Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10035 del 07/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 10035 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: MULLIRI GUICLA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Serrano Carlo, nato a Napoli il 28.11.69
Amato Massimo, nato a Napoli il 28.5.76
Mercolino Salvatore, nato a Napoli il 20.1.76
Esposito Antonio, nato a Napoli il 22.12.79
De Liberti Maurizio, nato a Napoli il 17.1.83
Starita Salvatore, nato a Napoli il 20.6.76
Serrano Salvatore, nato a Napoli il 30.10.68
Chiarolanza Carmine, nato a Napoli il 7.11.86
La Hara Alfonso, nato a Napoli il 23.4.70
Esposito Mattia, nato Napoli l’11.7.82
imputati artt. 73 e 74 T.U. Stup.

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli del 20.2.13
Sentita, in pubblica udienza, la relazione del cons. Guida Mùlliri;
Sentito il P.M., nella persona del P.G. dr. Pietro Gaeta, che ha chiesto il rigetto dei
ricorsi di: Esposito Antonio, Chiarolanza Carmine, La Hara, Amato Massimo, Serrano Carlo,
Esposito Mattia e Mercolino, nonché una declaratoria di inammissibilità dei ricorsi di De Liberti
Maurizio, di Starita e di Serrano Salvatore

Data Udienza: 07/01/2014

Sentiti i difensori di: Esposito Antonio, avv. Carmine Malinconico, di La Nara, avv.
Domenico Chianese, e, di Amato Massimo, avv. Sperlongano Paolo, per che hanno insistito per
l’accoglimento del ricorso;

1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – I ricorrenti sono stati processati
(tutti, ad eccezione di Starita) per violazione dell’art. 74 T.U. stup., per essersi associati tra loro e
con altre persone, in parte anche non identificate, al fine di commettere più delitti di acquisto,
detenzione a fini di spaccio, cessione e vendita di sostanze stupefacenti del tipo marijuana,
cocaina e crack, con i seguenti ruoli:
– Serrano Carlo, quale dirigente ed organizzatore della piazza di spaccio;
– La Nara, promotore ed intermediario di Serrano, nonché fornitore degli stupefacenti,
coordinatore dei turni (ma anche spacciatore e vedetta);
– Amato, organizzatore addetto, anch’egli, alla fornitura della droga, al reclutamento di
personale ed al conteggio dei guadagni e delle scorte di stupefacente (nonché spacciatore e
vedetta);WW

– Esposito Antonio, promotore e fornitore di droga (nonché spacciatore e vedetta);
– Chiarolanza Carmine, lavorazione dello stupefacente (nonché spacciatore e vedetta);
– Mercolino, De Liberti, Starita, Serrano Salvatore, Esposito Mattia spacciatori e vedette
A ciascuno dei ricorrenti sono, poi, state ascritte varie e numerose ipotesi di reati-fine
consistenti nella violazione dell’art. 73 T.U. stup.
Con la sentenza qui impugnata, la Corte d’appello ha, in parte, riformato la condanna
inflitta loro eliminando, per tutti, l’aggravante di cui al comma 4 dell’art. 74 e, per Amato, La
Hara ed Esposito Antonio, quella di organizzatore nonché, riconosciute a tutti (esclusi Amato e La
Hara) le attenuanti generiche – ritenute equivalenti alle aggravanti contestate ed alla recidiva
(ed anche a quella di cui all’art. 7 L. 203/91) – ha rideterminato la pena di per ciascun imputato.

2. Motivi del ricorso – Avverso tale decisione, i condannati hanno proposto ricorso,
tramite i rispettivi difensori deducendo:
Esposito Antonio
1) violazione di legge e vizio di motivazione perché la sentenza impugnata
ricalca pedissequamente la scarna motivazione dei giudici di primo grado. In particolare si
osserva che la motivazione dell’aggravante di cui all’art. 7 L. 203/91 (essersi avvalsi delle condizioni
previste dall’art. 416 bis c.p.) è motivata in modo insufficiente con il mero richiamo alle dichiarazioni
dei collaboranti (Esposito Ciro e Grimaldi) secondo cui l’associazione si riforniva presso il clan
camorristico Lo Russo con il quale alcuni componenti della presente associazione aveva contatti
per ragioni di parentela o di affari illeciti.
In realtà – si osserva – l’aggravante in questione è più un assioma, al limite del
pregiudizio, che nasce dall’area nella quale operava il gruppo criminoso ascritto all’Esposito.
Con atto depositato successivamente, la difesa di Esposito Antonio ha proposto motivi
aggiunti consistenti nella evidenziazione del fatto che, al proprio assistito, è stata contestata
erroneamente la recidiva reiterata nel quinquennio perché essa non esisteva affatto all’epoca
dei fatti per cui vi è procedimento. La cosa ha avuto delle ripercussioni sulla pena e si chiede,
quindi l’annullamento della sentenza anche sotto questo profilo;

