Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10527 del 27/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 10527 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: FOTI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE
nei confronti di:
ARRIAGADAS RAMOS ALEANDRO OMAR N. IL 07/06/1954
avverso l’ordinanza n. 129/2009 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 01/03/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

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Data Udienza: 27/11/2013

-1- L’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Reggio Calabria e l’Avvocatura Generale
dello Stato propongono, nell’interesse del Ministero dell’Economia, ricorso per cassazione
avverso l’ordinanza della Corte d’Appello di Reggio Calabria, del 10 marzo 2011, che ha
accolto l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione proposta da Anigadas Ramos
Aleandro Omar, al quale è stata liquidata, a titolo riparatorio, la somma complessiva di euro
178.515,74 per 757 giorni di carcerazione ingiustamente sofferta.
L’Arrigadas, imputato ex artt. 74 e 73 del d.p.r. n, 309/90, è stato assolto dal Tribunale di
Reggio Calabria per non avere commesso il fatto, non essendo stato ritenuto utilizzabile il
contenuto della corrispondenza carceraria dell’imputato, in quanto indebitamente acquisita,
su disposizione del procuratore della Repubblica, non essendo stata la stessa, all’epoca delle
indagini, sottoposta al visto di controllo previsto dalla legge sull’ordinamento penitenziario.
Il giudice della riparazione ha osservato che nessun comportamento doloso o gravemente
colposo poteva attribuirsi al richiedente, poiché l’affermata inutilizzabilità della citata
corrispondenza, di natura patologica, spiegava i propri effetti anche nella sede riparatoria.
-2- Ricorre, dunque, l’Avvocatura avverso detta decisone, deducendo i vizi di violazione di
legge e di motivazione del provvedimento impugnato con riguardo sia all’ “an” che al
“quantum”.
Sotto il primo profilo, si sostiene nel ricorso che la corte territoriale sarebbe incorsa nel
difetto di motivazione, non avendo tenuto conto delle relazioni intrattenute dall’Arriagada,
tra i mesi di settembre e di dicembre 2002, allorché si trovava ristretto presso la casa
circondariale di Bologna, con tali Biagini Franco e Gutierrez Paolo Antonio, ristretti presso
la casa circondariale di Prato, ambedue coinvolti nel traffico di stupefacenti ed il secondo
imputato con l’Arriagadas in altro processo.
Sotto il secondo profilo, si sostiene che, nel caso di specie, non potrebbe utilizzarsi il
criterio aritmetico. Poiché tale criterio è preordinato al ristoro di tutti i danni ipotizzabili
(anche di ordine personale e familiare), in mancanza di dimostrazione dell’esistenza di
ulteriori danni, l’indennizzo da accordare per la sola detenzione andava congruamente
ridotto. Si sostiene, infine, che il comportamento dell’istante avrebbe dovuto quantomeno
esser considerato sotto il profilo della colpa lieve, della quale avrebbe dovuto tenersi conto
ai fini di una congrua riduzione dell’indennizzo. Avrebbe anche dovuto tenersi conto, agli
stessi fini, del precedenti penali dell’Arriagada, proprio in materia di traffico di stupefacenti.
Considerato in diritto.
Il ricorso è infondato.
-1- Sotto il profilo dell’ “an”, invero, il giudice della riparazione ha correttamente applicato
i principi di diritto affermati da questa Corte in tema di inutilizzabilità di prove acquisite
indebitamente e di effetti preclusivi che la stessa produce anche in sede di giudizio
riparatorio.
Principi, peraltro, non contestati dall’Avvocatura ricorrente, che si limita a richiamare i
contatti epistolari intercorsi tra l’Arriagadas e soggetti dediti al narcotraffico, sia pure,
sembra di capire, per evidenziarne i rapporti con tali personaggi, senza considerare, tuttavia,
che, per ritenere rilevanti tali rapporti in termini di dolo o colpa grave, ex art. 314 cod. proc.
pen., occorre utilizzare i contenuti di quella corrispondenza, viceversa dichiarati
inutilizzabili nella sede di cognizione, non presentando, in sé, il semplice rapporto epistolare
rilievo alcuno ai fini intesi dal ricorrente. Sul punto, la corte territoriale ha adeguatamente
motivato proprio ricordando l’inutilizzabilità dei contenuti della citata corrispondenza.

