Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 1 del 02/12/2014

Penale Sent. Sez. 6 Num. 1 Anno 2015

Presidente: AGRO’ ANTONIO

Relatore: DE AMICIS GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PP.

MP.

FG.

LP.

LC.

MA.

IW.

RG.

GB.

avverso l’ordinanza n. 705/2014 TRIB. LIBERTA’ di MILANO, del

04/07/2014

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. G.S.;

sentite le conclusioni del PG Dott. R.A., che ha

concluso per il rigetto dei ricorsi di P., M.,

L., L., M., I.,

R. e G., e per l’annullamento con rinvio per

l’adeguatezza della misura e rigetto nel resto per il ricorso di

F.;

Uditi i difensori……

Data Udienza: 02/12/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 4 luglio 2014 il Tribunale di Milano, in parziale

accoglimento dell’appello proposto dal P.M. avverso l’ordinanza del G.i.p. presso

il Tribunale di Milano in data 5 maggio 2014, che rigettava le richieste di

applicazione della misura della custodia cautelare in carcere e degli arresti

domiciliari nei confronti di una serie di persone indagate a vario titolo per i reati

segreti d’ufficio, ha applicato la misura della custodia cautelare in carcere nei

confronti di F. G. – già sottoposto alla stessa misura per i reati di

cui ai capi sub A), C), E), H), I), L), N), O), P) – per quelli di cui ai capi sub B),

D) e G).

Ha inoltre applicato la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti

di: B. G. (per i reati di cui ai capi sub B), C), D) ed E); di P.P.

e P. M. (con riferimento al reato sub C); di L.P. ed A.

M. (per il reato sub G); di W.I. e G.R. (per il solo

reato di cui al capo sub A); di L. C., infine, per i reati di cui ai capi

sub N) e P).

Il Tribunale, infine, ha dichiarato sospesa l’esecuzione dell’ordinanza fino alla

sua definitività, ex art. 310, comma 3, c.p.p., ed ha contestualmente dichiarato

l’incompetenza territoriale del Tribunale di Milano per essere competente quello

di Roma, nei confronti di altri indagati, per il reato di cui al capo sub H).

2. Avverso la su indicata ordinanza del 4 luglio 2014 ha proposto ricorso per

cassazione il difensore di P.M., deducendo due motivi di doglianza con

riferimento al reato di cui all’art. 353-bis c.p., in rubrica ascrittogli nel capo sub

C), avente ad oggetto la turbativa del procedimento di scelta del contraente da

parte dell’Azienda ospedaliera di Melegnano al fine di ottenere, in luogo di una

nuova gara d’appalto, una proroga, pur contrattualmente prevista, di ulteriori

trentasei mesi dei precedenti contratti di appalto dei servizi di pulizia e

sanificazione presso i relativi presidi ospedalieri, per un importo complessivo pari

ad euro 14.624.002,77.

2.1. Violazioni di legge e vizi motivazionali con riferimento agli artt. 273 e

292, co. 2, lett. c) e c-bis, c.p.p., per l’insussistenza di elementi idonei a

suffragare il ritenuto quadro di gravità indiziaria circa l’ipotizzata alterazione

della delibera di proroga oggetto di imputazione. Le intercettazioni telefoniche ed

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di associazione per delinquere, corruzione, turbativa d’asta e rivelazione di

ambientali utilizzate nei confronti dell’indagato sono intercorse tutte fra soggetti

terzi e non offrono alcuna conferma di trattative e collusioni fraudolente con il

F., né sono assistite da elementi oggettivi di riscontro esterno.

Non sono emersi, peraltro, elementi dimostrativi dell’alterazione dell’iter,

ovvero del risultato finale della procedura di scelta del contraente avente ad

oggetto il rinnovo contrattuale di cui alla provvisoria imputazione enucleata in

sede cautelare: tale delibera di rinnovo è stata ritenuta esente da censure

all’esito dei lavori di una Commissione d’inchiesta amministrativa istituita presso

esplicitati i mezzi o le modalità attraverso cui il M. avrebbe partecipato, nella

sua posizione di Direttore generale, all’alterazione del procedimento che ha

portato alla delibera del rinnovo contrattuale presso l’Azienda ospedaliera di

Melegnano, né vi è stata, nel caso di specie, alcuna ricerca di una controparte

contrattuale, atteso che il “contraente” era stato già prescelto da altri con una

precedente delibera del 2008.

Erroneamente valutato, infine, risulta anche il contenuto dei biglietti che il

F. scriveva a tutti, quindi anche al M., avendo gli stessi ad oggetto

comunicazioni sistematicamente rimaste prive di risposta.