Chiarolanza

2

RITENUTO IN FATTO

1) motivazione apparente perché non é stata data risposta alla richiesta,
avanzata nei motivi di appello, di riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui all’ad 74 comma
6 T.U. stup.;

1) omessa motivazione circa la dedotta inutilizzabilità delle dichiarazioni di
Esposito Ciro e Vitagliano Michele nonché erronea applicazione dell’art. 441 comma 5 c.p.p..
Sostiene, infatti, il ricorrente che le dichiarazioni dei collaboranti Esposito e Vitagliano
sono transitate nel fascicolo del giudizio in modo “clandestino”, vale a dire, successivamente
alla richiesta di rito abbreviato avanzata dall’imputato a nulla valendo il richiamo all’art. 441
comma 5 c.p.p. che, secondo il ricorrente, non potrebbe trovare applicazione nel caso di rito
abbreviato conseguente al decreto di giudizio immediato. Tale ultima ipotesi, infatti, è da
considerare diversa da quella del giudizio abbreviato ordinario perché, con l’emissione del
decreto di giudizio immediato, la esaustività delle richiesta di accusa è già cristallizzata e, non
a caso, anche la richiesta di abbreviato condizionato viene operata dopo che il P.M. ha svolto la
propria iniziativa, chiedendo l’immediato e, quindi, dopo che vi è stata già una definitiva
limitazione del processo (come per l’appunto, avvenuto nel caso del La Hara);
2) omessa ed illogica motivazione nonché violazione di legge con riferimento
all’art. 7 L. 203/01. Si fa notare, da parte del ricorrente, che l’aggravante in parola è stata
sostenuta dalle sole dichiarazioni di Grimaldi, Vitagliano ed Esposito che, però, sono
evidentemente generiche mentre è principio della giurisprudenza di legittimità (Sez. VI, 12.7.12, n.
31337) quello secondo cui la circostanza di cui trattasi può qualificare la condotta di chi, senza
essere organicamente inserito in un’associazione mafiosa, offra un contributo al perseguimento
dei suoi fini «a condizione che tale comportamento risulti assistito, sulla base di idonei dati
indiziari o sintomatici da una cosciente ed univoca finalizzazione agevolatrice del sodalizio
criminoso». Nella specie, invece, la Corte ha ritenuto l’aggravante per il solo fatto che i
dichiaranti lo hanno affermato, senza però approfondire la riscontrabilità dell’assunto e
l’effettivo contributo e legame tra l’associazione ed il clan Lo Russo, da un lato, e l’apporto
cosciente e collaborativo del La Hara, dall’altro;
De Liberti
1) violazione di legge e vizio di motivazione in punto di attenuanti generiche e
pena. Secondo il ricorrente, infatti, le dichiarazioni dei collaboranti non hanno fatto emergere
un quadro così grave da giustificare la pena tanto severa (di dieci anni di reclusione) inflitta
all’imputato;
Starita
1) violazione di legge per omesso riconoscimento dell’attenuante di cui all’art.
114 c.p. ed eccessività della pena. Ed infatti, per la durata temporale dell’apporto e la
modestia del contributo offerto dal ricorrente (vedetta e spacciatore) sarebbe stato possibile
affermare che il suo contributo causale era stato minimale;

Amato
1) violazione di legge per mancanza di motivazione della sentenza a proposito
della consapevole condotta tenuta dall’Amato ai fini dell’applicazione dell’aggravante di cui
all’art. 7 L. 203/91. Peraltro, si richiama l’attenzione sulla modestia del contributo offerto
dall’imputato e della limitata durata temporale di tale apporto;

Serrano Salvatore

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La Hara

1) violazione di legge per omessa motivazione in ordine alla – motivata richiesta di attenuanti generiche da giustificare con le condizioni di salute dell’imputato.

violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata
1)
declaratoria di inutilizzabilità delle dichiarazioni dei collaboratori Esposito Ciro e Vitagliano
Michele.
A tal fine, i ricorrenti ricordano che le dichiarazioni in questione – per espresso
accertamento operato dal G.i.p. a seguito delle eccezioni difensive – non erano presenti tra gli
atti che erano stati posti dal P.M. alla base della propria richiesta di giudizio immediato ditalché
gli imputati avevano deciso di chiedere il rito abbreviato ignorandone i contenuti. Si fa notare
che tali dichiarazioni non erano neppure state indicate nella richiesta di rinvio a giudizio e che,
quindi, non ci si trova al cospetto di un mero difetto di trasmissione materiale. Esse, invece,
erano state rinvenute fisicamente nel fascicolo, immediatamente prima che avesse luogo la
requisitoria del P.M..ed il G.u.p. ne aveva poi deciso l’ammissione ex art. 441 comma 5 c.p.p..
Si obietta, però, che, così facendo, si rischia di arrivare al punto che il P.M., nella propria
richiesta di giudizio immediato, possa allegare solo alcune risultanze investigative
trasmettendo poi, successivamente le altre all’indomani della scelta irreversibile
dell’imputato di essere giudicato con il rito abbreviato.
Si sostiene, altresì, che, nel caso di specie, non può essere attribuita efficacia sanante al
fatto che il G.u.p. abbia deciso di disporre l’esame ed il controesame dei dichiaranti.
Si soggiunge, infine, che la scelta di ammettere le dichiarazioni dei collaboratori di
giustizia ha avuto effetti decisivi anche ai fini del riconoscimento dell’ipotesi associativa;
2) violazione di legge con riferimento al riconoscimento dell’aggravante di cui
all’art. 7 L. 203/91. Si fa notare che l’osservazione del gruppo di spaccio in azione ha avuto
una durata troppo breve per riscontrare la ricorrenza delle condizioni di cui all’aggravante in
parola sì che, di fatto, ci si è basati solo sulle parole dei dichiaranti Esposito e Vitagliano;
(per il solo Serrano Carlo) violazione di lesge in relazione all’art. 74 T.U. stup..
a) Si fa, infatti, notare che il ruolo apicale del Serrano vive solo alle
dichiarazioni dei collaboranti Esposito e Grimaldi ma viene contrastato dalla rarità delle
occasioni in cui è stata riscontrata la presenza di Serrano nonché dalle parole di un altro
collaboratore, Torino Salvatore che, in data 12.3.09, nell’indicare i responsabili delle singole
piazze di spaccio riconducibili al clan Lo Russo, non ha mai menzionato il Serrano
b) nonostante sia stato accolto il motivo di appello circa la insussistenza
dell’aggravante dell’uso delle armi non ha fatto seguito alcuna riduzione della pena
3)

4) (per il solo Esposito Mattia) violazione di legge e vizio di motivazione in quanto i
giudici di merito hanno ribadito la partecipazione dell’Esposito al sodalizio criminoso sebbene le
convergenti dichiarazioni di Esposito Salvatore e Grimaldi ne escludano la partecipazione e le
stesse intercettazioni ne confermino la partecipazione sulla piazza dello spaccio solo per due
giorni. Inoltre, la Corte avrebbe travisato le risultanze probatorie confondendo le piazze ove
l’Esposito Mattia aveva spacciato visto che Vitagliano, nell’interrogatorio dell’8.3.11 a f. 6
aveva specificato che Esposito Mattia aveva svolto il ruolo di confezionatore delle dosi nella
piazza esistente tra il bar Abbatiello ed il bar De Rosa di via Vittorio Veneto e non, quindi, nel
rione Pippotto oggetto del presente procedimento.

I ricorrenti concludono invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

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Serrano Carlo, Esposito Mattia e Mercolino

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi sono in parte infondati ed, in parte, inammissibili.

