Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10121 del 10/02/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 10121 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Cusani Armando, nato a Formia il 08-10-1963
avverso la ordinanza del 15-09-2015 della Corte di appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Paolo Canevelli che ha
concluso per il rigetto del ricorso;
Udito per il ricorrente l’avv. Luigi Panella che ha concluso per l’accoglimento del
ricorso;
=■

.•

Data Udienza: 10/02/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Armando Cusani ricorre per cassazione impugnando l’ordinanza indicata
in epigrafe con la quale la Corte di appello di Roma ha rigettato la dichiarazione
di ricusazione avanzata nei confronti della dottoressa Maria Mattioli, giudice per
le indagini preliminari presso il tribunale di Latina in conseguenza dell’adozione
del decreto di sequestro preventivo del 18 giugno 2015 ed del successivo
decreto di sequestro preventivo integrativo del 9 luglio 2015 con riferimento ai

relazione all’articolo 30 stesso d.p.r.

2. Per la cassazione dell’impugnata ordinanza, il ricorrente, personalmente e
tramite i difensori, articola i tre seguenti motivi di gravame, qui enunciati, ai
sensi dell’articolo 173 disposizione di attuazione al codice di procedura penale,
nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’articolo 37,
comma 1, lettera a), codice di procedura penale in relazione all’articolo 36,
comma 1, lettera d), stesso codice (articolo 606, comma 1, lettera b), codice di
procedura penale).
Assume che erroneamente la Corte di appello ha ritenuto che un giudice, il
quale, come nel caso di specie, quereli un cittadino (per un reato non procedibile
d’ufficio), possa ritenersi terzo ed imparziale nel giudicare in sede penale quello
stesso cittadino in relazione a fatti diversi da quelli che hanno determinato la
querela.
Sostiene che la giurisprudenza della Corte di cassazione, con riferimento
all’inimicizia grave, è nel senso che tale motivo di astensione debba trovare

… •
,,41.•

riscontro in “rapporti personali estranei al processo ed ancorati a circostanze
oggettive”, proprio come si è verificato nella specie, in cui vi è stata una querela
da parte del magistrato, in relazione a un reato non procedibile d’ufficio. La
stessa Corte e ha affermato che un difetto di imparzialità del giudice può
derivare anche da fatti o affermazioni che dimostrino “un’ostilità del giudice nei
confronti dell’indagato”, essendo necessario evitare e rimuovere anche ogni
“apparenza di imparzialità”.

Del resto, la stessa Corte costituzionale ha

dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 37 del codice di procedura
penale nella parte in cui non prevedeva che potesse essere ricusato dalle parti il
giudice che, chiamato a decidere sulla responsabilità di un imputato, abbia
espresso in altro procedimento, anche non penale, una valutazione di merito
sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto, chiarendo che il sistema
deve “apprestare la necessaria tutela del principio del giusto processo in tutti i
casi in cui può risultare compromessa l’imparzialità del giudice …”.

2

reati di cui all’articolo 44, comma 1, lettera c), d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, in

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce vizio di motivazione
risultante dal testo del provvedimento impugnato e dagli atti indicati e allegati al
ricorso nonché travisamento della prova, contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione (articolo 606, comma 1, lettere c) ed e), codice di procedura
penale).
Sostiene che l’ordinanza è inoltre illegittima laddove, in modo
contraddittorio ed illogico, arriva a escludere la sussistenza di una grave
inimicizia nei confronti del cittadino da parte del magistrato, grave inimicizia