2.2. Violazioni di legge e vizi motivazionali in ordine alla ritenuta sussistenza

delle esigenze cautelari, con riferimento agli artt. 292, comma 2, lett. c) e c bis,

274, lett. a) e c), 275, commi 2 e 2 bis, c.p.p., non avendo l’impugnata

ordinanza tenuto conto del tempo trascorso dal fatto contestato (maggio

dell’anno scorso) senza che alcuna irregolarità o mancanza siano state

evidenziate in sede amministrativa, dell’assenza di proporzione rispetto all’entità

del fatto contestato, della personalità dell’indagato (immune da precedenti

penali) e della sanzione eventualmente irrogabile sulla base edittale del reato

contestato, in aperta violazione del disposto di cui all’art. 275, comma

2 bis,

c.p.p., come novellato dall’art. 8 del D.L. n. 92/2014.

Nessuno degli elementi presi in considerazione dal G.i.p. per escludere la

presenza di pericoli cautelari è stato adeguatamente vagliato dal Tribunale nella

motivazione del provvedimento impugnato, che appare, sul punto, priva di

un’analitica e specifica individuazione della posizione dell’indagato.

3. Il difensore di P.P. ha proposto ricorso per cassazione,

deducendo due motivi di doglianza con riferimento al reato di cui all’art. 353-bis

c.p., in rubrica ascrittole al capo sub C).

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la Direzione generale della Regione Lombardia. Non sono stati in alcun modo

3.1. Violazioni di legge e vizi motivazionali con riferimento agli artt. 273 e

292, co. 2, lett. c) e c-bis, c.p.p., per l’insussistenza di elementi idonei a

suffragare il ritenuto quadro di gravità indiziaria circa l’ipotizzata fattispecie

incriminatrice di cui all’art. 353-bis c.p. .

Il Tribunale non ha tenuto conto delle spiegazioni fornite dalla difesa circa il

significato delle conversazioni intercettate, effettuate solo in minima parte con il

F. e mai con gli imprenditori, e comunque non riguardanti la procedura

Melegnano di cui l’indagata è Direttore amministrativo, né, tanto meno, dazioni

di somme di denaro.

Non esistono, peraltro, conversazioni intercettate che confermino le

“ulteriori” occasioni di contatto che il F., conversando con altri suoi

interlocutori, sostiene di avere avuto con la P.. Né si è verificata alcuna

trasmissione di notizie riservate al F., poiché le delibere inviate, scelte tutte

dal dirigente P., erano state già pubblicate sull’albo pretorio della predetta

Azienda ancor prima che venissero trasmesse.

Si pone altresì in evidenza che l’indagata non ha mai preso parte alla

pretesa attività di intermediazione svolta dal F. nei confronti degli

imprenditori, mentre il fatto che i dirigenti di Melegnano abbiano soddisfatto le

sue richieste non trova alcuna conferma negli atti, se non quella, contraria, della

correttezza della procedura amministrativa. La stessa circostanza del

ritrovamento dei biglietti inviati dal F., infine, non offre alcun riscontro

all’assunto accusatorio dell’avvenuto condizionamento sull’operato del direttore

amministrativo.

3.2. Violazioni di legge e vizi motivazionali in ordine alla ritenuta sussistenza

delle esigenze cautelari e all’inadeguatezza della misura, con riferimento agli

artt. 292, comma 2, lett. c) e c-bis, 274, lett. a) e c), 275, commi 2 e 2-bis,

c.p.p., non avendo l’impugnata ordinanza tenuto conto del periodo di tempo

trascorso dal fatto – risalente ad oltre un anno prima – dell’assenza di vizi o

censure nella proroga oggetto dell’imputazione, del periodo di sospensione dal

servizio, tuttora in corso, dell’assenza di precedenti penali, dello stato di

avanzamento delle indagini e della sanzione eventualmente irrogabile sulla base

edittale del reato contestato, in aperta violazione del disposto di cui all’art. 275,

comma 2-bis, c.p.p., come novellato dall’art. 8 del D.L. n. 92/2014.

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oggetto di incolpazione o altre procedure di gara presso l’Azienda ospedaliera di

3.3. Con memoria pervenuta in data 27 novembre 2014 la difesa ha

prodotto un verbale d’interrogatorio reso dall’indagata al P.M. il 21 ottobre 2014,

nonchè il decreto di giudizio immediato emesso dal G.i.p. presso il Tribunale di

Milano nei confronti di altri imputati, per il reato (unico ascritto all’indagata) di

cui al capo sub C).