3.1. (Ricorso congiunto per Serrano Carlo Mercolino Salvatore ed Esposito Mattia). Detto gravame
deve essere respinto.
3.1.1 Dalla ricostruzione delle vicende proposta dai ricorrenti, si comprende che
l’acquisizione delle dichiarazioni dei collaboranti è stata caratterizzata da un disguido pratico
(connesso magari alla mancata trasmissione di atti, indicati come allegati, ma poi materialmente non annessi) ma,
di certo, non si tratta di alcuna anomalia di tale gravità da giustificare la invocata declaratoria
di inutilizzabilità di quelle dichiarazioni.
La ragione di tale conclusione è sintetizzata nella decisione della Corte quando ( v ff. 11 e
12), nell’affrontare l’analoga eccezione, ricorda che la scelta di optare per il rito abbreviato
implica da parte dell’imputato (S.U. 23.6.00, Tammaro, Rv. 216246) una consapevole e volontaria
rinuncia a far valere eventuali vizi non “patologici”.
Come meglio precisato dalle sezioni unite, infatti, il rito abbreviato costituisce un
procedimento “a prova contratta”, alla cui base è identificabile un patteggiamento negoziale sul
rito (a mezzo del quale le parti accettano che la regiudicanda sia definita all’udienza preliminare alla stregua degli atti
di indagine già acquisiti e rinunciano a chiedere ulteriori mezzi di prova). In tal modo, le parti acconsentono
anche ad attribuire agli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari quel valore
probatorio di cui essi sono normalmente sprovvisti nel giudizio che si svolge invece nelle forme
ordinarie del dibattimento.
Ciò vuol dire, perciò, in primo luogo, che le anomalie connesse alla acquisizione delle
dichiarazioni dei c.d. collaboranti sono state superate dalla adesione degli imputati al rito
speciale. In secondo luogo, vale l’ulteriore argomento, svolto dalla Corte, che, in ogni caso, il
negozio processuale di cui trattasi «può avere ad oggetto esclusivamente i poteri che rientrano
nella sfera di disponibilità degli interessati, ma resta privo di negativa incidenza sul poteredovere del giudice di essere, anche in quel giudizio speciale, garante della legalità del
procedimento probatorio».
L’argomentazione si giustifica alla luce del fatto che il G.u.p., facendo ricorso al potere
che gli viene riconosciuto dall’art. 441, comma 5, c.p.p., ha garantito quel contraddittorio che
sembrava essere stato offuscato dal disguido segnalato dalle difese e – come ricordano gli
stessi ricorrenti nel loro gravame – non solo, ha disposto l’acquisizione di quelle dichiarazioni
che non erano state trasmesse in allegato alla richiesta di giudizio immediato ma, per di più,
«ha ordinato per la successiva udienza del 27.11.11. la citazione dei collaboratori per il loro
eventuale controesame» (f. 2 ricorso).
I ricorrenti censurano il fatto che anche la Corte di appello abbia avallato tale decisione
arrivando a mettere in discussione la validità della scelta del rito abbreviato avvenuta senza la
previa lettura di quei verbali. Vi è da dire, però, che la loro esistenza non era sconosciuta
all’atto della scelta del rito visto che essi erano stati già indicati nella richiesta di giudizio
immediato nell’elenco degli atti sui quali essa era stata fondata e che si era semplicemente
verificata una omissione materiale, nell’allegazione di tali atti, come – si apprende dallo stesso ricorso
– è stato accertato dalla segreteria del G.u.p. (che aveva fatto degli accertamenti proprio sulla base delle
doglianze della difesa).

L’argomento difensivo, quindi, è capzioso perché, se è vero che, al momento in cui
chiesero di essere giudicati con il rito abbreviato gli imputati non avevano letto il contenuto
delle dichiarazioni dei collaboratori, di certo però, essi sapevano della loro esistenza perché
(sebbene non allegate) quelle dichiarazioni erano state indicate tra gli atti sui quali il P.M. aveva
fondato la propria richiesta di giudizio immediato.
Pertanto, dal momento che la scelta del rito abbreviato è solo una facoltà per gli
imputati, essi, non conoscendo il contenuto di quelle dichiarazioni, ben avrebbero potuto
astenersi dall’optare per il rito speciale.
Sta di fatto, in ogni caso, che l’anomalia verificatasi a seguito dell’invio successivo di
quegli atti, è stata ampiamente compensata dalla decisione del G.u.p. di dilatare il
contraddittorio al punto da consentire l’eventuale controesame dei dichiaranti.
5

