Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10127 del 22/01/2018

Penale Sent. Sez. 5 Num. 10127 Anno 2018
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: SCOTTI UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A.

avverso la sentenza del 06/07/2017 della CORTE APPELLO di ANCONA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere UMBERTO LUIGI SCOTTI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
FELICETTA MARINELLI, che ha concluso per il rigetto;
udito il difensore, avv. ANNA CANDELORI del Foro di Teramo, che si è
riportata al ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 6/7/2017 la Corte di appello di Ancona, in parziale
riforma della sentenza del 19/9/2014 del Tribunale di Ascoli Piceno, appellata
dall’imputata A.A., nonché dal coimputato K.K., ha assolto
l’imputata dai delitti di cui all’art.594 cod.pen. (capi A e B della rubrica) perché
non più previsti dalla legge come reato e ha rideterminato la pena ad essa inflitta
per i residui reati, avvinti dal vincolo della continuazione, in mesi quattro di
reclusione con il beneficio della non menzione, revocando la condizione dianzi
apposta alla sospensione condizionale già concessa in primo grado, e riducendo
la somma dovuta a titolo di risarcimento del danno alla parte civile, Angelo

Data Udienza: 22/01/2018

C.C., ad € 1.000,00=, con ulteriore condanna al pagamento delle spese del
grado alla parte civile.
Le residue imputazioni a carico della A.A., oggetto di condanna, attenevano
ai reati di cui all’art.581 cod.pen. per una testata al naso della persona offesa
(capo A) e di cui agli artt.610, 582-585 e 612, comma 2, cod.pen. per aver
costretto il C.C. a seguirla, puntandogli un coltello alla schiena e
minacciando di ammazzarlo, per averlo colpito alla testa con una borsetta e per
avergli procurato lesioni alla braccia e alla guancia (contusioni) con fendenti

macchina e di prendersela con sua sorella (capo B).

2. Contro la sentenza del 6/7/2017 e le precedenti ordinanze del 6/4/2017
e del 6/7/2017 della Corte di appello di Ancona, ha proposto ricorso il difensore
di fiducia dell’imputato, avv. Anna Candelori, svolgendo quattro motivi, i primi
due strettamente interdipendenti e pertanto trattati congiuntamente.
2.1. Con il primo motivo proposto

ex art.606, comma 1, lett. b) e c),

cod.proc.pen. la ricorrente denuncia violazione di norme processuali stabilite
a pena di nullità e inutilizzabilità, in relazione agli artt.179, comma 2, 192, 238,
496, 498, 499, 513, 511 e 525, comma 2, 526, e 546, comma 1,
cod.proc.pen., artt.111 Cost. e 6 Cedu.
La ricorrente lamenta violazione del diritto di difesa, al contraddittorio e al
giusto processo, in particolare nella formazione della prova; nullità delle
sentenze di primo e di secondo grado, nullità delle ordinanze del 6/4/2017 e del
6/7/2017 impugnate

ex

art.586 cod.proc.pen.,per violazione e falsa

applicazione delle stesse norme, nonché per violazione dell’art.603, commi 3 e
5, cod.proc.pen.; deduce altresì nullità e inutilizzabilità delle prove dichiarative
riassunte in secondo grado all’udienza del 7/7/2017.
2.2. Con il secondo motivo proposto

ex art.606, comma 1, lett. b) ed

e),

cod.proc.pen. la ricorrente denuncia mera apparenza ovvero contraddittorietà
e manifesta illogicità della motivazione della sentenza di secondo grado, al pari
di quella di primo grado, in relazione agli artt.179, comma 2, 511 cod.proc.pen.,
111 Cost. e 6 CEDU anche in relazione all’art.603, comma 3, cod.proc.pen. per
difetto dei presupposti e dell’art.603, comma 5, per difetto di motivazione
specifica e difetto di contraddittorio.
Sintetizzando quanto più possibile la massiccia e imponente esposizione
delle censure, la ricorrente nella sostanza si duole del rigetto dei propri motivi di
appello procedurali da parte della Corte territoriale esposti con il primo motivo di

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sferrati con il coltello e per averlo minacciato di incendiargli la casa e la

appello, con ulteriori violazioni successive consumate da parte del Giudice del
gravame.
Il Tribunale, prima, e la Corte di appello, poi, avevano utilizzato per la
decisione prove dichiarative inutilizzabili assunte prima del mutamento del
giudice di primo grado, nonostante l’espresso dissenso e l’opposizione della
difesa dell’imputata A.A. e senza il rinnovato esame delle persone che le
avevano rese secondo l’impostazione dialettica dell’esame incrociato, nonché prove

dell’Ospedale di San Benedetto del Tronto del 19/08/2010 e verbale di s.i.t. del
14/9/2010 di V.V.), nonché della deposizione del teste Stefano
Lauretani, risentito a mera conferma delle dichiarazioni rilasciate dinanzi al
«vecchio giudice».
In seguito al mutamento della persona fisica del magistrato, all’udienza del
4/4/2014 la difesa dell’imputata aveva rifiutato il consenso alla lettura degli atti
prevista dal comma 2 dell’art.511 cod.proc.pen., sicché era stato necessario
ripartire dalla fase iniziale di ammissione della prova; il nuovo Giudice aveva
erroneamente posto l’onere della citazione di tutti i testi, inclusi quelli indicati dal
Pubblico Ministero, a carico della difesa della A.A., che, ritenendo illegittima tale
disposizione, aveva però provveduto a citare solo i propri testi, peraltro senza
successo.
Alla successiva udienza del 20/6/2014, dopo la citazione dei testi a cura del
Pubblico Ministero, il nuovo Giudice non aveva consentito la riaudizione dei testi
secondo il metodo dialettico dell’esame incrociato, ignorando i rilievi oppositivi
della difesa che aveva pure eccepito formalmente l’inutilizzabilità delle prove così
assunte.
Il Tribunale di Ascoli Piceno aveva infatti ritenuto e confermato poi in
sentenza tale impostazione, assumendo che non fosse necessario riformulare ai
testi le stesse domande già rivolte loro in precedenza, tanto più che il Pubblico
Ministero aveva prestato il consenso all’utilizzazione delle precedenti deposizioni
e che dovesse semplicemente consentirsi alla difesa dell’imputata A.A., che non
aveva prestato consenso, di proporre al teste nuove domande, facoltà invece
della quale la difesa non aveva inteso avvalersi, ritenendo così sconvolto lo
sviluppo del contraddittorio.
Secondo la ricorrente, invece, ai sensi dell’art.511, comma 2 e 525, comma
2, cod.proc.pen., il rifiuto del consenso e l’opposizione della difesa dell’imputata
avrebbero dovuto determinare la rituale rinnovazione dell’esame incrociato di
tutti i testi, ancorché già escussi, e non semplicemente una possibilità a suo

