Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10533 del 19/12/2013
Penale Sent. Sez. 4 Num. 10533 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MATUOZZO FRANCESCO N. IL 28/11/1968
avverso l’ordinanza n. 212/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
18/09/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO
MASSAFRA;
lette/mtar-le conclusioni del PG Dott.
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60412 ji Pigi Uditi difens Avv.; , 2 ,,t4 2,1r 4"A /r4 Data Udienza: 19/12/2013 Ritenuto in fatto
Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di Matuozzo Francesco avverso l'ordinanza emessa in data 18.9.2012 dalla Corte di Appello di Napoli con la quale
veniva rigettata l'istanza di riparazione dell'ingiusta detenzione subita dal predetto
Matuozzo in forza di ordinanza custodiale del G.i.p. del Tribunale di Napoli perché
indagato dei reati di cui agli artt. 416 bis, 513 bis e 629 c.p. e 12 quinquies L. 356/92
dai quali era stato poi assolto per non aver commesso il fatto con sentenza
irrevocabile del G.u.p. del Tribunale di Napoli. con colpa grave, all'emissione del provvedimento restrittivo disposto nei suoi confronti
e che pertanto non poteva essere liquidata alcuna somma a titolo di riparazione per
ingiusta detenzione.
Il ricorrente deduce che la Corte territoriale non ha adeguatamente motivato in ordine
alla sussistenza del presupposto del dolo e della colpa grave del richiedente che
rappresenta la causa impeditiva per il riconoscimento dell'indennizzo dell'ingiusta
detenzione subita.
Il Procuratore generale in sede, all'esito dell'articolata requisitoria scritta, ha concluso,
nel merito, per il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.
La Suprema Corte ha ritenuto che "in tema di riparazione per ingiusta detenzione il
giudice di merito deve valutare se chi l'ha patita vi abbia dato o concorso a darvi
causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo,
tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza
di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o
violazione di norme o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito
motivazione, che se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Il
giudice deve fondare la deliberazione conclusiva su fatti concreti e precisi e non su
mere supposizioni, esaminando la condotta del richiedente, sia prima e sia dopo la
perdita della libertà personale, indipendentemente dall'eventuale conoscenza che
quest'ultimo abbia avuto dell'attività d'indagine, al fine di stabilire, con
valutazione ex ante, non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia
stato il presupposto che ha ingenerato, ancorché in presenza di errore dell'autorità
procedente, la falsa apparenza della sua configurazione come illecito penale, dando
luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto" (Cass. pen. Sez. Un.
26.6.2002 n. 34559 Rv. 222263).
Inoltre, è stato affermato che la nozione di colpa grave di cui all'art. 314 comma 1
c.p.p. va individuata in quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere,
per evidente, macroscopica, negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di 2 La Corte di Appello rigettava l'istanza ritenendo che il richiedente aveva contribuito, leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non
voluta ma prevedibile ragione di intervento dell'autorità giudiziaria, che si sostanzi
nell'adozione o nel mantenimento di un provvedimento restrittivo della libertà
personale (tra le altre, Cass. pen. Sez. IV, 15.2.2007, n. 10987, Rv. 236508).
Nel caso di specie l'ordinanza impugnata applica correttamente tali principi; né sono
rilevanti le censure mosse che richiamano argomentazioni e circostanze di fatto
peraltro ignote, come riconosce lo stesso difensore, sia al giudice della cautela sia a
quello della riparazione e, quindi, a fortiori inconoscibili da questa Corte di legittimità. riconoscere l'indennizzo per la ingiusta detenzione subita dal richiedente con
motivazione adeguata e dopo aver verificato che la condotta del ricorrente era stata il
presupposto che aveva ingenerato, ancorché in presenza di errore dell'autorità
procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando
luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto.
Dagli atti del procedimento e dalla stessa sentenza irrevocabile di assoluzione
dell'istante, emergeva, infatti, che il ricorrente era stato nominato formalmente
amministratore di una società commerciale utilizzata dal clan camorristico dei casalesi
per imporre, nel territorio di riferimento, le proprie strategie produttive e commerciali.
La sentenza assolutoria era stata emessa in quanto l'istante, nell'attività della indicata
società, non aveva compiuto alcun atto formale di amministratore della società
limitandosi a svolgere, all'interno della stessa, il ruolo di autista. L'istante era quindi
consapevole del ruolo rivestito all'interno della società ed aveva accettato di svolgere
il ruolo formale di amministratore della stessa, consentendo così a coloro che di fatto
gestivano la società di perpetrare i loro affari illeciti. Si riteneva, quindi, che il
ricorrente, mantenendo una condotta gravemente colposa consistita nell'avere dato il
proprio consenso alla nomina di amministratore di una società, gestita di fatto da
appartenente ad un pericoloso clan camorristico (e quindi deliberatamente offrendo
copertura alla gestione del sodalizio criminoso), avesse mantenuto un contegno che
avvalorava le accuse mosse nei suoi confronti e contribuito a determinare le In particolare, la Corte di Appello ha ritenuto la sussistenza dei presupposti per non condizioni per l'adozione ed il mantenimento del provvedimento restrittivo per il quale
si chiedeva il riconoscimento del diritto alla riparazione che non è concedibile ai sensi
dell'art. 314 comma 1 c.p.p.
Tanto si pone in perfetta sintonia con l'orientamento di questa Corte di cassazione
laddove ha ritenuto che, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, il
comportamento passivo del connivente può integrare gli estremi della colpa grave,
ostativa al diritto alla liquidazione qualora lo stesso risulti aver agevolato la
consumazione del reato (Sez. IV, n. 40297 del 10.6.2008, Rv. 241325). Del pari, si è
ritenuto che valga ad integrare gli estremi della colpa grave ostativa al
riconoscimento del diritto, la condotta di chi, nei reati contestati in concorso, abbia
3 q4 tenuto, pur consapevole dell'attività criminale altrui, comportamenti percepibili come
indicativi di una sua contiguità (Sez. IV, n. 45418 del 25.11.2010, Rv. 249237).
Il ricorso va, pertanto, rigettato e, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., a tale pronuncia deve
seguire la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 19.12.2013.