3. Motivi della decisione
Come di seguito, meglio precisato.

Per l’effetto, deve anche dirsi che – essendo pienamente utilizzabili — le
3.1.2
affermazioni di Esposito e Vitagliano , unitamente a quelle del Grimaldi, valgono a sostenere la
contestazione di cui all’art. 7 L. 203/91. Sul punto, deve dirsi che la doglianza dei ricorrenti in
esame sarebbe, persino, inammissibile per la sua mera assertività negatoria (esaurendosi essa nel
mero assioma dell’assenza di prova circa la ricorrenza dell’aggravante).
3.1.3 Altro argomento difensivo del ricorso in esame è stato svolto nell’interesse
del solo Serrano Carlo al fine di sostenere l’assenza di prova della posizione apicale di tale
imputato nella organizzazione criminosa della quale è accusato di far parte.
Anche tale motivo è ai limiti dell’inammissibilità visto che tenta di coinvolgere questa
Corte in una rilettura delle dichiarazioni dei collaboranti per evidenziare asseriti contrasti tra le
parole di Esposito e Grimaldi e quelle di altro collaboratore, Torino Salvatore. E’ fin troppo
noto, però, che la verifica del questa S.C. svolge sulla motivazione del giudice di merito non
può risolversi in una valutazione della prova al punto da diversa lettura dei dati processuali o
una diversa interpretazione delle prove al punto da optare per la soluzione che si ritiene più
adeguata alla ricostruzione dei fatti ( rivedendo, ad esempio, l’attendibilità di testi o conclusioni peritali e di consulenti
tecnici – tra le ultime, Sez. lI 11.1.07, Messina, Rv. 235716; Sez. VI 17.10.06 Ouardass, n. 37270Sez. IV, 17.9.04 n., Cricchi, Rv.
229690). Ciò che rileva, infatti, è che la motivazione abbia fotografato correttamente la realtà
sulla scorta di quanto accertato. Orbene, ricordano i giudici di appello che le indicazioni a
carico di Serrano Carlo, ed il fatto che egli gestisse una piazza di spaccio, sono venute ancor
prima dell’attivazione dell’indagine che ha dato vita al presente procedimento da «plurime
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia» (f. 14). Tra queste ultime, vi sono, innanzitutto,
quelle di Grimaldi Mariano che ha dichiarato di conoscere il Serrano Carlo come componente il
clan Lo Russo e titolare di una piazza di spaccio sita in Napoli nella zona di Piscinola. Grimaldi,
oltre a fornire ulteriori indicazioni a riguardo (citando altri soggetti tra i quali alcuni degli odierni ricorrenti,
Chiarolanza, Esposito Mattia, Amato Massimo, Mervcolino Salvatore), ha riconosciuto senza esitazioni, in
foto, il Serrano (f. 15) e, nell’effettuazione di altre individuazioni fotografiche, ha indicato diversi
soggetti come persone che “lavorano per” il Serrano (f. 16).
Come non negato, poi, dallo stesso ricorrente Serrano, ulteriori conferme a tali
indicazioni provengono dalle dichiarazioni di Esposito Ciro e Vitagliano Michele (f. 17) i cui chiari
contenuti non sono contestati (essendosi il ricorrente limitato a cercare solo una declaratoria di inutilizzabilità
di quelle deposizioni). Vi è da dire che l’evocazione di tali fonti di accusa, da parte della Corte è
circa la attendibilità
corroborata dal vaglio di adeguatezza della motivazione del G.u.p.
intrinseca ed estrinseca di quelle dichiarazioni che, oltre ad essere, tra di loro, perfettamente
sovrapponibili, sono state confermate dalle «copiose intercettazioni effettuate e dalle
altrettanto esaustive videoriprese», senza trascurare di ricordare la documentazione oggetto di
sequestro circa la contabilità delle attività criminose.
A fronte di tale congrua e logica motivazione è, quindi, vano lo sforzo del ricorrente di
contrapporre la possibilità di una lettura diversa delle medesime fonti di prova. La sentenza
impugnata, peraltro, si diffonde ulteriormente ed ampiamente nella illustrazione della
sussistenza dell’associazione e del ruolo apicale svolto dal Serrano con ricchezza di citazioni
specifiche di conversazioni telefoniche emblematiche dell’attività svolta dall’imputato e dai suoi
sodali (come Mercolino o La Hare) e conclude, quindi, in modo più che motivato con l’affermazione
che «la persona indicata talvolta come “o zio” e con il diminutivo di “Carletto” corrisponde
all’odierno imputato Serrano Carlo, capo dell’organizzazione criminale per cui vi è processo ed
in quanto tale con apparizioni sporadiche proprio per il suo ruolo di controllo e di soggezione da
incutere agli altri sodali» (r.20).