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documentali non oggetto di nuova produzione (certificato di pronto soccorso

favore di formulare domande aggiuntive. Erano così state utilizzate per la
decisione prove radicalmente inutilizzabili.
A fronte degli errori processuali denunciati con l’appello, la Corte territoriale
aveva disposto la parziale rinnovazione dell’istruttoria con l’ordinanza del
6/4/2017, facendo ricorso impropriamente all’integrazione istruttoria di cui al
comma 3 dell’art.603 cod.proc.pen., senza il rispetto del contraddittorio,
disponendo nuova testimonianza di tre dei quattro testi sentiti in primo grado e con esclusione del teste

conferma delle dichiarazioni rese con la precedente deposizione).
Nella sostanza, nella rinnovata opposizione della difesa dell’imputata che
aveva sistematicamente ribadito il proprio dissenso a tale impostazione
processuale a fronte della nullità assoluta e insanabile concretizzatasi in primo
grado, la Corte di appello riteneva di poter sanare la nullità commessa dal primo
Giudice e di rendere comunque utilizzabili le precedenti dichiarazioni attraverso
la disposta parziale rinnovazione, gestita peraltro attraverso la mera «conferma»
delle dichiarazioni rese dai tre testi dinanzi al «vecchio» giudice di primo grado.
Tale impostazione (mirante a una rinnovazione di istruttoria dibattimentale
del tutto atipica) era comunque erronea perché la decisione del Tribunale di
procedere con la lettura dei verbali senza il consenso dell’imputato non doveva
essere valutata unicamente come una questione attinente alla inutilizzabilità
delle prove, ma come causa di nullità assoluta ripercossasi sulla nullità
dell’intero giudizio di primo grado, non sanabile attraverso la rinnovazione
dell’istruttoria dibattimentale in grado di appello, venendosi così a privare
l’imputato di un grado del giudizio di merito.
La successiva ordinanza del 6/7/2017, con la quale la Corte territoriale
aveva disatteso le eccezioni di nullità della precedente ordinanza, formulate dalla
difesa dell’imputata appellante, rinviando alla sentenza il loro esame, anche ove
fosse stata ammissibile l’integrazione officiosa dell’istruzione dibattimentale, di
cui non esistevano i presupposti, era priva di qualsiasi motivazione in ordine alla
assoluta necessità delle prove dichiarative ed era stata disposta in camera di
consiglio, senza aver previamente invitato le parti a interloquire in proposito.
In ogni caso, la Corte territoriale aveva proceduto all’evidente fine di
realizzare un effetto sanante, limitandosi a richiedere ai testi la conferma delle
precedenti dichiarazioni e lasciando successivamente i testi alle parti, nonostante
la ferma opposizione della difesa dell’imputata risoluta a pretendere l’esame
incrociato prescritto dalla legge.
La Corte marchigiana aveva poi errato nell’affermare che nel caso

in

discussione venivano in rilievo solamente le modalità di assunzione delle prove e

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Lauretani (unico al quale era stata espressamente richiesta in primo grado la

che qualsiasi incertezza circa la posizione dei testi era stata risolta con la nuova
escussione in secondo grado, poiché l’esame dei testi nel processo aveva un
ruolo centrale e poteva essere espletato anche dal giudice di appello solo con le
modalità dialettiche dell’esame incrociato, mai rinunciato e sempre invocato da
parte della difesa dell’imputata, mentre il controesame da parte del soggetto
che non aveva chiesto la prova costituiva una fase solo eventuale e facoltativa.
La ricorrente ribadisce che a fronte della mancanza di consenso di una
parte alla lettura degli atti a seguito del mutamento del giudice, e anzi a fronte

rese, anche in caso di rinnovazione dell’escussione avvenuta senza il rispetto del
sistema di esame incrociato si verifica una nullità assoluta ed insanabile del
giudizio di primo grado, con l’impossibilità di una sanatoria dinanzi alla Corte di
appello tramite rinnovazione parziale dell’istruttoria dibattimentale, per
ripercussione della nullità anche alla sentenza di secondo grado.
La ricorrente lamenta altresì gli ulteriori vizi propri del giudizio di appello
(parziale rinnovazione dell’istruttoria, non motivata e in difetto di contraddittorio,
e nullità della riassunzione delle deposizioni senza il rispetto del sistema di
esame incrociato).
2.3. Con il terzo motivo, proposto

ex

art.606, comma 1, lett.

e),

cod.proc.pen. la ricorrente denuncia mera apparenza della motivazione in ordine
alla ravvisata inattendibilità della persona offesa C.C. e dei testi
F.F. e V.V..
In particolare, la Corte di appello non aveva sottoposto al necessario vaglio
l’attendibilità, soggettiva ed oggettiva, della persona offesa, che non poteva
essere ritratta dal provvedimento di archiviazione della querela sporta nei suoi
confronti dall’imputata, illegittimamente acquisito nonostante l’opposizione della
difesa, di per sé pur sempre suscettibile di revoca e comunque non
accompagnato dai relativi atti di indagine, con violazione dell’art.238
cod.proc.pen.
I riscontri alle dichiarazioni della persona offesa erano del tutto carenti: il
teste V.V. comunque non aveva mai riferito che la A.A. avesse sferrato dei
fendenti con il coltello colpendo il C.C. al braccio; il certificato del Pronto
Soccorso del 19/8/2010 aveva accertato ferite appena accennate,
diagnosticando contusioni lievi a livello di arti superiori e guancia, guaribili in tre
giorni, ossia lesioni incompatibili con l’uso di un mezzo tagliente, il che vulnerava
anche la deposizione del teste V.V. che aveva riferito di una piccola ferita
dell’amico C.C.; la prescrizione dell’antitetanica costituiva una utile
precauzione raccomandata in presenza di qualsiasi ferita e non già
necessariamente di una ferita da taglio; le dichiarazioni del C.C. erano

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del suo espresso dissenso all’utilizzazione delle dichiarazioni precedentemente

inficiate da motivi di astio, rancore e vendetta; vi era sproporzione fisica fra il
prestante C.C. e la piccola e minuta A.A.; elementi tutti che non
consentivano quantomeno di superare la soglia del ragionevole dubbio di
colpevolezza.
2.4. Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. b),
ed

e), cod.proc.pen. la ricorrente lamenta inosservanza degli artt.62 bis e 133

cod.pen. relativamente alla mancata concessione delle attenuanti generiche, in
relazione all’inidoneo apparato argomentativo volto a sorreggere tale