dottoressa Maria Mattioli, componente del Collegio giudicante del tribunale di
Latina, e gli altri magistrati del collegio avevano presentato un esposto – querela
in relazione ad alcuni commenti ritenuti diffamatori ed attribuiti al ricorrente
Armando Cusani, all’epoca presidente della Provincia di Latina e riferiti alla
sentenza di condanna pronunciata nei confronti del medesimo da parte del
collegio penale del tribunale di Latina; ciò accadeva nonostante la tempestiva
smentita a mezzo stampa effettuata dallo stesso Cusani già nel mese di luglio; in
particolare nella querela si leggeva che il Cusani avrebbe affermato che quella
decisione era esorbitante ed ingiusta ma “inevitabile (…) con quel collegio
giudicante” nel quale “si annida” un giudice “trasferito qui per una sorta di
punizione a seguito della conduzione insieme a De Magistris del processo Why
not” e che così avrebbe accusato il Collegio ed i suoi componenti di aver reso
una “sentenza politica” tradendo i doveri di correttezza e di imparzialità e
strumentalizzando la funzione per colpire una persona per motivi di avversione
politico-ideologica. Si chiedeva quindi “la punizione del colpevole per tutti i reati
ravvisabili”; in esito a tale esposto la procura della Repubblica di Latina aveva
trasmesso gli atti per competenza a quella di Perugia e Armando Cusani veniva
iscritto nel registro degli indagati per il reato di diffamazione aggravata in ordine
al quale il pubblico ministero presso il tribunale di Perugia presentava richiesta di
archiviazione e con decreto del 16 ottobre 2014 il Gip presso il medesimo
tribunale accoglieva la richiesta di archiviazione del procedimento penale nei
confronti del Cusani.
Sostiene quindi il ricorrente che la dottoressa Maria Mattioli e gli altri
componenti il collegio di Latina hanno presentato una infondata querela nei suoi
confronti chiedendo che lo stesso fosse punito, in relazione a fatti che nulla
hanno a che vedere con quelli per i quali pende il procedimento penale e in cui la
dottoressa Mattioli ha svolto le funzioni di Gip, adottando una decisione che,
quanto meno a livello di fumus, riconosce una presunta responsabilità penale del
ricorrente cosicché la presentazione della denuncia – querela e le peculiarità che
hanno caratterizzato la vicenda in questione avrebbero dovuto indurre la

desumibile proprio dalle modalità caratterizzanti la vicenda posto che la

dottoressa Mattioli ad astenersi dallo svolgimento delle funzioni di gip, al
contrario di quanto è accaduto nel caso di specie.
Gli stessi elementi enfatizzati dalla Corte territoriale per escludere
l’animosità del magistrato nel caso in questione scaturiscono da una erronea
lettura degli atti acquisiti e manifestano quindi tutta la debolezza su cui si regge
l’impianto motivazionale dell’ordinanza. In particolare, il rilievo attribuito a
pagina 6 dell’ordinanza alla mancata presentazione dell’opposizione alla richiesta
di archiviazione da parte dei magistrati denuncianti non sembra in alcun modo

nella richiesta di archiviazione in ordine al fatto che il Cusani non aveva
pronunciato le frasi in contestazione, con la conseguenza che la scelta di non
proporre opposizione alla richiesta di archiviazione è stata verosimilmente
orientata dalla circostanza che tale opposizione sarebbe stata respinta alla luce
delle capillari indagini effettuate.
Peraltro è contestato quanto affermato nell’ordinanza impugnata e cioè che
“la pubblicazione da parte dei mezzi di informazione locali delle suddette
dichiarazioni diffamatorie nei confronti suoi e dell’intero collegio giudicante come
dichiarazioni fatte da Cusani Armando nel corso di una seduta del consiglio
provinciale” non sarebbe mai stato oggetto di chiara smentita. Infatti come
risulta dalla documentazione allegata alle note di udienza depositate, le
dichiarazioni offensive attribuite al ricorrente erano state immediatamente
smentite dallo stesso. Ne consegue che l’ordinanza della Corte di appello di
Roma è dunque illegittima anche per tale verso in quanto sorretta da una
motivazione in parte mancante, illogica e contraddittoria oltreché basata sul
travisamento della prova costituita dalla documentazione già allegata.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente eccepisce l’illegittimità costituzionale
degli articoli 36, comma 1, lettera d) e 37 per violazione degli articoli 111 e 54,
comma 2 costituzione e all’articolo 6 Cedu in relazione all’articolo 117
Costituzione trattandosi di questione rilevante e non manifestamente infondata
nella parte in cui le norme censurate non prevedono l’obbligo di astensione e la
facoltà di ricusazione del giudice che abbia presentato una querela nei confronti
di un indagato per fatti diversi da quelli oggetto del procedimento. Tanto sul
rilievo che la Corte costituzionale con la sentenza n. 283 del 2000 ha dichiarato
illegittimo l’articolo 37 codice di procedura penale nella parte in cui non
prevedeva che potesse essere ricusato dalle parti il giudice che, chiamato a
decidere sulla responsabilità dell’imputato, avesse espresso in altro
procedimento, anche non penale, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei
confronti del medesimo soggetto, precisando che il sistema deve “apprestare la
necessaria tutela del principio del giusto processo in tutti i casi in cui può
risultare compromessa l’imparzialità del giudice …”. Anche secondo la pacifica
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cogliere nel segno le appare del tutto illogico alla luce di quanto documentato

