Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1036 del 25/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 1036 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: SAVANI PIERO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
SEPE NUNZIO N. IL 13/11/1966
avverso la sentenza n. 1404/2012 TRIBUNALE di PISA, del
28/11/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERO SAVANI;

Data Udienza: 25/11/2013

IN FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Pisa applicava a SEPE Nunzio, a norma degli artt. 444
e 448 C.P.P., la pena concordata con il Pubblico Ministero in ordine al delitto di falso in dichiarazione sostitutiva di certificazione, commesso il 20 settembre 2007.
Propone ricorso per cassazione l’imputato che deduce violazione di legge con riferimento alla
qualificazione giuridica dei fatti di rilievo e violazioni processuali relative all’esercizio
dell’azione penale.
Osserva il Collegio che i motivi di ricorso sono destituiti di specificità e comunque manifestamente infondati o per altro verso inammissibili, atteso che il giudice, nell’applicare la pena concordata, si è da un lato adeguato a quanto contenuto nell’accordo tra le parti, e dall’altro ha escluso che ricorressero i presupposti dell’art. 129 C.P.P., facendo riferimento al contenuto degli
atti delle indagini preliminari dimostrativi della falsità della dichiarazione.
E tale motivazione, avuto riguardo alla speciale natura dell’accertamento in sede di applicazione
della pena su richiesta delle parti, appare pienamente adeguata ai parametri richiesti per tale genere di decisioni, secondo la costante giurisprudenza di legittimità (v., tra le altre, Sez. un., u.p.
27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. un., u.p. 27 settembre 1995, Serafino; Sez. un., u.p. 25 novembre 1998, Messina), essendo peraltro precluso dalla scelta del rito all’imputato che abbia patteggiato la pena di contestare gli estremi fattuali dell’imputazione che sulla base della narrativa
del relativo capo è correttamente contestata; irrilevanti poi sempre per la scelta del rito le questioni processuali poste dal ricorrente.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 C.P.P., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e — per i profili di colpa correlati all’irritualità
dell’impugnazione — di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in E. 1.500,00#.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di E. 1.500,00# in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 25 novembre 2013.

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