addotti dalla difesa (incensuratezza, personalità non criminale, condizione di
donna sola in paese straniero, precedente relazione sentimentale), sia perché
aveva valorizzato elementi insussistenti o irrilevanti come una certa gravità dei
fatti (ben potendo riconoscersi le attenuanti generiche anche con riferimento a
reati gravi) ovvero l’assenza di segni di resipiscenza, tenuto comparativamente
conto della concessione delle attenuanti generiche all’altro imputato, per cui era
stato significativamente valorizzato quale indice di buon comportamento
processuale il consenso dato all’utilizzo delle dichiarazioni precedentemente rese
dai testi, con evidente implicita attitudine punitiva delle scelte difensive della
A.A. in ordine al mancato consenso alla utilizzazione delle precedenti deposizioni
testimoniali.
Inoltre vi era contrasto fra tale delibazione negativa e quella positiva
operata ai fini della concessione dei benefici della sospensione condizionale della
pena e della non menzione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I primi due motivi, di carattere processuale, sono stati sviluppati
promiscuamente dalla ricorrente e sono in effetti inestricabilmente connessi, sì
da esigere trattazione congiunta da parte del Collegio.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia

violazione di norme processuali

stabilite a pena di nullità e inutilizzabilità, in relazione agli artt.179, comma 2,
192, 238, 496, 498, 499, 513, 511 e 525, comma 2, 526, e 546, comma 1,
cod.proc.pen., artt.111 Cost. e 6 Cedu.
La ricorrente lamenta violazione del diritto di difesa, al contraddittorio e al
giusto processo, in particolare nella formazione della prova; nullità delle
sentenze di primo e di secondo grado, nullità delle ordinanze del 6/4/2017 e del
6/7/2017 impugnate

ex

art.586 cod.proc.pen., per violazione e falsa

applicazione delle stesse norme nonché per violazione dell’art.603, commi 3 e 5,
cod.proc.pen.; deduce altresì nullità e inutilizzabilità delle prove dichiarative

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statuizione, sia perché la Corte di appello non aveva considerato gli elementi

riassunte in secondo grado all’udienza del 7/7/2017 (deposizioni dei testi
C.C., F.F., V.V.).
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia mera apparenza ovvero
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza di
secondo grado, al pari di quella di primo grado, in relazione agli artt.179, comma
2, 511 cod.proc.pen., 111 Cost. e 6 CEDU anche in relazione all’art.603, comma
3, cod.proc.pen. per difetto dei presupposti e dell’art.603, comma 5, per difetto
di motivazione specifica e difetto di contraddittorio.

territoriale dei propri motivi di appello procedurali, esposti con il primo motivo di
appello, con ulteriori violazioni processuali successive consumate direttamente
da parte del Giudice del gravame.
1.1. La prima questione da risolvere attiene all’individuazione del modo
corretto di procedere in caso di sostituzione della persona fisica del giudice e di
rifiuto del consenso alla lettura degli atti prevista dal comma 2 dell’art.511
cod.proc.pen. da parte della difesa dell’imputato.
Secondo una prima impostazione (seguita dal Tribunale di Ascoli in primo
grado) era sufficiente richiamare i testimoni e metterli a disposizione dell’unica
parte, l’imputato, che aveva rifiutato il consenso alla lettura degli atti, per la
formulazione di tutte le domande integrative e chiarificatrici ritenute necessarie,
senza il rinnovo dell’esame, se ritenuto superfluo della parte che aveva indicato
i testi e che aveva dato il proprio consenso alla lettura.
Secondo una diversa impostazione (seguita dalla Corte di appello di Ancona)
era necessario richiamare i testimoni e chieder loro la conferma delle precedenti
dichiarazioni; in caso positivo e in difetto di ulteriori domande provenienti dalla
parte che aveva indicato i testi e che aveva dato il proprio consenso alla
lettura, il teste doveva essere messo a disposizione dell’unica parte, l’imputato,
che aveva rifiutato il consenso alla lettura degli atti, per la formulazione di tutte
le domande integrative e chiarificatrici ritenute necessarie, senza il rinnovo
integrale dell’esame.
Secondo la terza impostazione, su cui insiste la ricorrente, additandola come
l’unica rispettosa della legge processuale, in caso di rifiuto del consenso alla
lettura proveniente da una parte processuale, occorreva procedere alla
integrale riassunzione dei testi, da condursi secondo il metodo dialettico
dell’esame incrociato e neppure attraverso un richiamo

per relationem

delle

precedenti dichiarazioni e la messa a disposizione del teste per la formulazione
di domande aggiuntive della parte che aveva rifiutato il consenso.
1.2. La seconda questione da risolvere attiene alle conseguenze processuali
dell’adozione della scelta non corretta del modo di procedere da parte del

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La ricorrente nella sostanza si duole del rigetto da parte della Corte

giudice di primo grado che abbia adottato la prima impostazione: se cioè le
prove dichiarative in questione siano radicalmente inutilizzabili e se ciò si
ripercuota consequenzialmente, provocando la nullità non sanabile della stessa
sentenza di primo grado, ovvero se il giudice di appello possa provvedere a
sanare il vizio con l’adozione della corretta metodologia di escussione dei testi.
1.3. La terza questione riguarda lo strumento processuale di cui debba
avvalersi il giudice di appello per procedere in tal senso e se a tal fine possa
essere utilizzata la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale

ex

art.603

1.4. E’ opportuno preliminarmente sgombrare il campo da una tematica,
non esente da rilievi da parte della ricorrente, che appunto sottolinea
ripetutamente nel proprio incedere argomentativo che il Tribunale di Ascoli
Piceno, nel disporre la riassunzione dei testimoni, aveva inizialmente posto
l’onere di citazione a carico della difesa dell’imputata, ossia della parte che aveva
negato il consenso alla lettura delle precedenti deposizioni.
Se è innegabile la non correttezza di tale disposizione poiché l’onere della
nuova citazione dei testimoni già escussi, continuava a gravare unicamente sulla
parte che ne aveva originariamente richiesto l’ammissione (Sez. 2, n. 28594 del
11/06/2015, Dessi’ e altri, Rv. 264144), è altrettanto evidente la sua totale
ininfluenza, poiché dopo il rilievo critico della difesa, che si era astenuta dal
citare i testi indicati dal Pubblico Ministero, all’udienza successiva i testimoni
erano stati citati appunto dalla pubblica accusa.
1.5. Altra tematica da cui è opportuno sgomberare il campo in via
preliminare riguarda la doglianza, pure marginalmente introdotta dai motivi di
ricorso, circa la pretesa inutilizzabilità delle prove documentali versate in atti
prima della sostituzione della persona fisica del giudice di primo grado e non
oggetto di nuova produzione (certificato di pronto soccorso dell’Ospedale di San
Benedetto del Tronto del 19/08/2010 e verbale di s.i.t. del 14/9/2010 di V.V.).
E’ evidente che la produzione delle prove documentali non abbisognava di
alcuna rinnovazione, in quanto esse erano state ritualmente acquisite al
dibattimento in forma precostituita, senza necessità del vano formalismo di una
loro «ri-produzione» che la doglianza proposta parrebbe auspicare.
E’ in questa linea di ragionamento che questa Corte ha avuto modo di
precisare che in caso di giudizio abbreviato condizionato, qualora tra la
ammissione al rito alternativo e la successiva celebrazione dell’udienza muti la
persona fisica del giudice, non è necessario richiedere al difensore dell’imputato
il consenso all’utilizzo degli atti già presenti nel fascicolo processuale. In
motivazione, è stato puntualizzato che il suddetto consenso alla rinnovazione