giurisprudenza della Cedu il difetto di imparzialità può derivare da fatti o
affermazioni che dimostrino “un’ostilità del giudice nei confronti dell’indagato”,
essendo necessario evitare anche ogni “apparenza di imparzialità” (confronta ex
multis Kyprianou contro Cipro il 15 dicembre 2005; Mezzanariac contro Croazia
del 15 luglio 2005). Al riguardo non può dubitarsi che il divieto per il giudice
ricusato di pronunciarsi in via definitiva sulla res iudicanda, prima della decisione
sulla ricusazione, costituisca un’articolazione della tutela del principio del giusto
processo e in particolare la terzietà e l’imparzialità del giudice, garantiti dagli

principio di eguaglianza in quanto la res iudicanda nei confronti di un cittadino è
stata definita da un giudice ricusato in pendenza del giudizio di ricusazione; da
un giudice quindi che in quel momento la legge stessa presumeva non imparziale
proprio alla luce del divieto di cui all’articolo 37, comma 2, con conseguente
disparità di trattamento rispetto a tutti gli altri cittadini. Risulta altresì vulnerato
il principio di cui all’articolo 54 della costituzione secondo il quale “tutti i cittadini
hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la costituzione e
le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di
adempierle con disciplina e onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla
legge”. Alla luce di tale principio costituzionale, non è possibile ritenere idonea a
produrre effetti giuridici nel nostro ordinamento una condotta in contrasto con la
legge (articolo 37, comma 2, codice di procedura penale) e con il principio che le
Sezioni Unite della Suprema Corte hanno definito un “preciso dovere
deontologico” del giudice. Ritenere quindi infondata la dichiarazione di
ricusazione espone l’articolo 37 del codice della penale ad una censura di
illegittimità costituzionale per violazione degli articoli 3,54, 111, 117 della
costituzione alla luce dell’articolo 6 CEDU.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato nei limiti e sulla base delle considerazioni che
seguono.

2. I primi due motivi, essendo tra loro strettamente connessi, possono
essere congiuntamente esaminati.
Essi non hanno giuridico fondamento avendo la Corte territoriale, con logica
ed adeguata motivazione, escluso la sussistenza della causa di ricusazione
ipotizzata.
2.1. Nel pervenire a tale conclusione la Corte del merito si è attenuta al
principio di diritto secondo il quale la qualità di parte offesa assunta dal
magistrato, in diverso procedimento penale rispetto a quello nel quale è stata

