile che il bilancio dell’anno
precedente fosse già stato redatto e che, per quel che riguarda il 1999, la circostanza non è
emersa e quindi non poteva essere contestata all’imputato.

1. Con la sentenza di cui in epigrafe, la corte di appello di Trieste ha confermato la
pronunzia di primo grado con la quale Romanut Giorgio fu condannato alla pena di giustizia
perché riconosciuto colpevole del delitto di bancarotta fraudolenta documentale in relazione al
fallimento della SNC TRESS , dichiarato con sentenza del 16 gennaio 2001.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e non merita, pertanto, di essere accolto. Il ricorrente,
conseguentemente, va condannato alle spese del grado.
2. Secondo quanto si legge in sentenza, il curatore ha riferito circa una documentazione
contabile esigua, frammentaria, quanto mai disorganizzata. Essa fu trovata ammassata in uno
scantinato, in assoluto disordine. Gran parte delle scritture erano peraltro illeggibili. Da ciò il
curatore ha tratto la conclusione che era impossibile ricostruire il patrimonio della società e il
movimento di affari. In particolare (cfr. pag. 3 della sentenza), il curatore ha lamentato il fatto
che mancassero completamente i cosiddetti dati contabili storici e la relativa documentazione,
di talché non è stato possibile ricostruire l’inizio dell’attività commerciale. La sentenza
evidenzia come il curatore abbia poi ancora lamentato la mancanza di aggiornamenti, la
mancanza del registro dei cespiti, la mancanza di annotazioni sulle merci in magazzino, la
impossibilità di ricostruire la giacenze di magazzino attraverso le fatture. Lo stesso curatore ha
tuttavia posto in evidenza, come si legge a pag. 4 della sentenza, che fino al 1999 le fatture
comunque erano redatte “in chiaro”; a far tempo da quella data, viceversa, le fatture furono
redatte a stock e ciò non aveva consentito il controllo dello scarto tra il valore di mercato delle
merci vendute e il valore effettivo di realizzo. In particolare viene posta in evidenza una
vendita per la ragguardevole somma di lire 470 milioni, avvenuta a favore della ditta KEVCO
Inc di Fortworth (USA), con spedizioni effettuate tra il 1 febbraio e il 28 dicembre del 2000
(vale a dire nell’imminenza del fallimento), senza che siano risultate reperibili né le bolle
doganali relative all’esportazione dei pagamenti tramite banca, né l’ulteriore documentazione.
Trattasi di vendita a stock e quindi senza una chiara indicazione del quantitativo di merci, in
difetto di riscontro di pagamento e delle corrispondenti bolle doganali. L’episodio viene
ritenuto, non illogicamente, sintomatico della volontà di non contabilizzare, ovvero di
contabilizzare in maniera del tutto sommaria (e quindi difficilmente decifrabile), le operazioni
condotte nell’imminenza del fallimento, operazioni, a seguito delle quali, il magazzino veniva
ad essere svuotato.
2.1. È evidente che, di fronte a tali macroscopiche carenze, il fatto che la contabilità sia
stata tenuta da impiegati più o meno abili ed esperti non può giustificare minimamente
l’eventuale omissione del titolare dell’azienda, sul quale, comunque, in ultima analisi, grava
l’onere della corretta tenuta delle scritture e della contabilità.
2.2. Quale dunque che fosse il regime contabile alla cui osservanza era tenuta la SNC,
sta di fatto che le mancate annotazioni sui movimenti di magazzino, unitamente considerate in
relazione al complessivo disordine contabile, assumono, nell’ottica della sentenza impugnata,
una funzione strumentale, che contribuisce in maniera sensibile alla mancata intelligibilità
dell’intera situazione contabile e patrimoniale della TRESS.
2.3. Tanto premesso, il mancato deposito dei bilanci del 1999 e del 2000, pur
ammettendo che la circostanza fosse dovuta a situazioni sulle quali l’imputato non poteva
agire, assume un valore del tutto marginale, nel senso che, anche se, con riferimento a tali
condotte, il Romanut andasse esente da rimprovero, ciò nondimeno il quadro probatorio
emerso a suo carico non ne risulterebbe sostanzialmente scalfito.

4.5. Quanto alla vendita a stock, ancora una volta, si tratta di circostanza non
contestata nel capo d’imputazione, ma emersa soltanto nel corso della motivazione e sulla
quale l’imputato non ha potuto articolare alcuna difesa. Per altro, sintomo più evidente di
confusione di dati e di concetti è il fatto che, in un passo della sentenza, si afferma che i crediti
della società non sono stati riportati in bilancio e che essi sono individuabili solamente sulla
base della insinuazione al passivo dei creditori. È evidente che chi si insinua al passivo è
appunto un creditore e che quindi la sua posizione è correlata ai debiti, non ai crediti della
società.
4.6. Quanto infine all’elemento psicologico, è da notare che il giudice di secondo grado
ravvisa la sussistenza del dolo sulla base della ricordata vendita a stock e sul fatto che sarebbe
stata omessa la tenuta contabile di alcuni libri aziendali. Come già detto, si tratta di
circostanze non chiaramente emerse o, comunque, non contestate e che quindi non potevano
essere poste dai giudici di merito a fondamento del loro convincimento in ordine alla
sussistenza dell’elemento psicologico del reato.

3. Per quel che riguarda la pretesa mancanza di coincidenza tra contestazione e
sentenza, con riferimento alle cosiddette vendite a stock, si deve rilevare che nel capo di
imputazione è contestata la condotta in base alla quale, dal dicembre 1999, furono emesse
fatture prive di una chiara indicazione delle merci cedute. Si tratta, appunto, della vendita in
blocco, senza che la fattura indicasse partitamente natura, consistenza e quantità della merce
venduta. Questo e non altro sta a significare vendita a stock. Si tratta -dunque- di circostanza
contestata all’imputato e che, per mera comodità di esposizione, viene sintetizzata in sentenza
con la dizione sopra ricordata e ingiustamente criticata nel ricorso (appunto “vendita a stock”).
La denunciata carenza dunque non sussiste.
4. La mancanza di fondamento di tale doglianza si ripercuote, in considerazione della
stessa struttura dell’ultima censura, sulla ratio della censura stessa, in base alla quale si è
sostenuta la mancanza di motivazione circa la sussistenza dell’elemento psicologico del reato
contestato.
5. La prescrizione maturerebbe in data 8.12.2013, in virtù della sospensione di giorni
145 verificatasi in primo grado.
PQM
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Così deciso in Roma, in data 5 novembre 2013.

2.4. Così come inànfluente è l’evidente lapsus calami nel quale cade il giudice di
secondo grado quando afferma che “i crediti” possono essere solo ricostruiti sulla base della
insinuazione dei creditori. È di tutta evidenza che l’estensore della sentenza intendesse riferirsi
“ai debiti” della TRESS (e quindi ai corrispondenti crediti dei soggetti nei confronti dei quali la
SNC era rimasta obbligata).

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