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cod.proc.pen.

degli atti si giustifica soltanto in caso di prove che devono formarsi nel corso del
dibattimento, in ragione della esigenza di salvaguardare il principio di
immediatezza della assunzione della prova dibattimentale da parte del
giudicante, ma non è necessario in caso di prove precostituite, laDdove, anzi,
tale adempimento confliggerebbe con il principio di ragionevole durata del
processo. (Sez. 3, n. 41527 del 15/12/2016 – dep. 2017, Terra, Rv. 270946).
1.6. E’ opportuno poi mettere a fuoco un concetto, ben presente negli
arresti di questa Corte Suprema, che la stessa ricorrente, pur ferma nel

metodo dialettico, mostra di condividere.
Nell’ipotesi di mutamento della composizione dell’organo giudicante, il
principio per il quale le prove precedentemente acquisite non possono essere
direttamente utilizzate mediante lettura dei relativi verbali, in assenza del
consenso delle parti, non implica che, in difetto di consenso, detti verbali
debbano essere stralciati dal fascicolo per il dibattimento di cui fanno parte
integrante, in quanto essi attengono alla documentazione di un’attività
legittimamente compiuta (Sez. 5, n. 52229 del 11/11/2014, Fortunato, Rv.
262122; Sez. 3, n. 50299 del 18/09/2014, S, Rv. 261387; Sez. 1, n. 41095 del
21/09/2004, Scavo, Rv. 230624; Sez. 1, n. 1712 del 15/12/1999 – dep., PG in
proc. Morabito ed altri, Rv. 215290).
Tale orientamento trova riscontro nella giurisprudenza delle Sezioni Unite,
che, con la pronuncia n.2 del 15/1/1999 «Iannasso», ebbero a premettere che
doveva ritenersi ormai indiscussa – anche per effetto di talune pronunce della
Corte costituzionale (sentenza n. 17 del 1994 e ordinanza n. 99 del 1996) – la
legittimità dell’allegazione al fascicolo per il dibattimento dei verbali delle prove
acquisite nel corso dell’istruttoria dibattimentale, svoltasi dinanzi al giudice poi
sostituito. In tali pronunce si affermava infatti che i verbali delle prove assunte
nella pregressa fase dibattimentale «fanno già parte del contenuto del fascicolo
per il dibattimento a disposizione del nuovo giudice» e che quella fase «pur
soggetta a rinnovazione conserva comunque il carattere di attività
legittimamente compiuta»: di talché «non è irragionevole, né lesivo dei principi
di oralità e immediatezza che la medesima, attraverso lo strumento della lettura
(successivamente alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale) entri nel
contraddittorio delle parti e venga recuperata ai fini della decisione».
1.7. A questo punto la Corte deve affrontare la prima questione processuale
posta sul tappeto nel precedente § 1.1.
Le norme di riferimento sono:

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propugnare l’ineludibile necessità della rinnovazione dell’esame dei testimoni con

l’art.526, comma 1, cod.proc.pen., in tema di «Prove utilizzabili ai fini della

deliberazione», secondo il quale il giudice non può utilizzare ai fini della
deliberazione prove diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento.

l’art.511 cod.proc.pen. in tema di «Letture consentite», che, dopo aver

premesso al comma 1, che il giudice, anche di ufficio, dispone che sia data
lettura, integrale o parziale, degli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento,
prevede al comma 2 che la lettura di verbali di dichiarazioni possa essere
disposta solo dopo l’esame della persona che le ha rese, a meno che l’esame non
in luogo della lettura l’equipollente

dell’indicazione specifica da parte del giudice degli atti utilizzabili ai fini della
decisione a meno di espressa richiesta di parte di lettura effettiva di verbali di
dichiarazioni;

l’art.525, comma 2, cod.proc.pen., secondo il quale alla deliberazione

concorrono, a pena di nullità assoluta gli stessi giudici che hanno partecipato al
dibattimento.
1.8. La risposta corretta al primo quesito richiede un’attenta analisi della
giurisprudenza di legittimità e alcune conseguenti riflessioni.
Indubbiamente il primo punto di riferimento da assumere per orientare
correttamente la valutazione è costituito dall’arresto delle Sezioni Unite
Iannasso, già citato, che ha affermato che nel caso di rinnovazione del
dibattimento a causa del mutamento della persona del giudice monocratico o
della composizione del giudice collegiale, la testimonianza raccolta dal primo
giudice non è utilizzabile per la decisione mediante semplice lettura, senza
ripetere l’esame del dichiarante, quando questo possa avere luogo e sia stato
richiesto da una delle parti; se invece nessuna delle parti ripropone la richiesta di
ammissione della prova assunta in precedenza, il giudice può di ufficio disporre
la lettura delle dichiarazioni precedentemente raccolte nel contraddittorio delle
parti e inserite legittimamente negli atti dibattimentali, equiparabili nella
sostanza alle dichiarazioni rese nell’incidente probatorio.
Le Sezioni Unite hanno inoltre escluso che, all’infuori dell’ipotesi
eccezionale di cui all’art. 190 bis c.p.p., quando l’ammissione della prova sia
nuovamente richiesta, il giudice che la ammetta ai sensi degli articoli 190 e 495
c.p.p abbia il potere di disporre la lettura delle dichiarazioni raccolte nel
dibattimento precedente, alla quale non consentano entrambe le parti, senza
previo riesame del dichiarante. Tale interpretazione – rafforzata a contrario, dalla
speciale disciplina prevista in tema d’incompatibilità dei magistrati dall’art.
1.2 d.l. n. 553/1996, convertito in legge n. 652/1996 – è imposta dal carattere
eccezionale delle norme che, deviando dai principi di oralità e immediatezza del
processo, derogano al generale divieto di lettura (art. 514 c.p.p.) dei verbali

