Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10572 del 05/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 10572 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VIRGONE ELEONORA N. IL 20/11/1945
nei confronti di:
FREDIANI ELISEO N. IL 27/01/1954
avverso la sentenza n. 2698/2009 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
18/03/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere
Dott. MAURIZIO FUMO
. .

Udito, per la sarte civile, l’Avv

Data Udienza: 05/11/2013

udito il PG in persona del sost. proc. gen. dott. S. Spinaci che ha chiesto annullamento con
rinvio al giudice civile,
udito il difensore della parte civile, avv. S. Del Corso, che ha illustrato il ricorso e ne ha chiesto
l’accoglimento,
udito il difensore dell’imputato, avv. G. Flora che ha concluso per la inammissibilità o il rigetto
del ricorso

1. La corte d’appello di Firenze, con la sentenza di cui in epigrafe, in totale riforma della
pronuncia di primo grado (tribunale di Pisa 12 marzo 2009), ha assolto (perché il fatto non
sussiste) Frediani Eliseo dai reati a lui ascritti (artt. 348-494 cp, per avere esercitato
abusivamente la professione di architetto per lavori commissionati, tra gli altri, dai coniugi
Bonario Mario e Virgone Eleonora, nonché da Mazzarosa Antonio, pur non possedendo la
speciale abilitazione dello Stato, e per aver indotto in errore i predetti, attribuendosi la qualifica
di architetto, per la quale è richiesta una speciale abilitazione).
1.1. Ha ritenuto la corte fiorentina che l’imputato si sia sempre presentato come
“architetto di interni”, qualifica professionale conseguita in Francia. Lo stesso, dunque, non ha
abusivamente esercitato la professione di architetto, né si è attribuito un falso status, anche
perché, per la progettazione e l’esecuzione dei lavori, l’imputato si è sempre avvalso della
collaborazione di altri professionisti.
2. Ricorre per cassazione il difensore della parte civile, Virgone Elena, e deduce la mera
apparenza della motivazione, atteso che la corte d’appello ha utilizzato per la sua decisione
dati fattuali del tutto travisati e in aperto contrasto con quanto motivatamente ritenuto dalla
sentenza di primo grado (testimonianza, non solo della parte civile, ma anche di Rossini,
Chiantini, Fiore, Mazzarosa e Adami). Frediani si presentava come architetto e, con tale
qualifica, assumeva gli incarichi professionali. La sentenza di primo grado evidenzia come
l’imputato abbia elaborato progetti architettonici, ad esempio, per una villa da costruire ex
novo, emettendo poi le relative fatture. Di contro, il giudice di secondo grado fa affermazioni
apodittiche, che non “smontano” la struttura argomentativa della sentenza del tribunale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento.

RILEVATO IN FATTO

2. Va innanzitutto ricordato che la sentenza di appello che riforma integralmente la
sentenza di primo grado, deve confutare specificamente, per non incorrere nel vizio di
motivazione, le ragioni poste a sostegno della decisione riformata, dimostrando puntualmente
l’insostenibilità -sul piano logico e giuridico- degli argomenti più rilevanti ivi contenuti, anche
avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve
quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione
riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata a
elementi di prova diversi o diversamente valutati.
2.1. Il principio, affermato con riferimento alla sentenza di condanna che intervenga in
secondo grado, a fronte di sentenza assolutoria del primo giudice (cfr. S.U. sent. n. 33748 del
2005, RV 231679 + ASN 200842033-RV 242330 + ASN 201118081- RV 250248 e altre), deve
trovare applicazione anche nel caso opposto (assoluzione che segua a condanna), vigendo la
eadem rado, vale a dire la necessità che il secondo giudice scardini “dalle fondamenta”
l’impianto argomentativo sul quale il primo giudicante ha fondato la sua decisione.
2.2. Ebbene, la sentenza di secondo grado, connotata da una sinteticità espositiva e da
una approssimazione argomentativa davvero rimarchevoli, non fa nulla di tutto ciò. Essa si
limita a sostenere, apoditticamente, che Frediani non si fregiò mai del titolo di architetto
(avendo sempre specificato che egli era “architetto di interni”, avendo conseguito tale titolo in
Francia) e non aveva mai redatto progetti architettonici, facendosi sempre “affiancare” da
professionisti abilitati in Italia.
2.3. Con ciò, tuttavia, la corte fiorentina ha completamente ignorato le evidenze t
probatorie prese in considerazione dal tribunale di Pisa, evidenze che possono essere così

