Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 10011 del 27/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 10011 Anno 2016
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MAIDA GAEL FRANK N. IL 07/04/1970
avverso la sentenza n. 3126/2013 CORTE APPELLO di CATANIA, del
12/05/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA
ANDRONIO ;

Data Udienza: 27/11/2015

RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 12 maggio 2015, la Corte d’appello di Catania ha
confermato la sentenza del Tribunale di Catania del 28 marzo 2011, con la quale
l’imputato era stato condannato alla pena di un mese di reclusione, concesse le
circostanze attenuanti generiche, per il reato di cui agli artt. 46 e 47 del d.P.R. n. 445
del 2000 e 483 cod. pen., perché, predisponendo una dichiarazione sostitutiva di
certificazioni richieste dalla Capitaneria dì Porto, dichiarava falsamente di non aver

2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per
cassazione, deducendo l’erronea applicazione degli artt. 131 bis e 133 cod. pen., nonché
la manifesta illogicità della motivazione quanto al dolo del reato e quanto al mancato
riconoscimento della speciale tenuità del fatto. Non si sarebbe considerato, in
particolare, che il modulo era stato compilato dall’imputato frettolosamente e che egli
aveva equivocato sul significato della dichiarazione che doveva presentare, pur avendo
egli più precedenti penali. E nel concedere le circostanze attenuanti generiche e nel
determinare la pena in misura di un mese il Tribunale avrebbe sostanzialmente ritenuto
la non gravità del reato, poi negata dalla Corte d’appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile, perché basato su una censura manifestamente
infondata.
Correttamente i giudici di merito, con conforme valutazione, hanno ritenuto
sussistenti tutti gli elementi del reato, essendo del tutto inverosimile la ricostruzione
difensiva secondo cui l’imputato non si sarebbe reso conto della gravità dei suoi
precedenti. Egli era stato, infatti, in un caso, condannato ad addirittura cinque anni di
reclusione, pur avendo espiato di fatto meno di tre anni, a seguito dell’esito favorevole
del regime di affidamento in prova. Il modulo da compilare, del resto, riportava in modo
evidente il termine “condanna” e non faceva alcun riferimento alla pena effettivamente
espiata. E del tutto generiche risultano le deduzioni difensive circa la scarsa
comprensione da parte dell’imputato del contenuto del modulo che egli aveva
falsamente compilato. Motivatamente la Corte d’appello ha escluso che il reato
commesso potesse essere ritenuto di lieve entità, trattandosi di un falso che ha reso
necessarie successive verifiche da parte dell’ente pubblico ed ha inciso sull’iter
amministrativo in modo da comportare una significativa lesione dell’interesse al corretto
andamento della pubblica amministrazione. A fronte di una tale motivazione logicamente adeguata e, dunque, insindacabile in sede di legittimità – non assume

riportato condanne penali; con la recidiva (il 2 settembre 2008).

alcuna rilevanza in senso contrario il fatto che all’imputato siano state concesse le
circostanze attenuanti generiche e che la pena sia stata contenuta nel minimo.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia
proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del

in C 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2015.

versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata

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