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abbia luogo. Il comma 5, consente

delle dichiarazioni non raccolte dal giudice stesso che deve deliberare (Sez. U, n.
2 del 15/01/1999, Iannasso ed altro, Rv. 212395).
Ciò premesso nel senso della necessità di un nuovo esame dei testimoni,
ci si chiede se questo possa essere condotto con le modalità particolari adottate
in tre casi dal Tribunale (messa a disposizione del teste per il controesanne alla
parte che ha rifiutato il consenso alla lettura), ovvero con le modalità più
rigorose adottate in un caso dal Tribunale (teste Lauretani) e dalla Corte di
appello per i tre testi risentiti in primo grado con la descritta modalità (ossia

messa a disposizione del teste per il controesame alla parte che ha rifiutato il
consenso alla lettura).
1.9. All’esito di un ragionamento più restrittivo, una pronuncia di questa
Corte ha ritenuto che le prove dichiarative assunte prima del mutamento della
composizione del collegio, in presenza di opposizione della difesa alla loro
lettura, non sono utilizzabili, ex art. 526, comma 1, cod. proc. pen., qualora non
vengano reiterate o ribadite in dibattimento mediante nuovo rituale esame
incrociato delle fonte. (Sez. 1, n. 37537 del 07/07/2004, Addis, Rv. 229791).
Quest’arresto, apparentemente conforme alle tesi della ricorrente, ha
accolto l’eccezione di inutilizzabilità delle prove dichiarative assunte prima del
mutamento della composizione del collegio, allorché le stesse, in presenza di
opposizione della difesa alla loro lettura, erano state introdotte nella successiva
fase del giudizio mediante la mera conferma delle dichiarazioni già rese (i cui
verbali erano inseriti nel fascicolo per il dibattimento ex art.238 cod.proc.pen.).
Tale sentenza ha ritenuto tale modo di procedere, nella sostanza,
equiparabile ad una lettura, reale o fittizia ex art. 511, comma 5, cod.proc.pen.,
delle deposizioni non potendone i giudici altrimenti conoscerne ed acquisirne il
contenuto, non essendo state quelle dichiarazioni di fatto reiterate o ribadite in
dibattimento mediante nuovo rituale esame incrociato delle fonti, con
conseguente loro inutilizzabilità ai sensi dell’art.526, comma 1, cod.proc.pen.,
per essere state dette prove acquisite in modo illegittimo; le indicazioni
desumibili dalla sentenza «Iannasso» sarebbero vanificate da una decisione che
eludesse il divieto di lettura delle dichiarazioni pregresse con il ricorso alla
formula della semplice formale conferma delle stesse.
La pronuncia citata si è posta tuttavia l’interrogativo se le conclusioni
accolte potessero essere modificate dal rilievo, risultante dalla motivazione della
sentenza impugnata, che la facoltà accordata alle parti di formulare domande
limitatamente a circostanze nuove e diverse fosse stata, di fatto, estesa anche a
circostanze che già avevano formato oggetto del precedente esame (ossia che
fosse stata concessa facoltà di controesame ad ampia portata di contenuti),

11

richiesta di conferma di quanto dichiarato dinanzi al giudice sostituito e quindi

negandone la rilevanza nel caso di specie perché non era possibile in sede di
legittimità verificare esattamente l’ampiezza di tale estensione, in principio
negata dal giudice del merito.
Pertanto anche in questa pronuncia restrittiva si coglie, implicitamente, il
riconoscimento della legittimità della metodologia della richiesta di conferma
delle dichiarazioni rese dinanzi al giudice sostituito o al collegio in diversa
composizione, ove temperata dalla successiva facoltà di controesame ad ampio
spettro per la parte che ha rifiutato il consenso alla lettura.

nella pronuncia in esame fra esame del teste, ridotto a mera richiesta di
conferma delle dichiarazioni già rese e lettura, reale o fittizia, non consentita
delle precedenti dichiarazioni. Nel primo caso, infatti, il teste è presente e a
disposizione delle parti e del giudice per ogni opportuno chiarimento,
precisazione, contestazione, sicché la coincidenza dei due contributi dichiarativi
è meramente eventuale.
1.10. In altre pronunce, a cui il Collegio intende apprestar continuità,
questa Corte ha affermato che non sussiste violazione del principio di oralità, al
quale è ispirata la doverosa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale nel caso
di mutata composizione del collegio, qualora il teste riconvocato si limiti a
confermare, senza opposizione di alcuna parte, le dichiarazioni in precedenza
rese innanzi a diverso collegio, considerato che i verbali contenenti tali
dichiarazioni fanno regolarmente parte del fascicolo per il dibattimento (Sez. 5,
n. 21710 del 26/03/2009, Di Gregorio e altri, Rv. 243894); ed ancor più
chiaramente nel riferimento alle facoltà spettanti a tutela del diritto di difesa
della parte che ha rifiutato il consenso, è stato osservato che il divieto di utilizzo
diretto delle prove precedentemente acquisite, mediante lettura dei relativi
verbali, senza il consenso delle parti, non implica che, qualora detto consenso
manchi, detti verbali debbano essere stralciati dal fascicolo per il dibattimento,
del quale fanno parte integrante, in quanto relativi ad una fase che, pur soggetta
a rinnovazione, conserva il carattere di attività legittimamente compiuta; di
conseguenza, ove in sede di rinnovazione il soggetto esaminato confermi le
precedenti dichiarazioni e le parti non ritengano di chiedergli chiarimenti o di
formulare nuove domande e contestazioni, è legittimo utilizzare per relationem il
contenuto materiale di tali precedenti dichiarazioni, in quanto atti legittimi del
processo (Sez. 1, n. 41095 del 21/09/2004, Scavo, Rv. 230624; Sez. 5, n.
52229 del 11/11/2014, Fortunato, Rv. 262122).
Nella motivazione di quest’ultimo arresto, la Corte ha aggiunto che non si
tratterebbe, in ogni caso, di nullità assoluta, ma eventualmente di mera
irregolarità nell’acquisizione della prova, precisando, per confutare l’invocazione

12

Resta da aggiungere che non è convincente l’equiparazione tracciata

in senso contrario della sentenza «Iannasso» delle Sezioni Unite, che nel caso
di mera conferma l’esame del dichiarante vi è comunque stato. Inoltre la
mancanza di autorizzazione all’utilizzo delle prove precedentemente assunte non
significa che i relativi verbali debbano essere stralciati dal fascicolo per il
dibattimento, di cui formano parte integrante.
Secondo la sentenza delle Sezioni Unite «Iannasso» sopra citata,
allorquando, nel corso del dibattimento rinnovato a causa del mutamento del
giudice, nessuna delle parti riproponga la richiesta di ammissione della prova

dichiarazioni precedentemente raccolte nel contraddittorio delle parti e inserite
legittimamente negli atti dibattimentali. A maggior ragione, tale lettura può
essere fatta qualora, disposta la rinnovazione della prova, il teste abbia
confermato le precedenti dichiarazioni e le parti non abbiano ritenuto di
chiedergli chiarimenti o di formulare nuove domande e contestazioni.
1.11. Da tutto quanto esposto è lecito quindi concludere che sono
pienamente utilizzabili le prove assunte mediante conferma da parte del
testimone riesaminato dopo il mutamento della persona fisica del giudice o della
composizione del collegio giudicante delle dichiarazioni rese in precedenza,
legittimamente inserite nel fascicolo del dibattimento, a patto che la parte che
non ha concesso il proprio consenso sia stata messa in condizione di svolgere il
controesame, formulando tutte le domande ritenute necessarie.
1.12. Occorre inoltre tener presente il principio generale