semplicemente elencate: dichiarazioni dei committenti, dichiarazioni di coloro che, a vario
titolo, collaborarono col Frediani, fatture e notule emesse dal Frediani, atto di citazione redatto
nell’interesse del predetto, nel quale all’imputato si attribuiva la “totale ideazione e
progettazione delle componenti architettoniche [di una villa}… ad eccezione del mero
scheletro…, ecc”.
2.4. Si tratta di emergenze probatorie che la corte di merito ha ignorato o, per meglio
dire, ha dovuto ignorare per giungere all’epilogo decisorio favorevole all’appellante.
Orbene: non è dubbio che si ha sostituzione di persona quando l’agente si attribuisce
falsamente una qualità o uno status. Così dicasi per la qualifica di sacerdote (ASN 200841142RV 241590), per quella di dipendente di una ditta (ASN 201044955-RV 248731), di una
associazione di servizio (ASN 200408670-RV 228743) e, ovviamente, per quella di esercente
una professione legalmente riconosciuta (ASN 199903645-RV 212950), atteso che la legge
ricollega a detta qualità gli effetti giuridici tipici della corrispondente professione intellettuale.
Non è necessario che il fatto tenda all’illegale esercizio della professione; né importa che miri
alla mera soddisfazione di una vanità personale, essendo sufficiente che venga coscientemente
voluto e sia idoneo a trarre in inganno la fede pubblica.
2.5. Nella fattispecie allora in esame, l’imputato, spacciandosi, appunto, per architetto,
si era fatto consegnare materiale edile, rimasto impagato.
3. La sentenza di primo grado, citando il contributo di numerosi testi, ha rilevato che il
Frediani “giocava sull’equivoco”, qualificandosi, a volte, “architetto di interni”, altre volte,
semplicemente “architetto”. Viene anche ricordato il contenuto di alcuni articoli giornalistici, nei
quali si esaltava la professionalità (e le realizzazioni) “dell’architetto Frediani”. Emergenze tutte
semplicemente -ancora una volta- ignorate dalla corte toscana.
4. Parimenti ignorati sono stati gli elementi probatori in base ai quali il primo giudice
ebbe motivatamente a ritenere che il Frediani aveva effettivamente operato come architetto
(giungendo sino a dirigere i lavori in cantiere) e non come un arredatore “artistico” di ambienti
da altri progettati e realizzati. Conseguenza di tale usurpazione di funzioni professionali fu
anche rappresentadalla realizzazione di un manufatto connotato da evidenti difetti costruttivi,
come rilevato dal geometra Cei e dall’architetto (non di interni) Agonigi (cfr. sent. primo grado
fol. 5).
6. Conclusivamente, si deve rilevare che, a fronte di una motivazione compiuta e
congrua, esibita dal primo giudicante, che, sulla base di precisi dati fattuali, logicamente
interpretati, è giunte alla affermazione di responsabilità del Frediani per entrambi i reati a lui
ascritti, il giudice di appello si è limitato a smentire frontalmente, ma sterilmente e, come si è
premesso, apoditticamente i le conclusioni cui era giunto il tribunale, negando o ignorando
precise emergenze processuali
6.1. La sentenza della corte di appello di Firenze merita pertanto di essere annullata con
rinvio. In considerazione del fatto che l’impugnazione proviene dalla sola parte civile,
l’annullamento è limitato, appunto, agli effetti civili e il rinvio va operato al giudice civile
competente per valore in grado di appello.
PQM
annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di
appello.
Così deciso in Roma, in data 5 novembre 2013.

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