Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1000 del 24/11/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 1000 Anno 2016
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MENICHETTI CARLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BELLIA WALTER N. IL 12/12/1957
avverso la sentenza n. 2080/2013 CORTE APPELLO di L’AQUILA,
del 10/02/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/11/2015 la relazione fatta dal

Consigliere Dott. CARLA MENICHETTI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
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Data Udienza: 24/11/2015

Considerato in fatto
1. Con sentenza in data 10.2.2014 la Corte d’Appello di L’Aquila, in parziale
riforma della sentenza del Tribunale di Chieti di condanna di Bellia Walter alla pena di
giustizia per il delitto di incendio colposo (artt.449 in relazione all’art.423, secondo
comma, c.p.), di due contravvenzioni all’art.256 D.Igs.n.152/2006 (comma 10 lett.a e
comma 40) e di una violazione urbanistica ad oggetto la illecita realizzazione di alcuni
manufatti (art. 44 lett.b D.P.R.n.380/2001), dichiarava estinta tale ultima

inflitta in prime cure.
2. La Corte territoriale riteneva provata la responsabilità dell’imputato, quale
legale rappresentante dello stabilimento industriale “Seab s.r.l.”, della superficie
complessiva di mq.33.000 circa, per l’incendio che si era verificato la sera del 18.7.2009
ed aveva interessato un edificio di mq.5.500 adibito alla raccolta di materiali vari e rifiuti
speciali, una tettoia della dimensione di mq.2.000 circa, nonché tutti i materiali ivi
contenuti e i materiali accatastati all’esterno tra il muro di cinta e l’edificio; rilevava che il
punto in cui era divampato l’incendio era vicino alla strada pubblica ed aveva provocato,
date le sue vaste proporzioni, pericolo per la pubblica incolumità, tanto che l’opera di
spegnimento da parte dei Vigili del Fuoco era durata oltre dieci ore. Quanto alle cause
dell’evento, affermava che l’incendio era stato generato da autocombustione, provocata
dalla presenza di grossi quantitativi di rifiuti infiammabili, che anche in considerazione
della temperatura esterna particolarmente elevata, aveva sviluppato una notevole
quantità di calore, con conseguente estensione dell’incendio ai materiali accumulati nelle
vicinanze. In relazione poi alle contravvenzioni, rilevava come l’attività c.d. di vagliatura
non fosse ricompresa tra quelle di trattamento dei rifiuti oggetto dell’autorizzazione
rilasciata dalla Regione Abruzzo alla Seab e come i rifiuti fossero stati stoccati su un’area
destinata alla movimentazione, e quindi diversa da quella riportata nella planimetria
costituente parte integrante dell’autorizzazione regionale del 21.9.2006.
3. Propone ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, indicando tutti i
motivi di cui all’art.606 c.p.p., ampiamente argomentati, con cui censura la pronuncia
della Corte di merito sotto vari profili: per non aver proceduto ad una corretta disamina
in ordine alla prova del nesso eziologico ed alle cause che avevano dato origine
all’incendio, aderendo alle conclusioni del perito della Procura senza per nulla valutare le
conclusioni cui era giunto il perito di parte; per aver erroneamente considerato la
vagliatura non ricompresa nelle attività autorizzate; per avere immotivatamente
disatteso tutte le richieste di integrazione istruttoria riproposte dalla difesa e ritenuto non
necessario disporre una perizia al fine di verificare l’esatta causa che aveva generato
l’incendio; infine, per aver escluso a priori che l’incendio fosse stato generato da cause
non imputabili al ricorrente o da caso fortuito.

contravvenzione per rilascio del permesso a costruire in sanatoria e riduceva la pena