4. Il difensore di G. F. ha proposto ricorso per cassazione

avverso la su citata ordinanza, prospettando un duplice ordine di censure con

4.1. Violazione degli artt. 291, 271, 267 e 268 c.p.p., per avere il Tribunale,

ed ancor prima il G.i.p., omesso l’integrale acquisizione dei decreti autorizzativi

delle operazioni di intercettazione ambientale e telefonica, impedendo in tal

modo la verifica della legalità della captazioni. La medesima richiesta, peraltro,

era stata avanzata al G.i.p. con due istanze del 17 giugno e del 25 luglio 2014,

rispettivamente volte ad acquisire tale documentazione e a far dichiarare la

cessazione della misura: la prima di tali istanze non ha avuto riscontro, la

seconda è stata invece rigettata.

4.2. Violazioni di legge e vizi motivazionali in ordine alla ritenuta sussistenza

delle esigenze cautelari e all’inadeguatezza della misura, con riferimento agli

artt. 274, lett. a) e c), 275, commi 1- 4 bis e 286-bis c.p.p., non avendo

l’impugnata ordinanza tenuto conto del fatto che l’indagato è persona

ultrasettantenne e versa in gravissime condizioni di salute, né adeguatamente

spiegato in che modo egli potrebbe condizionare l’identificazione dei pubblici

ufficiali coinvolti nelle indagini, ovvero commettere ulteriori reati della stessa

specie di quello per cui si sta procedendo.

5. Il difensore di P.L. ha proposto ricorso per cassazione

avverso la su citata ordinanza, deducendo due motivi di doglianza con

riferimento alla fattispecie di turbativa d’asta contestata nel capo

sub G),

riguardante la gara per l’aggiudicazione del servizio di lavanolo indetta

dall’Azienda ospedaliera della Provincia di Lecco.

Si prospettano, in particolare, violazioni di legge e vizi motivazionali, per

mancanza ed illogicità, con riferimento agli artt. 125, 292, commi 1, 2 e 2 ter,

309, comma 9, 273 c.p.p. e 353-bis c.p., stante l’omessa risposta da parte del

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riferimento ai reati contestati nei capi sub B), D) e G).

Tribunale sull’eccepita questione della corretta qualificazione giuridica dei fatti

alla stregua della su indicata norma incriminatrice.

Muovendo dalla natura di reato di pericolo concreto della fattispecie in

contestazione, si lamentano sia il mancato approfondimento della possibilità di

configurare l’ipotesi del tentativo, che l’inesistenza del nesso fra il contenuto

delle intercettazioni e l’assegnazione all’ATI di cui faceva parte la società “Servizi

Ospedalieri s.p.a.” di Ferrara, la quale si aggiudicò la gara per avere effettuato lo

sconto più alto, e quindi l’offerta più economica (il cui contenuto, peraltro, non

Né il Tribunale ha tenuto conto del fatto che l’esclusione della collegata

fattispecie di corruzione contestata al capo sub F) interagiva sul piano indiziario

con quella contestata nel capo d’imputazione successivo, facendone cadere il

requisito della gravità ex art. 273, commi 1 e 1 bis, c.p.p.

Si evidenzia, infine, la mancanza di precisi riferimenti a condotte idonee a

manipolare il quadro probatorio mediante attività collusive, omettendo

l’impugnata decisione di indicare le fonti indizianti relative allo stabile

inserimento dell’indagato nel contesto corruttivo facente capo al F., benchè

la questione delle modalità del concorso nel reato fosse stata specificamente

dedotta dalla difesa in sede di gravame.

6. La difesa di C.L. ha proposto ricorso per cassazione avverso

la su citata ordinanza, deducendo quattro motivi di doglianza con riferimento alle

fattispecie di turbativa d’asta e di rivelazione di segreti d’ufficio contestate, in

concorso con altri coindagati, nei capi d’imputazione provvisoria sub N) e P),

inerenti al procedimento di gara bandito da “Infrastrutture Lombarde s.p.a.” e

avente ad oggetto l’assegnazione dei lavori per la realizzazione della “Città della

Salute e della Ricerca” in Sesto San Giovanni.

6.1. Violazioni di legge e vizi motivazionali in ordine alla ritenuta sussistenza

dei gravi indizi di colpevolezza circa i reati di turbata libertà degli incanti e di

turbata libertà del procedimento di scelta di cui al capo sub N), non avendo il

Tribunale tenuto conto delle deduzioni e delle obiezioni critiche svolte dalla difesa

nelle apposite note d’udienza, dove si osservava come fosse necessario

esaminare lo specifico ruolo che il L. – quale consigliere delegato di

“M. F. Management s.p.a” – avrebbe assunto nell’ambito delle più

ampie modalità di commissione delle ipotesi di reato enucleate nella predetta

imputazione.

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può che essere valutato in termini oggettivi ed aritmetici).

Già sul piano dell’enunciazione accusatoria, infatti, si è rilevata la mancata

descrizione della condotta concorsuale ascrivibile all’indagato, mentre è risultata

del tutto assente nella motivazione dell’ordinanza impugnata anche una

valutazione critica delle fonti indiziarie.

