Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10516 del 12/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 10516 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: ESPOSITO LUCIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FICARA SEBASTIANO N. IL 23/12/1985
avverso l’ordinanza n. 37/2010 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 05/04/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;
lette/sepkife le conclusioni del PG Dott. V: co D ‘ A
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Uditi difepr Avv.;

Data Udienza: 12/11/2013

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza in data 5/4/2011 la Corte di Appello di Reggio Calabria rigettava la
richiesta di riparazione proposta da Ficara Sebastiano per l’ingiusta detenzione
sofferta dal 14/11/2009 al 17/11/2009 in carcere e, successivamente, fino al
3/12/2009, agli arresti domiciliari quale indagato per il reato di cui all’art. 73 DPR
309/90 (cui era seguite, in data 4/1/2009, decreto di archiviazione del GIP).

comportamento tenuto dal Ficara, accertato a seguito del rinvenimento, nei mobili
colL1
n
della camera da letto dei genitori del predetto, di alcuni reperti che if ricara
dichiarava essere nella sua esclusiva disponibilità, e, precisamente, di un bilancino
di precisione, di un involucro contenente 7 grammi di hashish, di due bustine
contenenti rispettivamente gr. 120 e gr. 452 di polvere bianca utilizzata come
sostanza da taglio per stupefacente del tipo cocaina o eroina, di gr 30 di sostanza
bianca risultata essere fenacetina. Il GIP, nel revocare la misura cautelare, aveva
affermato che non poteva escludersi che la sostanza stupefacente detenuta fosse
destinata all’uso personale.
Rilevava la Corte territoriale che la colpa grave era ravvisabile nella condotta del
Ficara in ragione della detenzione della notevole quantità di sostanza da taglio e del
bilancino, atta a far ritenere agli inquirenti la destinazione dello stupefacente
rinvenuto all’uso di terzi.
3. Avverso la richiamata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Ficara, a
mezzo del difensore, deducendo violazione di legge e vizio motivazionale in
relazione alla sussistenza di colpa grave idonea a dare causa all’ingiusta detenzione.
Rileva che i giudici territoriali avevano seguito un’interpretazione troppo ampia
dell’art. 314 c.p.p., sì da far coincidere il concetto di colpa grave con quello di
gravità indiziaria. Evidenzia l’assenza di individuazione di comportamenti censurabili
del ricorrente dotati di un ruolo causale con riguardo all’emissione della misura
cautelare, risolvendosi il percorso motivazionale nella rivalutazione dello stesso
compendio probatorio stimato insufficiente dal Gip che dispose l’archiviazione del
procedimento.
3.1.Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92
c.p.c. in relazione all’art. 360 n.3 e 5 c.p.c. Osserva che i giudici del merito, nel
provvedere sulle spese del giudizio, hanno applicato il principio della soccombenza
senza spiegare perché non sussistessero le condizioni per una compensazione delle
spese.
4. Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta, ha rilevato l’infondatezza
del ricorso, chiedendone il rigetto. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha
prodotto in data 9/11/2013 propria memoria illustrativa.
2

2.La Corte ravvisava colpa grave, ostativa al riconoscimento dell’indennizzo, nel

Considerato in diritto

5. Il ricorso è manifestamente infondato, per le ragioni di seguito esposte.
Come è noto, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di
merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa
con dolo o colpa grave, deve valutare, in modo autonomo e completo, tutti gli
elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di
condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione

se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Al riguardo, il giudice
deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta
tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine
di stabilire, con valutazione ex ante – e secondo un iter logico motivazionale del
tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale
condotta integri estremi di reato ma solo se sia stata il presupposto che abbia
ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa
apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla
detenzione con rapporto di “causa ad effetto” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 34559 del
26/06/2002, dep. 15/10/2002, De Benedictis, Rv. 222263). Il giudice della
riparazione, cioè, ben può rivalutare, ai fini dell’accertamento del diritto alla
riparazione e non della penale responsabilità, i fatti accertati o non esclusi dai
giudici del merito (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 27397 del 10/06/2010,
dep. 14/07/2010, Rv. 247867). La giurisprudenza di legittimità, inoltre, ha chiarito
che il piano valutativo del tutto diverso tra le condotte da considerare per la
sussistenza delle condizioni per la liquidazione dell’equo indennizzo e gli elementi
posti a base della decisione da parte del giudice della cognizione dimostra che tutti
gli elementi probatori devono essere rivalutati, in quanto, pur se ritenuti
insufficienti ai fini della dichiarazione di responsabilità, possono essere tali da
configurare il dolo o la colpa grave, soprattutto nel momento dell’emissione della
misura cautelare personale (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 10987 del 15/02/2007,
dep. 15/03/2007, Rv. 236508). Condotte rilevanti in tal senso possono essere di
tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato
l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (autoincolpazione,
silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal
giudice della cognizione.
5.1 Ciò premesso, il motivo d’impugnazione si palesa manifestamente infondato,
giacché correttamente i giudici del merito hanno rilevato la sussistenza in capo al
ricorrente della colpa grave ostativa alla concessione dell’indennizzo, in conformità
ai parametri giurisprudenziali suindicati.
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di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che,