6

Non va, poi, dimenticato che la ratio dell’art. 441 comma 5 c.p.p. è proprio quella di
consentire al giudice di avere gli elementi della decisione necessari ed è errato il ragionamento
dei ricorrenti quando cerca di richiamare l’attenzione sul fatto che, grazie a tale strumento, sia
possibile introdurre nel fascicolo elementi che non erano presenti al momento in cui viene
formulata la richiesta di abbreviato. Diversamente opinando, infatti, verrebbe meno il senso
stesso di una norma che riconosce al G.u.p. un potere di integrazione.
La questione della ritualità dell’acquisizione delle dichiarazioni di Esposito e Vitagliano
è, pertanto, infondata a va respinta.

esempio in termini di distanze tra gli stessi).

Peraltro, in difetto di maggiori ragguagli, non si può, neppure, fare a meno di
constatare che la Corte, a proposito di Esposito Mattia, evidenzia il ruolo di stabile e solerte
spacciatore nella piazza gestita dal Serrano «e ciò, anche se parte dell’attività di spaccio si è
svolta nei pressi della via Vittorio Emanuele di Piscinola, ovvero preso il bar che era posizionato
anch’esso in posizione strategica per il controllo dello spaccio in zona». Non sembra, quindi,
neppure riscontrata la presunta erroneità di ubicazione del luogo di spaccio (rispetto alle località
citate dal ricorrente) considerato, in ogni caso, che la disgiuntiva “anche se”, rispetto alla
affermazione precedente “nella piazza gestita dal Serrano”, legittima il convincimento che,
effettivamente, vi fosse una qualche diversità di luoghi ben nota ai giudici i quali – però l’hanno considerata irrilevante e non contrastante con la tesi della collaborazione dell’Esposito
Mattia nello spaccio per conto di Serrano.
Ma, ciò che più conta, il denunciato travisamento, anche ove esistente, non risulta
significativo non essendone stata chiarita, dal ricorrente, la decisività.

Ugualmente da respingere è il ricorso di Chiarolanza dal
3.2. (Ricorso per Chiarolanza ).
momento che, tra i motivi di appello non si rinviene quello diretto ad ottenere il
riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui all’art 74 comma 6 T.U. stup. (esso vede, infatti, solo
sulla responsabilità nonché sulla esclusione delle aggravanti di cui all’art. 74 commi 1 e 4 D.P.R. 309/90, nonché della

Il motivo qui svolto, pertanto, è da qualificarsi come un “novum” e, come tale,
inammissibile perché coinvolge punti della decisione ormai intangibili per non essere investiti
da tempestiva doglianza nella fase di merito e, perciò, assistiti dalla presunzione di conformità
al diritto (Sez. IV, 18.5.94, Bentam, Rv. 199216).
recidiva).

Detto “Alfonso”, La Hara è il genero di Serrano Carlo ed è,
3.3. (Ricorso per La Nara).
appunto, trattando la posizione di detto imputato che già si è fatto riferimento al
coinvolgimento di tale ricorrente.
3.3.1 Nello specifico, il primo motivo di gravame di La Hara deve essere respinto
perché il confuso argomentare tende ad avallare una inesistente differenza tra abbreviato
“ordinario” ed abbreviato “da immediato”.
L’art. 458 c.p.p. richiama tutte le disposizioni dell’abbreviato ordinario “in quanto
compatibili” e di certo il ricorrente non spiega dove si anniderebbe l’incompatibilità
dell’applicazione del comma 5 dell’art. 441 nel caso di giudizio abbreviato instaurato a seguito
di richiesta di giudizio. La replica della Corte sul punto (f.12) risulta più che sufficiente e non ci
si può che richiamare ad essa ed a quanto già commentato nel precedente paragrafo 3.1.1 a
proposito dell’assoluta regolarità del rito abbreviato qui svolto.
E’ ai limiti dell’inammissibilità il secondo motivo di ricorso del La Hara
3.3.1
perché scivola nel fatto ed è reiterativo del medesimo motivo di appello (secondo cui la Corte si
sarebbe limitata a valorizzare le dichiarazioni dei collaboranti).