La stessa conversazione avvenuta tra il F. ed il L. in data 7

novembre 2013, oggetto dell’intercettazione ambientale richiamata

nell’ordinanza del Tribunale, presenta un contenuto vago e generico, non

consentendo di sostenere un ruolo attivo e penalmente rilevante dell’indagato (il

influenti).

E’ stata trascurata, inoltre, la valenza indiziaria favorevole dell’interrogatorio

reso dal coindagato M. il 14 maggio 2014, dal cui contenuto potevano

trarsi elementi dimostrativi dell’estraneità del L. ai fatti ipotizzati a suo

carico. Infine, anche l’asserito legame operativo con il B., quale Direttore

di promozione e sviluppo della “M.”, non è stato sufficientemente

delineato con riferimento alla precisa indicazione delle sue relazioni con il

F..

6.2. Violazioni di legge e vizi motivazionali in ordine alla ritenuta sussistenza

dei gravi indizi di colpevolezza circa il reato di rivelazione di segreti d’ufficio di

cui al capo sub P), non avendo il Tribunale basato la sua motivazione su elementi

concreti circa il ruolo assegnato in tale vicenda all’indagato. Le notizie coperte

dal segreto d’ufficio, genericamente ritenute attinenti all’andamento della

procedura di gara e alla comunicazione di non ben precisate migliorie

progettuali, sarebbero state oggetto di indebita rivelazione da parte del R.

anche su richiesta del L., in occasione di plurimi incontri ai quali

quest’ultimo, tuttavia, non ha mai partecipato. Anche il su menzionato

interrogatorio del M. non contiene alcun riferimento al coinvolgimento del

L., mentre risulta del tutto sfornito di giustificazione il riferimento operato

dalla motivazione al B. quale “persona interposta” da L. nei rapporti

con gli altri coindagati.

6.3. Violazioni di legge e vizi motivazionali in ordine alla ritenuta sussistenza

delle esigenze cautelari per entrambi i reati in contestazione, avendo il Tribunale

operato solo un generico riferimento alla complessità delle indagini in corso per

giustificare il pericolo di inquinamento probatorio, mentre, sotto altro profilo,

dagli atti processuali richiamati nell’ordinanza, e in particolare dal contenuto

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quale, peraltro, non afferma in alcun modo di poter contare su canali politici

delle intercettazioni, non risultano in alcun modo concreti elementi da cui

desumere la presenza di “autonome capacità di illecite relazioni di tipo politico”

da parte dell’indagato.

Analoghe carenze motivazionali sono rilevabili, peraltro, con riferimento alla

individuazione delle esigenze cautelari sottese al reato di cui al capo sub P).

La decisione impugnata, infine, non ha tenuto conto dell’assenza di

precedenti penali a carico dell’indagato.

vizi motivazionali in ordine alla idoneità della misura degli arresti domiciliari a

soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto e alla loro proporzionalità,

anche alla luce del nuovo comma 2-bis dell’art. 275 c.p.p., introdotto dall’art. 8

del d.l. n. 92/2014, risultando, per tale profilo, del tutto omesso il giudizio

prognostico sulla pena in concreto irrogabile, che il Tribunale del riesame

avrebbe dovuto compiere alla luce della nuova disciplina normativa.

6.5. Con motivi nuovi proposti ai sensi dell’art. 311, comma 4, c.p.p.,

depositati nella Cancelleria di questa Suprema Corte in data 25 novembre 2014,

i difensori di fiducia di C. L. hanno ribadito ed arricchito con ampie

argomentazioni i motivi di doglianza già illustrati a sostegno del ricorso

principale, insistendo in particolare sulla violazione degli artt. 310, 581 e 606,

lett. c) ed e), c.p.p., sotto il profilo dell’omessa declaratoria di inammissibilità

dell’appello del P.M. per mancanza di specificità dei motivi. Sebbene il G.i.p.

avesse congruamente motivato il rigetto della richiesta cautelare con riferimento

ai pericoli di reiterazione criminosa e di inquinamento probatorio, il P.M. si è

limitato sul punto a ribadire genericamente la propria posizione, senza indicare

gli argomenti di fatto e di diritto addotti a fondamento della propria censura.

Si evidenziano, inoltre, sia l’omessa motivazione in ordine alla ritenuta

responsabilità concorsuale dell’indagato – i cui presupposti vengono delineati

sulla base di un elemento non emergente dagli atti, ossia l’esistenza di un previo

accordo intervenuto con il F. per l’improprio utilizzo delle conoscenze

politiche del L. – sia il travisamento della conversazione intercorsa con il

F. in data 7 febbraio 2013, il cui contenuto non solo non viene spiegato dal

Tribunale, ma non viene neanche riprodotto nella sua interezza.