6. Ed invero la Corte territoriale, con congrua motivazione, ha adeguatamente
considerato utili a configurare la colpa grave ostativa all’indennizzo condotte poste
in essere dal ricorrente con grave leggerezza o trascuratezza, idonee ad indurre
l’autorità giudiziaria all’adozione del provvedimento restrittivo. Tali condotte sono
state ravvisate nella detenzione presso il domicilio, unitamente allo stupefacente, di
cospicue quantità di sostanze da taglio, oltre a uno strumento per la misurazione di
precisione: materiali idonei a creare l’apparenza di un apparato finalizzato al
commercio di stupefacente, con la conseguenza di indurre a ipotizzare la

6.1.A fronte degli enunciati rilievi, nessuna decisiva pregnanza assume la notazione
in forza della quale sarebbe stato preso in considerazione ai fini della riparazione lo
stesso compendio probatorio stimato insufficiente dal Gip che dispose
l’archiviazione del procedimento, poiché tale compendio viene in considerazione, ai
fini che qui interessano, sotto il profilo del contributo causale all’adozione della
misura limitativa della libertà personale e non già sotto il profilo della rilevanza
indiziaria in funzione dell’affermazione della responsabilità penale. Né, ai fini della
valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti per la riparazione, può
assumere rilevanza alcuna la circostanza relativa all’esatta coincidenza delle
condotte ritenute colpose con gli indizi rilevanti per l’accertamento in sede penale,
poiché tali elementi sono tenuti in considerazione a fini essenzialmente diversi.
7.Del pari inammissibile per manifesta infondatezza di appalesa il secondo motivo
di ricorso. Poiché si vede in tema di spese liquidate nell’ambito di un processo (qual
è quello per la riparazione dell’ingiusta detenzione) che concerne una pretesa
essenzialmente civilistica, demandato a un organo che esercita la giurisdizione
penale solo in ragione della contiguità del diritto vantato con il procedimento volto
all’accertamento dei reati, devono ritenersi operanti i principi che regolano le spese
processuali nel giudizio civile, contemplati negli artt. 90 e seg. C.P.C.
Tanto premesso, va osservato che nelle statuizioni adottate dalla Corte territoriale
nel liquidare le spese giudiziali in favore del Ministero convenuto non è ravvisabile
né violazione di legge, né vizio di motivazione. Sotto il primo profilo, non sussiste
contrasto con gli artt. 91 e 92 c.p.c., trattandosi di decisione rispettosa del principio
della soccombenza. Vale richiamare in proposito l’orientamento espresso da questa
corte in materia di spese, secondo il quale “il sindacato di legittimità è limitato alla
violazione del principio per cui esse non possono essere poste interamente a carico
della parte vittoriosa, ma non può riguardare la decisione di compensarle perché si
tratta di una valutazione di merito” (Sez. 3, Sentenza n. 19986 del 05/04/2007 Rv.
236704).Per altro verso, sul fronte del vizio motivazionale pure dedotto, nessuna
violazione è ipotizzabile ove si consideri l’orientamento consolidato nella
giurisprudenza della Cassazione civile in forza del quale la totale soccombenza di

destinazione a terzi anche dell’hashish sequestrato.

una parte determina di regola la sua condanna alle spese processuali, talché,
costituendo fatto eccezionale, “solo la compensazione deve essere sorretta da
motivazione, e non già l’applicazione della regola della soccombenza cui il giudice si
sia uniformato, atteso che il vizio motivazionale ex art. 360, 1 0 comma, n. 5, c.p.c.,
ove ipotizzato, sarebbe relativo a circostanze discrezionalmente valutabili e, perciò,
non costituenti punti decisivi idonei a determinare una decisione diversa da quella
assunta” ( Cass. civ., sez. II, 23-02-2012, n. 2730).

L’inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali ed alla sanzione pecuniaria ex art.616 C.P.P.
Non si fa luogo alla liquidazione delle spese in favore del convenuto Ministero in
ragione della tardività della memoria prodotta, depositata oltre il termine
contemplato per il rito camerale dall’art. 127 c. 2 C.P.P.

P. Q. M.

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 12-11-2013.

7. Per tutte le ragioni indicate il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

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