Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10463 del 15/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 10463 Anno 2014
Presidente: CASUCCI GIULIANO
Relatore: FIANDANESE FRANCO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di

Faccenda

Carmine, nato a Torino il 14 febbraio 1968, avverso
la sentenza della Corte di Appello di Torino, in
data 4 dicembre 2012, di conferma della sentenza
del G.I.P. del Tribunale di Torino, in data 17
novembre 2011;
Visti gli atti, la sentenza denunziata e il
ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione svolta dal
consigliere dott. Franco Fiandanese;
Udito il pubblico ministero in persona del
sostituto procuratore generale dott.ssa Maria
Giuseppina

Fodaroni,

che

ha

concluso

per

Data Udienza: 15/01/2014

l’inammissibilità del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Torino, con sentenza in data
4 dicembre 2012, confermava la condanna pronunciata
il 17 novembre 2011 dal G.I.P. del Tribunale di

di anni tre mesi quattro di reclusione ed euro
1.800 di multa nei confronti di Faccenda Carmine
dichiarato colpevole del delitto di cui all’art.
643 c.p., perché, abusando dello stato di
deficienza psichica, fragilità e suggestionabilità
di Gai Giuseppina, ottantasettenne, la induceva a
compiere molteplici atti produttivi di effetti
giuridici per lei dannosi e, segnatamente, a
corrispondergli in più occasioni somme di denaro in
contanti o tramite assegni bancari, per una somma
complessiva di almeno centomila euro. Il Faccenda
veniva, altresì, condannato al risarcimento dei
danni in favore della parte civile costituita da
liquidarsi in separato giudizio, con assegnazione
di provvisionale di euro 40.000.
Propone ricorso per cassazione il difensore
inosservanza ed erronea

dell’imputato, deducendo

applicazione delle legge penale in relazione alla
mancata configurazione del fatto criminoso

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Torino, in esito a giudizio abbreviato, alla pena

nell’ipotesi di cui all’art. 640 c.p.

Il ricorrente sostiene che la persona offesa abbia
eseguito i pagamenti al Faccenda nell’erronea
convinzione, determinata dall’inganno da parte
dell’imputato, che il denaro fosse dovuto per

figlia, la quale non aveva provveduto al pagamento.
Inoltre, non emergerebbe la conoscibilità
all’esterno dello

status

di infermità psichica

della persona offesa, necessaria ad integrare il
reato de quo.
MOTIVI DELLA DECISIONE

I motivi di ricorso sono manifestamente infondati
ovvero non consentiti nel giudizio di legittimità e
devono essere dichiarati inammissibili.
La norma incriminatrice di cui all’art 643 cod pen,
non specificando le modalità di condotta
dell’agente concretanti l’abuso, non esige artifici
o raggiri, ma neppure li esclude, con la
conseguenza che, se l’agente pone in atto gli uni o
gli altri, il fatto è pur sempre punibile per il
reato di circonvenzione di incapaci e non per
quello di truffa (Sez. 3, n. 1863 del 23/10/1969,
Foti, Rv. 113308; Sez. 5, n. 299 del 17/02/1970,
Colomo, Rv. 115028). D’altro canto, nel caso di

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lavori di edilizia svolti presso l’abitazione della

specie, la sentenza impugnata, con valutazione di
fatto insindacabile in questa sede di legittimità,
ha ritenuto che “ciò che 111, reso possibile
l’appropriazione, reiterata ed ossessiva, da parte
di Faccenda di così numerose ed ingenti somme di

condizione di fragilità psichica della donna, della
sua incapacità di resistere alle sue perentorie
pretese, della sua labilità di memoria e di
attenzione”.
L’affermazione del ricorrente

;

che non emergerebbe

la conoscibilità all’esterno dello

status

di

infermità psichica della persona offes5è del tutto
generica, non solo perché sfornita della
indicazione di specifici elementi fattuali, ma
anche perché non tiene in alcun conto la
motivazione della sentenza impugnata, che si basa
sulla argomentata relazione del CT del P.M.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p.,
valutati i profili di colpa nella determinazione
della causa di inammissibilità emergenti dal
ricorso, al versamento della somma, che si ritiene
equa, di euro 1000,00 a favore della cassa delle

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denaro è stato l’abuso, l’approfittamento della

ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1000,00 alla cassa delle

Così deciso in Roma il 15 gennaio 2014.

ammende.

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