7

3.1.4 Le considerazioni appena svolte per Serrano valgono, in parte, anche per
replicare, affermandone la infondatezza, al motivo di ricorso svolto nell’interesse del solo
Esposito Mattia.
Anche in questo caso, infatti, viene rimessa in discussione la lettura delle dichiarazioni
di Esposito e Vitagliano estrapolando opposte affermazioni di altro dichiarante ed evidenziando
la brevità temporale (una sola settimana) del contributo dato dall’Esposito all’associazione di cui è
accusato di far parte.
Vi è da dire, però, che il tutto si risolve, ancora una volta in un’inammissibile invito a
rileggere gli atti per dare ad essi una valenza diversa e, possibilmente, riduttiva della
responsabilità del ricorrente. Di certo, nessun pregio ha l’asserito “travisamento” in cui
sarebbero incorsi i giudici di merito confondendo le piazze ove l’Esposito Mattia aveva
spacciato (che non sarebbe da individuare – come detto – nel rione Pippotto bensì – come riferito da Vitagliano nella piazza esistente tra il bar Abbatiello ed il bar De Rosa di via Vittorio Veneto). L’argomento, del tutto
peculiare e, comunque, scarsamente documentato, non può essere vagliato da questa S.C. cui
è precluso l’accesso agli atti (sì da non potersi neppure comprendere la incidenza della diversità di luoghi ad

Il punto è che la obiettiva enfatizzazione, da parte dei giudici di merito ( tra i quali va
ricompreso ovviamente anche il G.U.P. con una sentenza motivata che si è “saldata” con quella qui impugnata, formando un unico
corpo motivazionale)

delle parole dei c.d. collaboratori di giustizia non può essere svilita in sé e per

sé visto che –

come si è già avuto modo di sottolineare in precedenza, trattando della posizione di Serrano e di

altri ricorrenti – il frequente richiamo
argomentato (v. retro par. 3.1.3).

3.4.

alle accuse dei collaboratori è avvenuto in modo

(Ricorsi di Esposito Antonio, Amato Massimo, De Liberti Maurizio, Starita Salvatore e Serrano

Tutti i ricorsi qui indicati devono essere dichiarati inammissibili perché generici e/o in
fatto. Essi denunciano tutti in modo alquanto vago e confuso presunte violazioni di legge o vizi
motivazionali che, però, nella sostanza dovrebbero essere individuati nel tipo di conclusioni
raggiunte dalla decisione impugnata.
Così facendo, il ricorrente mostra di equivocare il compito di controllo di questa S.C..
Va, peraltro sottolineato che, in via generale, un vizio motivazionale non dà mai luogo a
violazione di legge se non quando il difetto della motivazione consista nel fatto di non esistere
graficamente o di essere apparente mentre l’eventuale illogicità manifesta può denunciarsi,
nel giudizio di legittimità, soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla
lett. e) dell’art. 606 stesso codice (S.1.1, 28.1.04, Bevilacqua, Rv. 226710). In ogni caso, la non
condivisibilità di una decisione non la rende, per ciò solo, illogica.
Conseguentemente, nella misura in cui questa S.C. ravvisi che le prove sono state
tutte considerate in modo esauriente e non manifestamente contrario alla logica, il
provvedimento esaminato diviene inoppugnabile ed, anzi, si finirebbe per travalicare i confini
di pertinenza del solo giudice di merito se si accedesse ad una diversa interpretazione (ancorché
astrattamente possibile) dei medesimi elementi.
Resta, da soggiungere, da ultimo, che, ai fini di una valida sostenibilità del vizio di
motivazione ex art. 606 lett. e) c.p.p., la specificità dei motivi di gravame è un corollario
imprescindibile dovendo, essi, «contenere l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli
elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta (sez. VI, 15.3.06, Casula, Rv. 233711; Sez. VI, 14.6.06, Policella,
Rv. 234914).

