Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10512 del 27/02/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 10512 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Guerriero Giuseppe n. il 18.8.1966
avverso la sentenza n. 9304/2012 pronunciata dalla Corte d’appello
di Napoli il 18.12.2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 27.2.2014 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. A. Di Popolo, che
ha concluso per l’annullamento senza rinvio per prescrizione.

Data Udienza: 27/02/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con sentenza in data 18.12.2012, la corte d’appello di Napoli ha integralmente confermato la sentenza in data 24.6.2011 con la
quale il tribunale di Nola ha condannato Giuseppe Guerriero alla pena di otto mesi di reclusione in relazione al reato di omicidio colposo
commesso, in violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, ai danni di Giovanni Scimone, in Pomigliano d’Arco il
1.9.2005.
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore,
ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, censurando la pronuncia della corte territoriale per vizio di motivazione e violazione di legge.
In particolare, il ricorrente si duole del travisamento dei fatti
processuali in cui sarebbe incorsa la corte territoriale nel riconoscere
la responsabilità penale dell’imputato, sulla base delle risultanze della relazione tecnica redatta dal consulente del pubblico ministero posta a base del giudizio di colpevolezza pronunciata dai giudici
del merito.
Al riguardo, il ricorrente osserva come proprio l’esame dei
contenuti della relazione tecnica e dei relativi allegati fotografici evidenziasse l’assenza di alcun profilo di rimproverabilita nel comportamento dell’imputato, essendosi quest’ultimo approssimato all’incrocio dove sarebbe avvenuto l’impatto con il motociclo della vittima
a una velocità ridotta e del tutto compatibile con le circostanze contingenti, diligentemente arrestandosi in corrispondenza dell’intersezione stradale, laddove proprio lo Scimone avrebbe determinato, nel
tenere una velocità non consentita, i presupposti per la verificazione
del sinistro.
Sotto altro profilo, il ricorrente si duole dell’eccessiva severità
del trattamento sanzionatorio irrogato all’imputato, nella specie contenibile entro i limiti del minimo edittale.
Considerato in diritto
2. – Il ricorso è manifestamente infondato.
Osserva il collegio come, con le doglianze illustrate nell’atto
d’impugnazione proposto in questa sede, il ricorrente prospetti unicamente una diversa lettura delle risultanze istruttorie acquisite, in
difformità dalla complessiva ricostruzione dei giudici di merito, limi-

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tandosi a dedurre (peraltro, in modo solo generico ed equivoco) i soli
elementi astrattamente idonei a supportare la propria alternativa
rappresentazione del fatto (ivi compresa l’asserita erronea interpretazione delle risultanze della consulenza tecnica richiamata in sentenza), senza tuttavia farsi carico della complessiva riconfigurazione del
teatro e della dinamica del sinistro sulla base di tutti gli elementi
istruttori raccolti, che, viceversa, i giudici del merito hanno ricostruito con adeguata coerenza logica e linearità argomentativa
(sull’integrazione in un unico corpo argomentativo delle sentenze di
primo e di secondo grado concordi nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni,
cfr. Cass., Sez. 1, n. 8868/2000, Rv. 216906 e segg. conformi).
Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale la
modificazione dell’art. 606 lett. e) c.p.p., introdotta dalla legge n.
46/2006 consente la deduzione del vizio del travisamento della prova
là dove si contesti l’introduzione, nella motivazione, di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, ovvero si ometta la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia. Il sindacato della corte di cassazione resta tuttavia quello di sola legittimità, sì che
continua a esulare dai poteri della stessa quello di una rilettura degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche laddove
venga prospettata dal ricorrente una diversa e asseritamente più adeguata valutazione delle risultanze processuali (v., ex multis, Cass.,
Sez. 2, n. 23419/2007, Rv. 236893).
Da ciò consegue che gli “altri atti del processo specificamente
indicati nei motivi di gravame” menzionati dal testo vigente dell’art.
6o6, comma primo, lett. e), c.p.p., non possono che essere quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati anche in relazione all’intero contesto probatorio, avrebbero potuto determinare
una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione
si tramuti in una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito (Cass., Sez. 4, n.
35683/2007, Rv. 237652).
Quanto alla doglianza genericamente avanzata dall’imputato
con riguardo alla pretesa eccessiva severità del trattamento sanzionatorio irrogato a suo carico, rileva il collegio come il ricorrente non ab-

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bia individuato alcuna insufficienza o incongruità nello sviluppo logico della motivazione sul punto dettata nella sentenza impugnata, limitandosi a prospettare questioni di mero fatto o apprezzamenti di
merito incensurabili in questa sede.
Sul punto è sufficiente il richiamo ai princìpi enunciati da questa Corte in materia, là dove, in tema di commisurazione della pena,
quando questa (come nel caso di specie) non si discosti di molto dai
minimi edittali ovvero venga compresa tra il minimo ed il medio edittale, il giudice ottempera all’obbligo motivazionale richiamandosi alla
gravità del reato (cfr. Cass., Sez. 4, n. 41702/2004, Rv. 230278); in
particolare, nell’ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, il giudice ottempera
all’obbligo motivazionale di cui all’art. 125, comma 3, c.p., anche ove
adoperi espressioni come “pena congrua”, “pena equa”, “congruo
aumento”, ovvero si richiami alla gravità del reato o alla personalità
del reo (v. Cass., Sez. 3, n. 33773/2007, Rv. 237402).
Nel caso in esame, la Corte territoriale ha correttamente valutato la congruità del complessivo trattamento sanzionatorio imposto
al Guerriero dal giudice di primo grado, correlando tale giudizio alla
rilevata colpa concorrente della vittima e al favorevole giudizio di bilanciamento delle circostanze effettuata dal tribunale, così radicando,
il conclusivo giudizio espresso sul trattamento sanzionatorio, al ricorso di specifici presupposti di fatto, sulla base di una motivazione in sé
dotata di intrinseca coerenza e logica linearità.
3. – Il riscontro della manifesta infondatezza del ricorso proposto dal Guerriero, nell’attestarne la radicale inammissibilità ai sensi
dell’art. 606, comma 3, c.p.p., impedisce il rilievo dell’eventuale sopravvenienza, a seguito della pronuncia d’appello, di cause di estinzione del reato, ai sensi dell’art. 129 c.p.p..
Sul punto, vale richiamare quanto dedotto dalle Sezioni Unite
di questa Corte sin dalla pronuncia n. 32 del 22 novembre 2000 (Rv.
217266), secondo cui l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi
di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma
dell’art. 129 c.p.p..

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Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27.2.2014.

4. – Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso segue la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

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