Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10100 del 26/02/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 10100 Anno 2016
Presidente: SANDRINI ENRICO GIUSEPPE
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
RADICIA ANTONIO N. IL 10/07/1985
avverso la sentenza n. 176/2015 GIP TRIBUNALE di GELA, del
10/06/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO
CENTONZE;

Data Udienza: 26/02/2016

RILEVATO IN FATTO

Con sentenza emessa il 10/06/2015 il G.U.P. del Tribunale di Gela applicava
ad Antonio Radicia, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., la pena di anni uno,
mesi sei di reclusione e 2.200,00 euro di multa, per i reati di cui ai capi A), B),
C) della rubrica, che si assumevano commessi a Gela il 03/04/2014.
Avverso tale sentenza il Radicia ricorreva per cassazione, a mezzo de suo
difensore, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione

verificare la correttezza della qualificazione giuridica effettuata dalle parti
processuali in sede di patteggiamento, senza fornire ulteriori elementi valutativi
sul percorso motivazionale compiuto e sugli elementi probatori acquisiti nel corso
delle indagini preliminari.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.
Deve, in proposito, rilevarsi che l’applicazione della pena su richiesta delle
parti è un meccanismo processuale in conseguenza del quale l’imputato e il
pubblico ministero si accordano sulla qualificazione giuridica della condotta
contestata, sulla concorrenza di circostanze, sulla comparazione fra le stesse e
sull’entità della pena. Da parte sua, il giudice ha il dovere di controllare
l’esattezza dei menzionati aspetti giuridici e la congruità della pena richiesta e di
applicarla, dopo avere accertato che non emerga in modo evidente una delle
cause di non punibilità previste dall’art. 129 cod. proc. pen.
Ne discende che, una volta ottenuta l’applicazione di una determinata pena,
ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., l’imputato non può rimettere in discussione
profili oggettivi o soggettivi della fattispecie, perché risultano coperti dal
pattegg ia mento.
Nel caso di specie, le doglianze difensive proposte nell’interesse
dell’imputato appaiono prive di specificità e comunque manifestamente
infondate, in ragione del fatto che il Tribunale di Gela, a qualificare
correttamente i fatti di reato contestati al Radicia ai capi A), B), C) della rubrica,
si soffermava correttamente sugli accertamenti investigativi da cui traeva origine
il presente procedimento, compendiati nell’informativa di reato redatta il
29/04/2014 dal Reparto territoriale dei Carabinieri di Gela, richiamandoli
analiticamente a pagina 3 del provvedimento impugnato.
Questa motivazione, avuto riguardo alla speciale natura dell’accertamento in
sede di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 cod. proc.
2

all’assoluta carenza di motivazione, essendosi limitato il giudice procedente a

pen., risulta pienamente adeguata ai parametri richiesti per tale genere di
decisioni, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. U, n. 3
del 25/11/1998, Messina, Rv. 212438).
Per queste ragioni, il ricorso proposto nell’interesse di Antonio Radicia deve
essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al
versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in 1.500,00

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di 1.500,00 euro alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 26 febbraio 2016.

euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.

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