Tutto ciò doverosamente premesso in via generale, consegue inevitabile la
preannunciata declaratoria di inammissibilità dei ricorsi restanti.
Quanto a quello di Esposito Antonio, come si è già avuto modo di ricordare in
precedenza trattando il medesimo punto (v. retro, par. 3.1.2) l’asserzione della insufficienza di una
valida motivazione circa la esistenza dell’aggravante è basata solo sulla pura e semplice
negazione di validità delle parole dei dichiaranti Esposito e Vitagliano non avendo la difesa
illustrato le ragioni specifiche per le quali gli elementi valorizzati nella pronuncia impugnata
non sarebbero idonei a sostenere la contraria affermazione. Di certo, nessuna valenza può
darsi alla mera insinuazione secondo cui il riconoscimento dell’aggravante sarebbe solo frutto
di pregiudizio.
Anche nei motivi aggiunti il ricorrente si limita ad una vaga ed indistinta censura
sfornita di qualsivoglia allegazione a sostegno
Il ricorso di Amato Massimo è inammissibile, oltre che per la sua genericità, per
l’auspicio insito in esso di una rivalutazione della posizione processuale del ricorrente onde
pervenire ad un ridimensionamento della sua responsabilità in considerazione del ridotto
apporto.
Va, preliminarmente, sottolineato che la “mancanza” di motivazione ricorre solo in
difetto grafico o mera “apparenza” della stessa. Tale non è il caso in esame Come già
richiamato in precedenza, trattando della medesima sollevata da altri ricorrenti per mettere in
discussione la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7 L. 203/91, essa è stata giustificata
dai giudici di merito più che congruamente con il richiamo alle plurime e concordi affermazioni
dei c.d. collaboratori, l’attendibilità dei quali è stata ritenuta supportata dalla loro omogeneità
oltre che dalle ulteriori ed analoghe acquisizioni sopraggiunte da altre fonti di prova. Non resta,
quindi, che riportarsi a quanto già detto a riguardo.

8

Salvatore).

Stessa conclusione va raggiunta a fronte dell’ancora più generico ricorso di Starita. Il
ricorrente, infatti, afferma puramente e semplicemente il proprio diritto al riconoscimento di
attenuanti o ad un trattamento più benevolo in considerazione del modesto apporto. Come
però, già ripetutamente detto nel corso del presente provvedimento, dai poteri della Corte di
Cassazione esula quello di una rilettura, degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione. Essa spetta, in via esclusiva, al giudice di merito, senza che possa integrare vizio di
legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione
delle risultanze processuali (sez. VI, 8.5.09, n. 22445, Rv. 244181).

Infine, è inammissibile anche il ricorso di Serrano Salvatore che giunge a dolersi di un
diniego delle attenuanti generiche che non risponde al vero visto che, al contrario, esse sono
state riconosciute e dichiarate equivalenti alle altre aggravanti. Si tratta, dunque, di doglianza
manifestamente infondata.

Nel respingere i ricorsi di Serrano Carlo, Mercolino Salvatore, Chiarolanza Carmine, La
Hara Alfonso ed Esposito Mattia, segue, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento
delle spese processuali.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi di Amato Massimo, Esposito Antonio, De
Liberti Maurizio, Starita Salvatore e Serrano Salvatore, segue, per legge, la condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, al versamento alla Cassa delle
Ammende della somma di 1000 C.

P.Q.M.
Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna Amato Massimo, Esposito Antonio, De Liberti
Maurizio, Starita Salvatore e Serrano Salvatore al pagamento delle spese processuali e,
ciascuno, al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000 C.
Rigetta i ricorsi di Serrano Carlo, Mercolino Salvatore, Chiarolanza Carmine, La Nara Alfonso,
Esposito Mattia e li condanna al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 7 gennaio 2014
Il Presidente

Il ricorso di De Liberti, contesta la decisione impugnata con riguardo alla pena. A
prescindere che trattasi di affermazione pura e semplice – non sostenuta da argomenti
puntuali e specifici – va soggiunto, in ogni caso, che si è al cospetto della espressione di un
punto di vista del tutto soggettivo che il ricorrente contrappone a quello della Corte.
Quest’ultima per parte sua, aveva anche accolto l’appello dell’imputato volto ad ottenere le
attenuanti generiche che, infatti, previa declaratoria di equivalenza con tutte le aggravanti, ha
portato ad una riduzione della pena inflitta al ricorrente la cui doglianza, quindi, appare – così
come formulata – del tutto generica ed assertiva.

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