Ritenuto in diritto
4. Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza dei motivi.
4.1. Come già detto in narrativa, sotto un primo profilo, ripreso in più motivi, il
ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale non aveva correttamente valutato la
prova delle cause che avevano dato origine all’incendio, ma aveva riproposto i medesimi
errori interpretativi del consulente della Procura e del Giudice di prime cure senza
esaminare le conclusioni cui erano giunti i consulenti di parte, ritenendo non necessario

mentre non poteva escludersi a priori che l’incendio fosse dovuto a cause non imputabili
ad esso ricorrente ovvero a caso fortuito; si duole ancora della mancata integrazione
istruttoria relativamente alla escussione di un teste (nella persona di Addante Nicolino).
La censura si palesa all’evidenza del tutto generica laddove non è accompagnata
da una concreta e differente ipotesi di ricostruzione dell’evento che si assume non
valutata dalla Corte e rimasta estranea alle argomentazioni su cui si è basata la
pronuncia di condanna, mentre per quanto riguarda la mancata escussione del teste non
sono state in alcun modo esposte le circostanze rilevanti ai fini probatori che avrebbero
dovuto formare oggetto della deposizione.
Di contro, la Corte di L’Aquila non si è limitata a condividere pedissequamente le
conclusioni del consulente della Procura, su cui si era già basata la pronuncia di condanna
in prime cure, ma ha evidenziato come vi fossero rifiuti accumulati in luogo esposto
all’elevato calore esterno dovuto al periodo estivo, vicini ad altri rifiuti infiammabili per
natura, costituiti in parte da rifiuti che non avevano subito trattamenti, assimilabili a
quelli urbani, (tra l’altro materassi e sedie), in parte da rifiuti già trattati per essere
destinati all’inceneritore: aveva quindi concluso, con logico processo interpretativo dei
dati acquisiti al processo, che l’incendio era stato generato da autocombustione, da un
innesco cioè dovuto ad una reazione isotermica che aveva provocato una notevole
quantità di calore e si era esteso ai materiali ammassati nelle vicinanze.
Su questo specifico punto, oggetto della contravvenzione addebitata al capo c), la
Corte di merito, interpretando in maniera conforme a legge la normativa regionale di cui
alla L.R. 19.12.2007, n.45, ha rilevato come la stessa qualificasse come variante “non
sostanziale”, soggetta a semplice comunicazione alla regione o alla provincia, la mera
diversa localizzazione di attrezzature e strutture di servizio (quali uffici, box e simili) non
comportanti una diversa gestione dei rifiuti, e non certo la dislocazione dei rifiuti stessi,
per l’evidente ragione che il luogo di stoccaggio, dovendo rispondere a criteri di sicurezza
e funzionalità peculiari al tipo di rifiuti trattati, assume una rilevanza differente rispetto
alla ubicazione assolutamente neutra di locali ed uffici della ditta.
4.2. Lamenta ancora il ricorrente che la Corte territoriale aveva erroneamente
ritenuto la fase della vagliatura estranea all’autorizzazione regionale, mentre – seppur
non espressamente citata in detto provvedimento amministrativo – doveva ritener

disporre una perizia al fine di verificare l’esatta causa che aveva generato l’incendio,

implicitamente richiamata nella documentazione allegata alla istanza di rilascio, come da
prassi lecita e diffusa in materia.
Anche su questo punto la sentenza impugnata appare motivata in maniera
corretta ed approfondita.
Premesso che la vagliatura tecnicamente è un sistema di pretrattamento
meccanico dei rifiuti che consiste nella separazione dei materiali per ridurne le dimensioni
e predisporre poi le operazioni successive di trattamento, recupero anche parziale, riciclo,

temporalmente anteriore rispetto a quella di trattamento vero e proprio dei rifiuti, la
Corte di merito ha ritenuto che la stessa, anche in ragione delle diverse opzioni tecniche
possibili, non potesse ritenersi implicitamente contenuta nell’autorizzazione regionale
n.DN3/1047 rilasciata alla Seab s.r.I.: se è vero infatti che nella documentazione allegata
alla istanza si faceva riferimento all’ “attività di selezione e cernita” è del pari vero che
l’autorizzazione tace sul punto e – proprio per quella pluralità di scelte tecniche proprie
della vagliatura, da esaminarsi attentamente da parte dell’organo di controllo – tale
omessa menzione non poteva essere semplicisticamente interpretata nel senso voluto dal
richiedente.
5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa
delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero.

P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore
della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 24 novembre 2015

Il Consi

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Il Presidente

termovalorizzazione e smaltimento finale e dunque è un’attività selettiva dei materiali

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