Ritenuto in fatto.

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-2- Analoga infondatezza presentano le censure concernenti il “quantum” liquidato.
In tema di individuazione dei criteri da seguire nella determinazione dell’equo indennizzo,
questa Corte, ritenutone il carattere indennitario e non risarcitorio, ha costantemente
affermato che la liquidazione dello stesso si deve basare su una valutazione equitativa che
tenga globalmente conto sia della durata della custodia cautelare sia, e non marginalmente,
delle conseguenze personali e familiari scaturite dalla privazione della libertà. Con
riferimento alla durata della carcerazione, il criterio di riferimento per il calcolo
dell’indennizzo è stato individuato in quello aritmetico, che tiene conto della durata della
carcerazione ed è costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo di cui all’art.
315, comma secondo, cod. proc. pen. e il termine massimo della custodia cautelare di cui
all’art. 303, comma quarto, lett. c), espresso in giorni, moltiplicato per il periodo, anch’esso
espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita. Calcolo grazie al quale si perviene alla
individuazione della somma liquidabile di circa 235,00 euro per ogni giorno di detenzione in
carcere, comprensiva di tutte le negative conseguenze generalmente derivanti dalla
carcerazione, ridotta alla metà nel caso di arresti domiciliari, in vista della loro minore
afflittività rispetto alla detenzione in carcere. Detto criterio, che risponde all’esigenza di
garantire, nei diversi contesti territoriali, un trattamento tendenzialmente uniforme, non
esime, tuttavia, il giudice dall’obbligo di valutare le specificità, positive o negative, di
ciascun caso e, quindi, dall’integrare opportunamente tale criterio, innalzando ovvero
riducendo il risultato del calcolo aritmetico per rendere la decisione il più equa possibile e
rispondente alle diverse situazioni sottoposte al suo esame.
Orbene, a tali principi, che questa Corte pienamente condivide, si è uniformata la corte
territoriale che, tenuto conto della durata della detenzione, delle modalità di esecuzione della
stessa, delle conseguenze determinate dall’applicazione della misura, ha adeguatamente e
coerentemente motivato le ragioni della propria decisione, pervenendo ad una liquidazione
equa, quale risultante dall’applicazione del criterio aritmetico, non avendo colto la presenza
di elementi che potessero autorizzare una riduzione delle somme liquidabili in applicazione
del richiamato criterio.
L’indennizzo liquidato si presenta, quindi, adeguato e coerente rispetto ai principi
affermati da questa Corte, non avendo, peraltro, indicato l’Avvocatura ricorrente le ragioni
per le quali esso avrebbe dovuto essere inferiore rispetto a quello generalmente accordato,
generici dovendosi ritenere i riferimenti, nel ricorso, ai danni di natura personale e familiare
(che la giurisprudenza di questa Corte ritiene sempre presenti, seppur diversamente incidenti
a seconda della eventuale presenza di particolari situazioni che giustifichino la riduzione o
anche l’aumento dell’indennizzo calcolato secondo il parametro aritmetico), laddove non
viene spiegato perché, nel caso dell’Arriagadas, assenti o di minor rilievo sarebbero tali
danni.
Ugualmente generici, o non pertinenti, si presentano i riferimenti, nel ricorso, alla colpa
lieve ed ai precedenti penali di costui, ove si consideri, quanto alla prima, che la presenza di
tali profili potrebbe solo emergere dall’esame dei contenuti, non utilizzabili, della citata
corrispondenza; quanto ai secondi, che essi non assumono rilievo posto che, ai fini
riparatori, la colpa rilevabile è quella che concerne condotte comportamenti attuali
comunque riferibili alla vicenda processuale definita con la sentenza assolutoria.
Occorre, peraltro, rilevare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il controllo di
legittimità della somma liquidata a titolo di riparazione non può concretizzarsi in un
sindacato sulla sufficienza o insufficienza della stessa, essendo tale controllo limitato alla
verifica della congruità e logicità della motivazione e della coerenza dei criteri adottati;
caratteri che l’ordinanza impugnata certamente presenta.

-3- Il ricorso deve essere, in conclusione, rigettato ed il Ministro ricorrente condannato al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il Ministero ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 27 novembre 2013.

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