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articoli 111 della Costituzione e 6 Cedu. Secondo il ricorrente sarebbe violato il

presentata la dichiarazione di ricusazione, non denota necessariamente inimicizia
grave, né configura, di per sé, motivo di ricusazione, anche quando ciò sia
conseguenza di una querela presentata dal medesimo magistrato nei confronti
della parte poi sottoposta al suo giudizio (Sez. 6, n. 249 del 01/02/1990,
Borrello, Rv. 183846).
E’ tuttavia il caso di precisare – diversamente dall’articolata opinione
espressa dal ricorrente che inammissibilmente pretende di assegnare alla
fattispecie un ambito di operatività generalizzato – come la medesima situazione

verifica quando la presentazione di una denuncia o querela – da parte del
magistrato nei confronti di una determinata parte privata che sia interessata ad
una vicenda giudiziaria nella quale il giudice è chiamato sulla base di regole
tabellari precostituite a svolgere le proprie funzioni – sia avvenuta nell’ambito di
esperienze di vita che esulano dal rapporto e dalla sfera strettamente
professionale o, se anche da ciò non esulano, abbia contenuti tali da attestare il
rapporto interpersonale di inimicizia, estraneo a vicende giudiziarie (Sez. 6, n. Mt”
39792 del 03/11/2010, Campanella, non mass.).
Nel caso di specie, la Corte d’appello – a seguito di un approfondito esame
del contenuto della querela e del contesto nel quale la stessa è stata presentata
dai membri del collegio giudicante del tribunale di Latina, tra cui la dottoressa
Mattioli, che avevano pronunciato una sentenza di condanna di primo grado nei
confronti del Cusani – ha dato atto come dovesse escludersi la sussistenza di
circostanze sintomatiche di un rapporto di grave inimicizia reciproca tra
quest’ultima ed il Cusani o di una contaminazione della sua imparzialità e
terzietà nell’esercizio della funzione giurisdizionale.
Secondo la Corte territoriale, la querela in questione – lungi dal
rappresentare un indizio di ostilità e di rancore del giudice nei confronti della
parte privata per ragioni personali, sorte al di fuori di procedimenti nei quali il
magistrato esercita la propria funzione, tanto da attestare l’esistenza di un
rapporto interpersonale di grave inimicizia estraneo alla sfera professionale – è
apparsa invece uno strumento al quale i magistrati del Collegio giudicante hanno
fatto ricorso al solo fine di tutelare la propria reputazione e la credibilità della
funzione esercitata da accuse che, secondo quanto riportato dai mezzi di
informazione locali e trascritto nella querela, sarebbero state rivolte loro proprio
dal Cusani (peraltro in un contesto pubblico quale il consiglio provinciale, con
conseguente delegittirnazione della stessa magistratura presso l’opinione
pubblica) ma anche e soprattutto al fine di scongiurare eventuali azioni penali
e/o disciplinari per gli asseriti comportamenti illeciti attribuiti loro dalla stampa
(ossia per aver pronunciato una sentenza di natura e finalità “politiche”).

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possa, in determinati casi, costituire motivo di ricusazione: il che in particolare si

Tale approdo il giudice a quo ha conseguito sulla base del tenore letterale
della stessa querela dove si legge che “è per questi motivi (…) che le sottoscritte
(…) Lucia Aielli, Gabriella Nuzzi, Mara Mattioli (…) denunciano i fatti sopra esposti
(…)”, essendo stata la querela sporta in conseguenza, secondo quanto riferito dai
giornali, delle accuse mosse dal Cusani nei loro confronti di violazione del dovere
di imparzialità ed onestà e di strumentalizzazione della funzione giurisdizionale
“al fine di colpire una persona per motivi di avversione politico-ideologici” e, in
definitiva, in ragione delle infondate accuse di illeciti penali e disciplinari.