che le

irregolarità nell’assunzione della prova non danno luogo a inutilizzabilità o nullità
(Sez. 2, n. 51740 del 03/12/2013, Mitidieri, Rv. 258114); ad esempio,
l’assunzione della prova testimoniale direttamente a cura del presidente o del
giudice, pur non essendo conforme alle regole che ne disciplinano l’acquisizione,
non dà luogo a nullità, non essendo riconducibile alle previsioni di cui all’art. 178
cod. pen., né ad inutilizzabilità, trattandosi di prova assunta non in violazione di
divieti posti dalla legge, ma con modalità diverse da quelle prescritte (Sez. 3, n.
45931 del 09/10/2014, Cifaldi, Rv. 260872; Sez. 6, n. 28247 del 30/01/2013,
Rionero, Rv. 257026; Sez. 5, n. 38271 del 17/07/2008, Cutone e altro, Rv.
242025).
In particolare, è stato affermato da questa Corte che l’assunzione della
prova direttamente a cura del presidente, e mediante la semplice richiesta se il
teste confermi o meno le dichiarazioni già rese in una precedente fase del
dibattimento, non può dirsi conforme alle regole che disciplinano la prova stessa,
perché non si articola con domande su fatti specifici (art. 499, comma 1, cod.
proc. pen.), tende a suggerire la risposta (art. 499 commi 1 e 1), e comunque
viola la disposizione per la quale – salvi alcuni casi particolari – le domande sono

13

assunta in precedenza, il giudice può d’ufficio disporre la lettura delle

rivolte al testimone direttamente dalle parti processuali (art. 498 comma 1). Va
esclusa, nondimeno, la ricorrenza della sanzione di inutilizzabilità (art. 191 cod.
proc. pen.), posto che non si tratta di prova assunta in violazione di divieti posti
dalla legge, bensì di prova assunta con modalità diverse da quelle prescritte, così
come va esclusa la ricorrenza di nullità, posto che la deroga alle norme indicate
non è riconducibile ad alcuna delle previsioni delineate dall’art. 178 del codice di
rito (Sez. 2, n. 35445 del 08/07/2002 – dep. 2003, Natalotto, Rv. 227360).
Analogamente è stato affermato che le dichiarazioni testimoniali assunte

diretto e il controesame dei testimoni), ma mediante semplice conferma, a
richiesta del presidente, delle dichiarazioni già rese in dibattimento, davanti ad
un precedente collegio venuto meno per la morte di uno dei componenti, non
sono inutilizzabili, trattandosi non di prove assunte in violazione di divieti di
legge, ma di prove assunte con modalità diverse da quelle previste dalla legge.
Un tal modo di procedere, poi, pur se non ortodosso, non dà tuttavia luogo
neppure ad alcuna nullità, non essendovi alcuna norma specifica che la preveda,
non potendosi inquadrare la violazione in esame in alcuna tra le previsioni di cui
all’art. 178 cod. proc. pen.. Ne consegue che esclusa la inutilizzabilità e la nullità,
gli atti in questione non possono che essere considerati come validi, ancorché
irregolari, e quindi legittimamente valutati ai fini del decidere. (Sez. 1, n. 6922
del 11/05/1992, Cannarozzo, Rv. 190574).
1.13. Per concludere sul punto, la Corte non può non rimarcare che il
metodo di rinnovazione delle prove testimoniali stigmatizzato dalla ricorrente
non si pone in alcun modo in contrasto con il diritto di difesa, ampiamente
esercitabile ad ampio spettro attraverso l’esercizio della facoltà di controesame
del teste messo a disposizione della parte che ha rifiutato il consenso alla lettura
per tutte le domande, i chiarimenti e le contestazioni ritenuti opportuni.
1.14. Venendo alla seconda questione individuata nel § 1.2., in tema di
conseguenze dell’adozione di una non corretta metodologia, di riesame, la
risposta è già stata sostanzialmente delineata nelle ultime pronunce sopra
illustrate.
Inoltre è bene rammentare l’insegnamento di questa 5° Sezione, n.
38734 del 29/04/2014, Matarrese, Rv. 260379, secondo la quale i verbali delle
prove dichiarative precedentemente assunte, non essendo viziati da
inutilizzabilità patologica, possono essere legittimamente utilizzati, in sede di
rinnovata assunzione dell’esame testimoniale, ai fini delle contestazioni previste
dagli artt. 500 e 503 cod.proc.pen., non diversamente da quanto dispone l’art.
238, comma 4, dello stesso codice per le dichiarazioni rese in altri procedimenti,
che contiene in motivazione un altro spunto interessante, relativamente alle

14

non secondo le prescrizioni dell’art. 498 cod. proc. pen. (che prevede l’esame

conseguenze di un eventuale erroneo utilizzo delle

prove testimoniali non

rinnovate debitamente.
In tale pronuncia infatti è stato ritenuto che la Corte d’Appello avesse
bene operato nel disporre la rinnovazione davanti a sé delle prove testimoniali
assunte dal Tribunale nell’originaria composizione, anziché limitarsi – come
avrebbe voluto la difesa – a pronunciare la nullità della sentenza di primo grado e
disporre la restituzione degli atti al Tribunale. E’ stato osservato che in caso di
mutamento della composizione del collegio giudicante e di omessa rinnovazione

prescritta dell’esame incrociato, in difetto di consenso delle parti alla lettura dei
relativi verbali, non consegue la nullità della sentenza, ma soltanto il vizio in
iudicando consistito nell’aver fondato la decisione su prove inutilizzabili, con la
conseguenza che il giudice di appello, una volta rilevato il suddetto vizio, non
deve disporre la trasmissione degli atti al giudice di primo grado, non ricorrendo
alcuna delle ipotesi descritte nell’art. 604 cod.proc.pen., commi 1 e 4, ma deve
procedere direttamente alla nuova escussione dei testi (Sez. 5, n. 3613 del
07/11/2006 – dep. 2007, Arcidiacono, Rv. 236044).
In effetti non ricorre nel caso in esame alcuna nullità determinante la
regressione del processo in primo grado a norma dell’art.604 cod.proc.pen.
1.15. Secondo la ricorrente comunque la Corte di appello non aveva
proceduto correttamente nel disporre l’ordinanza del 6/4/2017, anche ove fosse
stata ammissibile l’integrazione officiosa dell’istruzione dibattimentale, di cui
non esistevano i presupposti, perché tale ordinanza era priva di qualsiasi
motivazione in ordine alla assoluta necessità delle prove dichiarative ed era stata
disposta in camera di consiglio senza aver previamente invitato le parti a
interloquire in proposito.
L’ordinanza del 6/4/2017 è stata resa in contraddittorio, dopo la discussione
del gravame e si è fondata sulla ritenuta nullità delle deposizioni di quei tre
testimoni richiamati in primo grado ma ai quali non era stato richiesto di
confermare o meno la precedente deposizione; in secondo luogo, la pronuncia è
stata resa in esercizio del potere di rinnovazione degli atti nulli riconosciuto al
giudice di appello dall’art.604, comma 5, cod.proc.pen. e del resto la stessa
parte appellante aveva sostenuto l’invalidità di tali deposizioni, sia pur opinando,
erroneamente

ut supra

esposto, che le stesse dovessero essere riassunte dal

Giudice di primo grado previo annullamento della sentenza di primo grado,
sicché il provvedimento emesso era giustificato anche nella prospettiva di cui
all’art.603, comma 1.
1.16. In conclusione, i primi due motivi di ricorso, di carattere
procedurale, proposti da parte ricorrente, debbono essere rigettati, dovendosi