Parimenti omessa, infine, risulta la valutazione critica del materiale

intercettativo inerente alle ulteriori conversazioni registrate tra F. e

B., ovvero tra F. e C. nel periodo ricompreso tra il novembre

7

6.4. Violazioni di legge, ex artt. 275, 292, commi 2 e 2-ter, 310 c.p.p., e

2013 e la fine di febbraio 2014, il cui contenuto offriva piuttosto elementi

sintomatici della mancata collaborazione da parte di L..

7. Il difensore di A.M. ha proposto ricorso per cassazione avverso

la su citata ordinanza, deducendo quattro motivi di doglianza con riferimento alla

fattispecie di turbata libertà degli incanti contestata nel capo sub G).

7.1. Inosservanza degli artt. 273, comma 1-bis, in relazione agli artt. 125,

Tribunale tenuto conto delle specifiche deduzioni difensive illustrate nelle note di

udienza, con riguardo alla corretta valutazione del criterio oggettivo di

assegnazione della gara, basato sull’offerta economicamente più vantaggiosa ai

sensi dell’art. 83 del d. Igs. n. 163/06.

7.2. Inosservanza dell’art. 353 c.p., in relazione agli artt. 125, comma 3,

292, commi 2 e 2-ter, 310 e 606, lett. b), c.p.p., per non avere il Tribunale

considerato le obiezioni difensive mosse in sede di gravame con specifico

riguardo al fatto che, nel caso di specie, comunque non sussisterebbe alcun

nesso di causalità tra la condotta di turbamento posta in essere dall’indagato e

l’assegnazione della gara, che è avvenuta sulla base di criteri oggettivi ed

aritmetici.

7.3.

Violazioni di legge e vizi motivazionali con riferimento

all’apprezzamento delle circostanze idonee a ritenere sussistenti le esigenze

cautelari di cui alle lett. a) e c) dell’art. 274 c.p.p.

Si evidenzia, al riguardo, come già eccepito in sede di gravame, la

mancanza di precisi riferimenti a condotte idonee a manipolare il quadro

probatorio mediante attività collusive, omettendo l’impugnata ordinanza sia di

distinguere le posizioni dei vari indagati, sia di precisare quali siano le fonti

indizianti relative allo stabile inserimento del M. nel contesto corruttivo

facente capo al F. (con il quale risultano solo alcuni incontri, contestati sino

all’aprile del 2013, data di apertura delle offerte economiche relative alla gara di

Lecco).

7.4. Violazioni di legge, ex artt. 275, 292, commi 2 e 2-ter, 310 c.p.p., e

vizi motivazionali in ordine alla idoneità della misura degli arresti domiciliari a

soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto e alla loro proporzionalità,

comma 3, 292, commi 2 e 2-ter, 310 e 606, lett. e), c.p.p., per non avere il

anche alla luce del nuovo comma 2-bis dell’art. 275 c.p.p., introdotto dall’art. 8

del d.l. n. 92/2014, risultando, per tale profilo, del tutto omesso il giudizio

prognostico sulla pena in concreto irrogabile, che il Tribunale del riesame invece

avrebbe dovuto compiere sulla base della nuova disciplina normativa.

8. Il difensore di G. R. ha proposto ricorso per cassazione

avverso la su citata ordinanza, prospettando un duplice ordine di censure con

8.1.

Violazioni

di

legge

e

vizi

motivazionali

con

riferimento

all’apprezzamento delle circostanze idonee a ritenere sussistenti le esigenze

cautelari di cui alla lett. a) dell’art. 274 c.p.p., avendo l’impugnata ordinanza

omesso di esplicitare al riguardo l’indicazione di qualsiasi elemento fattuale a

carico del ricorrente, che non ha mai posto in essere condotte volte a

pregiudicare la genuinità della prova, né ha mai intrattenuto rapporti con gli altri

coindagati, fatta eccezione per il F., nei cui confronti, peraltro, è stata

applicata la misura cautelare della custodia in carcere.

8.2.

Violazioni

di

legge

e

vizi

motivazionali

con

riferimento

all’apprezzamento delle circostanze idonee a ritenere sussistenti le esigenze

cautelari di cui alla lett, c) dell’art. 274 c.p.p., limitandosi il Tribunale a svolgere

sul punto considerazioni del tutto generiche e carenti di un minimo supporto

fattuale. L’indagato, infatti, è persona incensurata ed ha svolto le mansioni di

mero segretario ed autista del F., senza avere rapporti diretti con gli altri

coindagati che prescindessero dal proprio datore di lavoro, dovendosi di

conseguenza escludere ogni pericolo di reiterazione dei reati ipotizzati a suo

carico.