situazione di grave inimicizia sulla base di una corretta interpretazione delle
risultanze processuali adottando una congrua motivazione immune da vizi di
manifesta illogicità e, come tale, sottratta al sindacato di legittimità, avendo
correttamente attribuito, anche alla mancata opposizione alla richiesta di
archiviazione da parte delle persone offese, il significato della completa
indifferenza delle querelanti rispetto agli esiti delle indagini, rilevando per le
persone offese che fosse fatta chiarezza sulla vicenda, chiarezza che soltanto le
indagini giudiziarie (e, quindi, la presentazione di una denuncia – querela)
avrebbero potuto assicurare, con la conseguenza che la smentita del Cusani, se
anche fosse intervenuta prima della proposizione della querela, poteva essere
non conosciuta, nei termini di cui alle allegazioni difensive, dalle querelanti o, se
conosciuta, essere ritenuta ininfluente non potendo la persona attinta dalle
v
offese stabilire se fosse stata la stampa ad averle propalate arbitrariamente o
meno.
Perciò non è decisiva, per destrutturare la ratio decidendi dell’ordinanza
impugnata, la circostanza che la Corte d’appello abbia escluso che il ricorrente
avesse smentito le affermazioni, lesive della reputazione dei singoli magistrati,
che la stampa a lui attribuiva.
La motivazione è pertanto esente, nel suo complesso, da vizi logico giuridici, dovendosi poi anche considerare che l’inimicizia, per poter assumere
rilevanza ex art 36 lett. d) cod. proc. pen., deve essere un’inimicizia qualificata,
occorrendo che essa si connoti come “grave” e dovendosi quindi sostanziare in
risentimenti personali formatisi e manifestatisi, in maniera assai rilevante, per
ragioni private, indipendenti dall’esercizio delle funzioni nel procedimento nel
quale siano stati dedotti (Sez. 5, n. 4593 del 15/11/1989, dep. 1990, Agricola,
Rv. 183490), con la conseguenza quindi che il sentimento di grave inimicizia, per
risultare pregiudizievole, deve essere reciproco, deve nascere o essere
ricambiato dal giudice e deve trarre origine da rapporti di carattere privato (Sez.
6, n. 38176 del 22/09/2011, Braccini, Rv. 250780).

In buona sostanza la Corte d’appello ha escluso che ricorresse una

Peraltro, erroneamente si assume che il giudice ricusato si sarebbe
pronunciato, nonostante avesse querelato il Cusani, sulla probabile colpevolezza
del ricorrente avendo dovuto statuire sul fumus delicti.
Sul punto, è il caso di ricordare che la giurisprudenza di legittimità e quella
costituzionale (ex multis, Corte cost. n. 29 del 08/02/1999), in materia di
incompatibilità del giudice per atti compiuti nel procedimento, hanno tenuto
costantemente distinta la regiudicanda cautelare reale rispetto a quella personale
e al giudizio in senso stretto, affermando che le prime, al contrario delle misure

sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, ma solo la verifica della astratta
configurabilità del reato (fumus), trattandosi di provvedimenti, fondati su un
“summatim conoscere” cosicché, non essendo profilabili né un pregiudizio
rispetto ad ulteriori atti della fase, né una indebita manifestazione del
convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione, sono insuscettibili di generare
situazioni di incompatibilità a partecipare al giudizio (Sez. 2, n. 3539 del
16/01/2007, Zucchetto, Rv. 235628; Sez. 6, n. 6859 del 03/12/2007, dep.
2008, Puliga, Rv. 239418).