15

dell’assunzione delle prove dichiarative precedentemente acquisite nella forma

ritenere esenti da vizi di inutilizzabilità o nullità le deposizioni assunte dal Giudice
di primo grado o dal Giudice di appello mediante conferma delle dichiarazioni in
precedenza rese dinanzi al magistrato sostituito, che il diritto al contraddittorio
fosse stato garantito dalla possibilità di controesame ad ampio spettro di cui la
difesa dell’imputato aveva avuto la possibilità di avvalersi, che fosse esclusa
qualsiasi ipotesi di regressione del processo in primo grado e che la Corte di
appello avesse il potere e il dovere di rinnovare le deposizioni invalidamente
assunte e che abbia assunto tale decisione nel rispetto del contraddittorio e

2. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia mera apparenza della
motivazione in ordine alla giudizio di attendibilità della persona offesa C.C. e dei testi.
2.1. In particolare, secondo la ricorrente, la Corte di appello non avrebbe
sottoposto al necessario vaglio l’attendibilità, soggettiva ed oggettiva, della
persona offesa, che non poteva essere ritratta dal provvedimento di
archiviazione della querela sporta nei suoi confronti dall’imputata,
illegittimamente acquisito nonostante l’opposizione della difesa, di per sé pur
sempre suscettibile di revoca e comunque non accompagnato dai relativi atti di
indagine, con violazione dell’art.238 cod.proc.pen.
I riscontri alle dichiarazioni della persona offesa erano del tutto carenti: il
teste V.V. comunque non aveva mai riferito che la A.A. avesse sferrato dei
fendenti con il coltello colpendo il C.C. al braccio; il certificato del Pronto
Soccorso del 19/8/2010 aveva accertato ferite appena accennate,
diagnosticando contusioni lievi a livello di arti superiori e guancia, guaribili in tre
giorni, ossia lesioni incompatibili con l’uso di un mezzo tagliente, il che vulnerava
anche la deposizione del teste V.V. che aveva riferito di una piccola ferita
dell’amico C.C.; la prescrizione dell’antitetanica costituiva una utile
precauzione raccomandata in presenza di qualsiasi ferita e non già
necessariamente di una ferita da taglio; le dichiarazioni del C.C. erano
inficiate da motivi di astio, rancore e vendetta; la sproporzione fisica fra il
prestante C.C. e la piccola e minuta A.A.); elementi tutti che non
consentivano quantomeno di superare la soglia del ragionevole dubbio di
colpevolezza.
2.2 In via preliminare e con riferimento alla deposizione della persona
offesa, occorre tener presente il consolidato orientamento di questa Corte che
trova espressione nella pronuncia delle Sezioni Unite, n. 41461 del 19/07/2012,
Bell’Arte ed altri, Rv. 253214.

16

nell’esercizio dei poteri attribuitele dalla legge processuale.

Al proposito, le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non si
applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere
legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale
responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione,
della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo
racconto; tale verifica, peraltro, deve in tal caso essere più penetrante e rigorosa
rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone,
anche se, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può

2.3. Le recriminazioni della ricorrente circa la ricostruzione del fatto storico
accolta nella sentenza impugnata e circa la sottovalutazione del narrato di altri
testimoni, mirano a sollecitare inammissibilmente dalla Corte di Cassazione una
non consentita rivalutazione del fatto motivatamente ricostruito dal Giudice del
merito, senza passare, come impone l’art.606, comma 1, lett.

e) cod.proc.pen.,

attraverso la dimostrazione di vizi logici intrinseci della motivazione (mancanza,
contraddittorietà, illogicità manifesta) o denunciarne in modo puntuale e
specifico la contraddittorietà estrinseca con «altri atti del processo
specificamente indicati nei motivi di gravame».
I limiti che presenta nel giudizio di legittimità il sindacato sulla motivazione,
si riflettono anche sul controllo in ordine alla valutazione della prova, giacché
altrimenti anziché verificare la correttezza del percorso decisionale adottato dai
Giudici del merito, alla Corte di Cassazione sarebbe riservato un compito di
rivalutazione delle acquisizioni probatorie, sostituendo, in ipotesi,
all’apprezzamento motivatamente svolto nella sentenza impugnata, una nuova e
alternativa valutazione delle risultanze processuali che ineluttabilmente
sconfinerebbe in un eccentrico terzo grado di giudizio. Da qui, il ripetuto e
costante insegnamento (Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, Casula, Rv. 233708;
Sez. 5, n. 44914 del 06/10/2009, Basile e altri, Rv. 245103) in forza del quale,
alla luce dei precisi confini che circoscrivono, a norma dell’articolo 606, comma
1, lett. e) cod.proc.pen., il controllo del vizio di motivazione, la Corte non deve
stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né
deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare, sulla base del
testo del provvedimento impugnato, se questa giustificazione sia compatibile con
il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento.
2.4. In ogni caso la Corte ha fondato la propria ricostruzione, quanto
all’episodio di percosse del 10 agosto 2010, sulla deposizione del teste Foracappa
che aveva ricordato i comportamenti scorretti e perturbatori della A.A. e della
sua aggressività nei confronti della persona offesa e aveva confermato di aver

17

essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi.

appreso in quel frangente immediato dai presenti o forse dallo stesso C.C.
del colpo da lui subito.
Quanto all’episodio del 19 agosto, il teste V.V. aveva riferito di aver
visto l’imputata spintonare inizialmente il C.C. (erroneamente chiamato
Ciarrocchi, come in altri passaggi della sentenza qui impugnata), portandolo via;
quindi, dopo essersi messo sulle loro tracce aveva visto la donna con il coltello in
mano minacciare la persona offesa, anche di incendiargli macchina e casa.
La Corte territoriale ha conferito rilievo anche alle risultanze del referto di

destra, ricondotte dalla Corte ai colpi inferti con l’uso della borsetta.
La Corte di appello ha anche ritenuto che il coltello usato dalla donna aveva
semplicemente sfiorato la vittima, provocando ferite appena accennate,
giustificanti peraltro il prudenziale ricorso ad una iniezione antitetanica e
compatibili con l’uso, sia pur inefficiente e malaccorto, del coltello.
La persona offesa è stata giudicata quindi attendibile, anche alla luce dei
precisi riscontri offerti dal verbale del Pronto Soccorso e dai caratteri di
personalità aggressiva della A.A. apprezzati sulla base della descrizione del
primo episodio da parte del teste Foracappa.
Quanto alla denuncia della A.A., la Corte ha valutato tale circostanza
indipendentemente dal decreto di archiviazione, che comunque, contrariamente
a quanto osservato dalla ricorrente, indica comunque una

notitia criminis

destituita di fondamento, rilevando, da un lato, la sua sospetta contiguità
temporale rispetto alla prima udienza del dibattimento di primo grado (una
settimana prima) e, dall’altro, la carenza totale di alcun elemento in ordine ai
suoi sviluppi investigativi e procedimentali.

3. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta inosservanza degli artt.62 bis e
133 cod.pen. relativamente alla mancata concessione delle attenuanti
generiche, in relazione all’inidoneo apparato argomentativo volto a sorreggere
tale statuizione.
3.1. Da un lato, secondo la ricorrente, la Corte di appello non aveva
considerato gli elementi addotti dalla difesa (incensuratezza, personalità non
criminale, condizione di donna sola in paese straniero, precedente relazione
sentimentale).
Tuttavia, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un
giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché
sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli
indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione
o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269; Sez.

18

Pronto Soccorso, attestanti contusioni lievi agli arti superiori e alla guancia

6, n. 7707 del 04/12/2003 – dep. 2004, P.G. in proc. Anaclerio ed altri, Rv.
229768); la concessione delle attenuanti generiche deve essere fondata
sull’accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale
benevolenza in favore dell’imputato; ne consegue che, quando la relativa
richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla
valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità
dell’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è soddisfatto con il
solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il

Piliero, Rv. 266460).
La presunzione di non meritevolezza, impone al giudice di primo grado di
spiegare le ragioni che giustificano la decisione di mitigare il trattamento
sanzionatorio, mentre nel caso di mancato riconoscimento di tale riduzione
l’obbligo di motivazione non sussiste, in assenza di richiesta da parte
dell’interessato o nell’ipotesi di richiesta generica. (Sez. 3, n. 35570 del
30/05/2017, Di Luca, Rv. 270694)
Ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in proposito, il giudice
non è poi tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati
dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere
discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla
concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo. (Sez. 1, n.
3772 del 11/01/1994, Spallina, Rv. 196880) .
Nella fattispecie,

con affermazione priva di contraddizioni e vizi logici, la

Corte territoriale ha ritenuto che i fatti fossero stati reiterati in un breve arco
temporale, assumessero una certa gravità (con ciò riferendosi implicitamente
all’uso, seppur maldestro, del coltello) e che non ci fossero segni di pentimento
nel comportamento dell’imputata.
3.3. D’altra parte, secondo la ricorrente,

la Corte

aveva valorizzato

elementi insussistenti o irrilevanti come una certa gravità dei fatti mentre ben
potevano riconoscersi le attenuanti generiche anche con riferimento a reati
gravi; questo è indubbio e tuttavia i giudici marchigiani hanno ritenuto che i fatti
posti in essere assumessero una certa gravità per le ragioni sopra ricordate.
3.4. In tema di assenza di segni di resipiscenza, la ricorrente sottolinea,
comparativamente, l’avvenuta concessione delle attenuanti generiche all’altro
imputato, per cui era stato significativamente valorizzato quale indice di buon
comportamento processuale il consenso dato all’utilizzo delle dichiarazioni
precedentemente rese dai testi, con evidente implicita attitudine punitiva delle
scelte difensive della A.A. in ordine al mancato consenso alla utilizzazione delle
precedenti deposizioni testimoniali.

19

riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015 – dep. 2016,

Così argomentando, la ricorrente trascura, da un lato, la riforma in appello
della sentenza di primo grado per il coimputato Kapxhiu, assolto perché il fatto
di ingiurie, unico a suo carico, non era più previsto dalla legge come reato,
sicché la pronuncia a cui il motivo fa riferimento è stata ormai caducata; d’altra
parte, non sussisteva alcun intento punitivo nel valorizzare positivamente un
fatto processuale relativo ad uno soltanto dei due imputati, perché la decisione di
rifiutare il consenso alla lettura delle precedenti deposizioni testimoniali era
stato giudicato un fatto semplicemente neutro e non già un fatto negativo.

generiche e quella positiva operata ai fini della concessione dei benefici della
sospensione condizionale della pena e della non menzione è del tutto
insussistente: una cosa è ritenere che un fatto di reato possegga una certa
gravità e non si giustifichi l’abbassamento della sanzione penale sotto la soglia
minima edittale, altra cosa è formulare una previsione probabilistica di non
ricaduta nel reato (nella fattispecie fondata sulla cessazione delle condotte
aggressive) ai fini della concessione dei benefici della non menzione della
condanna e della sospensione condizionale della pena, non subordinata
all’adempimento risarcitorio.
Non sussiste incompatibilità logica o contraddizione tra la concessione del
beneficio della sospensione condizionale della pena e il rifiuto di concessione
dell’attenuante generica, posto che negare questa significa esprimere un giudizio
particolarmente negativo su chi è stato protagonista di un determinato fatto
storico costituente reato; giudizio che per definizione riguarda il passato e che, in
quanto tale, sul piano logico, è cosa del tutto diversa rispetto al giudizio sul
futuro che rappresenta l’indispensabile (Sez. 4, n. 7794 del 15/03/1989, Branca,
Rv. 11431); la giurisprudenza si è occupata altresì del caso opposto, comunque
sulla base di una valutazione di eterogeneità delle due valutazioni, affermando
ripetutamente che non sussiste incompatibilità tra il diniego della sospensione
condizionale della pena e la concessione delle attenuanti generiche, avendo i due
istituti diversi presupposti e finalità, in quanto il secondo risponde alla logica di
un’adeguata commisurazione della pena, mentre il primo si fonda su un giudizio
prognostico strutturalmente diverso da quello posto a fondamento delle
attenuanti generiche (Sez. 4, n. 39475 del 16/02/2016, Tagli, Rv. 267773; Sez.
1, n. 6603 del 24/01/2008, P.G. in proc. Stumpo, Rv. 239131; Sez. 3, n. 12828
del 18/10/1999, Dal Pont, Rv. 215636; Sez. 1, n. 6239 del 12/07/1989 – dep.
1990, Palamara, Rv. 184182).

20

3.5. L’ipotizzato contrasto fra la delibazione negativa in punto attenuanti

4. Il ricorso deve quindi essere respinto e la ricorrente deve essere
condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta

il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese

Così deciso il 22/1/2018

processuali.

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