9. I difensori di I. W. hanno proposto ricorso per cassazione

avverso la su citata ordinanza, deducendo tre motivi di doglianza con riferimento

alla ipotizzata partecipazione al reato associativo di cui al capo sub A).

9.1. Nullità dell’ordinanza per la sua motivazione solo apparente riguardo

alla richiesta dì declaratoria di inammissibilità dell’appello, da parte del P.M.,

dell’ordinanza emessa dal G.i.p., e comunque per la sua contraddittorietà

rispetto ad altri atti, e in particolare all’atto di appello del P.M. . Quest’ultimo,

infatti, ha riproposto sostanzialmente le proprie tesi iniziali, senza articolare una

9

riferimento al reato associativo di cui al capo sub A).

critica ragionata e specifica alla motivazione dell’ordinanza del G.i.p., che aveva

ritenuto non condivisibili quelle tesi.

9.2.

Violazioni di legge e vizi motivazionali, per mancanza e

contraddittorietà, con riferimento agli artt. 292 e 273 c.p.p., non essendo

rinvenibile alcuna reale motivazione sulla sussistenza dei gravi indizi di

colpevolezza, che vengono riproposti attingendoli apoditticamente dalla

9.3. Violazioni di legge e vizi motivazionali, per mancanza, illogicità e

contraddittorietà, con riferimento agli artt. 292 e 274 c.p.p..

In particolare, viene censurata l’assoluta carenza di motivazione con

riguardo alla specifica doglianza difensiva mossa in merito all’esigenza cautelare

di cui all’art. 274, lett. a), c.p.p., profilo sul quale il P.M. non aveva interposto

appello, atteso che l’impugnazione riguardava esclusivamente la ritenuta

insussistenza del pericolo di recidiva specifica (ex art. 274, lett. c), c.p.p.).

Peraltro, la stessa ricorrenza del pericolo di inquinamento probatorio è stata

affermata dal Tribunale sulla base di giustificazioni manifestamente illogiche.

Con riferimento alle esigenze cautelari di cui alla lett. c), inoltre, il Tribunale

non ha tenuto conto dello stato di formale incensuratezza dell’indagato, né della

sua personalità e dell’assenza di altri procedimenti penali a carico, affermando

che il suo ruolo fosse tutt’altro che esecutivo, quando la sussistenza dei gravi

indizi di colpevolezza riguardo all’unico reato fine contestatogli, ossia quello di

cui al capo sub h), era stata già esclusa, ridimensionando in tal modo la portata

dell’accusa. Non esiste, infatti, alcuna gara o altra procedura di scelta in cui sia

contestato qualsivoglia ruolo del ricorrente, mentre il pericolo di recidiva

paventato nell’ordinanza è stato formulato in termini meramente astratti.

10. Il difensore di B. G. ha proposto ricorso per cassazione avverso

la su citata ordinanza, deducendo tre motivi di doglianza con riferimento ai reati

di corruzione ex artt. 110, 321, 319-bis, 319 c.p., di cui ai capi d’imputazione

provvisoria enucleati sub B) e D) [il primo, in concorso con C. e F.,

avente ad oggetto la proroga del servizio di pulizia presso l’Azienda ospedaliera

di Melegnano, ed il secondo, in concorso con il solo F., inerente

all’aggiudicazione dell’appalto per i servizi di pulizia presso l’Azienda ospedaliera

“San Carlo Borromeo” di Milano, operando in entrambe le occasioni per conto e

nell’interesse della “CO.LO.COOP.” soc. coop.].

10

precedente ordinanza cautelare del G.i.p. .

10.1. Vizi motivazionali, per illogicità e contraddittorietà, in relazione alla

ritenuta sussistenza della gravità indiziaria circa i reati contestati sub B e D),

risultando maggiormente fondata, alla luce delle emergenze investigative, la

conclusione cui era pervenuto il G.i.p., nella riconosciuta assenza di elementi di

prova riguardo a dazioni di somme di denaro a pubblici ufficiali, ovvero ad

accordi conclusi in tal senso.

dell’appello del P.M. circa la sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274

c.p.p., essendosi il P.M. limitato a riproporre pedissequamente la richiesta di

misura cautelare già avanzata al G.i.p., senza contestare specificamente i rilievi

da quest’ultimo formulati nell’escludere la presenza dei pericula libertatis.