3. La questione di legittimità costituzionale che si chiede di sollevare, con il
terzo motivo di impugnazione, è manifestamente infondata.
Il ricorrente, come è stato già precisato, pretende di assegnare una portata
generale all’ipotesi in cui il giudice abbia sporto querela nei confronti di taluno
che si trovi, in seguito, a rivestire la qualità di parte in un procedimento nel
quale la funzione giurisdizionale debba essere svolta dallo stesso magistrato che
si è querelato, chiedendo che sia sollevata la questione di legittimità
costituzionale degli articoli 36, comma 1, lettera d) e 37 cod. proc. pen. per
violazione degli articoli 111 e 54, comma 2 costituzione e all’articolo 6 Cedu in
relazione all’articolo 117 Costituzione nella parte in cui le norme censurate non
prevedono l’obbligo di astensione e la facoltà di ricusazione del giudice che abbia
presentato una querela nei confronti di un indagato per fatti diversi da quelli
oggetto del procedimento.
Il punto critico della tesi sostenuta sta nel ritenere sempre ricusabile il
giudice che abbia querelato o, a limite, denunciato, per fatti diversi da quelli
oggetto del procedimento, colui che abbia assunto nel processo la qualità di
parte senza alcuna distinzione e senza considerare che tale distinzione è imposta
dal dettato normativo, per nulla irragionevole sul punto, che richiede, al fine di
radicare l’obbligo di astensione del magistrato o al fine di facultare la parte
privata a ricusarlo, la sussistenza di un’inimicizia qualificata, cioè “grave”, tale
essendo non l’inimicizia prospettabile in via astratta o meramente teorica ma
soltanto quella verificabile in concreto, se ed in quanto idonea a pregiudicare

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cautelari personali, non presuppongono una valutazione nel merito della

l’essenza stessa della funzione giurisdizionale, la cui esplicazione richiede la
terzietà e l’imparzialità del giudice ed il cui accertamento si risolve in un giudizio
di fatto rientrante nelle prerogative del giudice di merito e che, se
adeguatamente e logicamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità
affidato alla Corte di cassazione.
La giurisprudenza costituzionale ha evidenziato come l’imparzialità, intesa
sia in senso oggettivo che soggettivo ed intesa anche come apparenza di
imparzialità, costituisce un requisito essenziale dell’esercizio della funzione

che esistono spazi per eventuali interventi volti ad estendere, mediante
l’incidente di costituzionalità, l’area di applicazione degli istituti dell’astensione e
della ricusazione a situazioni non espressamente previste dal codice di rito, ma
tuttavia capaci di esprimere analoghi effetti pregiudicanti per l’imparzialità neutralità del giudice (Corte cost. n. 282 del 2000).
Tuttavia, tale impostazione non incrina il principio del quale non si è mai
dubitato circa il carattere tassativo delle cause di ricusazione, la cui eccezionalità
trova fondamento nella considerazione che esse sono limitative del potere
giurisdizionale, con la conseguenza che le norme che prevedono le cause di
ricusazione sono norme eccezionali e, come tali, di stretta interpretazione, sia
perché determinano limiti all’esercizio del potere giurisdizionale e alla capacità
del giudice sia perché consentono un’ingerenza delle parti nella materia
dell’ordinamento giudiziario, che attiene al rapporto di diritto pubblico fra Stato e
giudice (Sez. 6, n. 14 del 18/09/2013, dep. 2014, Mancuso Rv. 258449).
Sul versante della giurisprudenza europea e sulla premessa che le garanzie
del giusto processo, tra le quali figura l’imparzialità, debbano essere assicurate
dagli Stati contraenti, in maniera che
l’indispensabile fiducia”,

“i tribunali ispirino al pubblico

va anche ricordato che la Corte Edu, anch’essa

segnalando la necessità di uno scrutinio del caso specifico, ha più volte affermato
che l’imparzialità del giudice si coglie in una duplice prospettiva di natura
soggettiva ed oggettiva, peraltro non nettamente separate (Grande Camera,
sentenza 15 dicembre 2005, Kyuprianou c. Cipro, § 119), riguardando la prima il
“foro interiore” del magistrato (sentenza 1 ottobre 1982, Piersack c. Belgio, §
30), da ritenersi imparziale fino a prova contraria (sentenza 26 ottobre 1984, De
Cubber c. Belgio, § 25) e la seconda riguardando le condizioni esteriori, anche le
semplici apparenze, reputate tali da porre in dubbio l’assicurazione di una
giustizia imparziale (sentenza 24 maggio 1989, Hauschildt c. Danimarca, § 48),
essendo in gioco la stessa fiducia che gli organi giurisdizionali devono ispirare ai
cittadini e, soprattutto, nell’accusato, cosicché occorre valutare se le
preoccupazioni siano oggettivamente giustificate (sentenza 25 giugno 1992,
Thorgeir Thorgeirson c. Islanda, § 51).
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giurisdizionale declinato nel sistema delle garanzie costituzionali, evidenziando