10.3. Vizi motivazionali, per illogicità e contraddittorietà, circa la ritenuta

sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p. da parte del

Tribunale del riesame, che si è limitato a convalidare la iniziale richiesta del P.M.

senza confutare le ragioni per le quali il G.i.p., in prima istanza, aveva ritenuto

non convincenti le argomentazioni del P.M., e senza prendere in considerazione

gli elementi nuovi rappresentati dalla difesa (ad es., il contenuto

dell’interrogatorio dell’indagato in data 23 maggio 2014, ovvero la circostanza

per cui il G., anche volendo, non avrebbe potuto partecipare ad alcuna gara

d’appalto, poiché la “CO.LO. COOP.” soc. coop. è stata attinta da un

provvedimento interdittivo della Prefettura di Milano).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono fondati e vanno accolti entro i limiti e per gli effetti di

seguito esposti e precisati.

2. Per quel che attiene ai ricorsi proposti da M. e P. (v., supra, i

parr. 2 e 3), l’ordinanza impugnata ha richiamato il quadro di gravità indiziaria

già puntualmente delineato nell’ordinanza genetica e motivatamente desunto

dalla complessiva disamina del contenuto di numerose conversazioni oggetto di

intercettazioni telefoniche, dalle quali i Giudici di merito hanno tratto la

conclusione che l’adozione della delibera di proroga triennale ha costituito il

frutto di trattative ed incontri gestiti dal F. con i rappresentanti delle

11

10.2. Erronea applicazione di legge in relazione alla ritenuta ammissibilità

aziende interessate e con i dirigenti dell’Azienda ospedaliera al fine di alterare il

procedimento di scelta del contraente, favorendo i titolari dei precedenti contratti

di appalto ed evitando la stessa indizione di una procedura di gara, con il

conseguente rischio concorrenziale per i soggetti in tal modo avvantaggiati.

Deve preliminarmente rilevarsi, con specifico riferimento a tali passaggi

della motivazione, che la previsione della nuova fattispecie incriminatrice di cui

all’art. 353-bis c.p., introdotta con la novella legislativa 13 agosto 2010, n. 136,

ha inteso sanzionare le turbative del “procedimento amministrativo diretto a

le modalità di scelta del contraente”.

Il legislatore, dunque, per contrastare con maggiore efficacia il fenomeno

della turbativa d’asta, che nelle sue multiformi manifestazioni può investire

anche il procedimento formativo del bando di gara, condizionandone il contenuto

in modo tale che un determinato soggetto possa essere favorito

nell’aggiudicazione ancor prima della sua apertura, mettendo in pericolo, da un

lato, il buon andamento della P.A. e, dall’altro, la libera concorrenza tra i

partecipanti alla gara, ha introdotto un nuovo reato di pericolo, che, affiancando

l’originario modello tipizzato dall’art. 353 c.p., tende a reprimere le condotte di

turbativa poste in essere antecedentemente alla pubblicazione del bando, che

finora sfuggivano alla sanzione penale (v., in motivazione, Sez. 6, n. 44896 del

22/10/2013, dep. 07/11/2013).

Con l’obiettivo di estendere la tutela penale alla fase dei pubblici incanti

anteriore alla pubblicazione del bando, la nuova norma penale punisce chiunque,

con atti tassativamente specificati (violenza, minaccia, doni, promesse, collusioni

o altri mezzi fraudolenti), “turba il procedimento amministrativo diretto a

stabilire il contenuto del bando o di altro atto equipollente al fine di condizionare

le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione”.

L’azione delittuosa, pertanto, consiste nel turbare mediante atti

predeterminati il procedimento amministrativo di formazione del bando, allo

scopo di condizionare la scelta del contraente. Poiché il condizionamento del

contenuto del bando è il fine dell’azione, è evidente che il reato si consuma

indipendentemente dalla realizzazione del fine medesimo.

Per integrare il delitto, quindi, non è necessario che il contenuto del bando

venga effettivamente modificato in modo tale da condizionare la scelta del

contraente, nè, a maggior ragione, che la scelta del contraente venga

effettivamente condizionata. È sufficiente, invece, che si verifichi un turbamento

del processo amministrativo, ossia che la correttezza della procedura di

12

stabilire il contenuto del bando o di altro atto equipollente al fine di condizionare

predisposizione del bando sia messa concretamente in pericolo (Sez. 6, n. 44896

del 22/10/2013, cit.), attraverso l’alterazione o lo sviamento del suo regolare

svolgimento, e con la presenza di un dolo specifico qualificato dal fine di

condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della P.A. .

Considerando il tenore letterale della formulazione adottata dal legislatore e

la rado della nuova previsione normativa, non v’è dubbio che nella nozione di

“atto equipollente” ivi menzionata rientra qualunque provvedimento alternativo

al bando di gara, adottato per la scelta del contraente, ivi inclusi, pertanto, quelli

Ne discende che l’ambito di applicazione della nuova disposizione si estende

a qualsiasi forma di aggiudicazione che prescinda dalla celebrazione di una gara

e alla stessa fase di selezione dello strumento di aggiudicazione, oltre che a tutte

quelle situazioni in cui l’attività illecita si risolva nella stessa elusione del rispetto

di una regolata procedura concorrenziale.