Deve pertanto ritenersi non irragionevole ed in linea con i principi del giusto
processo la scelta del legislatore di limitare la ricusabilità del giudice ai soli casi,
per quanto qui interessa, di inimicizia grave e cioè ai casi in cui il comportamento
del giudice, tanto se si estrinsechi in una denuncia – querela o in qualsivoglia
altra condotta, sia indicativo di una reale e concreta compromissione
dell’imparzialità e terzietà del magistrato, in modo da evidenziare l’esistenza di
un rapporto personale di grave inimicizia reciproca tra giudice e parte privata,
con conseguente lesione dei valori costituzionali e convenzionali sui quali fonda il

sull’astensione e la ricusazione del giudice.
Peraltro, la casistica giurisprudenziale, in materia di denuncia del magistrato
per ragioni del tutto avulse da rapporti personali di inimicizia, e la presente
vicenda processuale, come in precedenza riportata, rendono evidente come sia
necessario lo scrutinio circa la possibilità o meno di ritenere incrinata
l’imparzialità e la terzietà del giudice, con la conseguenza che situazioni
indiscriminate poste a base della disciplina dell’astensione e della ricusazione \P” —
rischierebbero di minare concorrenti principi costituzionali (quale il principio del
giudice naturale) e incrinare il principio di bilanciamento tra valori di pari
significatività costituzionale.
Precisato quindi che configura inimicizia grave, suscettibile di richiedere al
giudice l’obbligo di astensione o di legittimare la parte a ricusarlo, la
presentazione di una denuncia o querela – da parte del magistrato nei confronti
di una determinata parte privata che sia interessata ad una vicenda giudiziaria
nella quale il giudice è chiamato sulla base di regole tabellari precostituite a
svolgere le proprie funzioni – che abbia tratto origine da esperienze di vita che
esulano dal rapporto e dalla sfera strettamente professionale o che, se anche da
ciò non esulano, abbia contenuti tali da attestare il rapporto interpersonale di
inimicizia, estraneo a vicende giudiziarie, ipotesi nella specie non ricorrenti (cfr.
§ 2 del considerato in diritto) e chiarito che, anche al di fuori di tale caso, resta
comunque impregiudicata la facoltà del giudice di astenersi “per gravi ragioni di
convenienza”, le quali comunque non abilitano la parte alla ricusazione, la
dedotta questione di legittimità costituzionale deve ritenersi manifestamente
infondata perché, tenuto conto delle precedenti considerazioni, la previsione di
escludere l’obbligo dell’astensione del giudice o la legittimazione della parte a
ricusarlo in casi di inimicizia grave è priva di vizi di irragionevolezza, tendendo a
salvaguardare il principio del giudice naturale precostituito per legge con il diritto
– comunque assicurato quando sia esclusa in concreto la presenza di una grave
inimicizia, nel senso in precedenza precisato, tra giudice e parte privata – del
cittadino ad essere giudicato da un giudice terzo ed imparziale, non determina
pertanto ricadute sul giuramento di fedeltà prestato dal magistrato alla

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principio del processo equo ed al quale devono ritenersi funzionali le norme

Repubblica ed alle sue Leggi, non viola i principi del giusto processo fissati dalle
norme costituzionali e convenzionali e di conseguenza non viola gli artt. 3, 54,
comma 2, 111, 117 Cost, in relazione all’art. 6 Cedu.

4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

P.Q.M.

costituzionale.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 10/02/2016

Dichiara manifestamente infondata la dedotta questione di legittimità

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