Muovendo da tale quadro di principii, deve rilevarsi come il Tribunale abbia

posto in rilievo il dato della regolarità formale della delibera di proroga e del

relativo procedimento, spiegandone solo genericamente la ragione con la

“necessità” che la delibera “non venisse travolta dai controlli amministrativi e

giurisdizionali”.

In relazione a tale profilo, infatti, la motivazione dell’ordinanza impugnata

non ha tenuto conto dei rilievi difensivi mossi in sede di gravame, omettendo di

confrontarsi criticamente con i risultati cui è pervenuta la relazione conclusiva dei

lavori tenuti dalla su citata Commissione amministrativa d’inchiesta (v., supra, il

par. 2.1.), ove invece si fa riferimento al fatto che la facoltà di rinnovo

contrattuale sembra esente da censure sul piano amministrativo, poiché la

relativa discrezionalità è nel caso di specie “fortemente limitata dalla sussistenza

delle condizioni di fatto accertate dagli Uffici e non dal Direttore generale,

condizioni che rendono tale scelta quasi doverosa”.

Non si è verificato, dunque, in relazione ai presupposti, alle caratteristiche,

ai diversi segmenti ed alle finalità del procedimento di proroga dei contratti

oggetto della provvisoria imputazione formulata in sede cautelare, quale fosse in

concreto l’ambito di discrezionalità nell’esercizio dei poteri rispettivamente

attribuiti ai predetti indagati, in modo da stabilire se l’adozione della relativa

delibera sia stata frutto di una decisione obbligata ed assistita dal fine pubblico,

ovvero se la stessa sia stata arbitrariamente disposta in violazione delle regole

inerenti l’uso del potere discrezionale, avendo cura di precisare in tal caso quali

siano state, con particolare riferimento alla posizione del Moroní, le forme

13

statuenti l’affidamento diretto (Sez. 6, 23 ottobre 2012, n. 43800).

dell’accordo collusivo e le note modali delle condotte di turbativa specificamente

orientate all’alterazione del risultato finale della procedura di scelta della

controparte contrattuale.

Già in passato, del resto, si è affermato in questa Sede (Sez. 6, n. 1542 del

13/12/1994, dep. 14/02/1995, Rv. 200539) che, in presenza di una turbativa

d’asta posta in essere da privati al cui accordo il pubblico ufficiale sia rimasto

estraneo, ove questi venga a formare un atto del procedimento relativo alla

gara, ovvero a compiere un’operazione ad essa relativa, al fine di favorire i

soggetto pubblico è colpevole del delitto di abuso di ufficio, non potendo detta

condotta essere considerata anche come integratrice di un’ipotesi concorrente di

turbativa d’asta, già risultando pregiudicato l’interesse tutelato con la previsione

della relativa fattispecie incriminatrice dall’altrui autonoma condotta.

2.1. A non diverse conclusioni, inoltre, deve giungersi in relazione agli scarni

passaggi motivazionali dedicati alla disamina dei profili inerenti alle ravvisate

esigenze cautelari di cui all’art. 274, lett. a) e lett. c), c.p.p., laddove l’ordinanza

impugnata ha mostrato di dar conto, solo con assertive e tautologiche

affermazioni, dei prospettati

pericula libertatis,

senza confrontarsi

adeguatamente con le diverse conclusioni cui era pervenuto il G.i.p.

nell’ordinanza genetica, e senza offrire una congrua ed esaustiva spiegazione

delle ragioni per le quali, tenuto conto in particolare della documentazione

attestante l’avvenuta sospensione dagli incarichi nella Regione Lombardia,

persisterebbero tuttora la possibilità di manipolazione del quadro probatorio da

parte dei predetti indagati, ovvero l’elevato pericolo di reiterazione criminosa in

ragione di un loro, non meglio specificato, stabile inserimento “nel contesto

corruttivo e collusivo facente capo al F.”.

Al riguardo, invero, questa Suprema Corte ha da tempo affermato il

principio secondo cui il parametro della concretezza del pericolo di reiterazione di

reati della stessa indole non può essere affidato all’apprezzamento di elementi

meramente congetturali ed astratti, ma all’intrinseca valenza di dati di fatto

oggettivi e indicativi delle inclinazioni comportamentali e della personalità

dell’indagato, sulla cui base possa affermarsi che quest’ultimo possa facilmente,

verificandosene l’occasione, commettere i predetti reati (Sez. 6, n. 38763 del

08/03/2012, dep. 04/10/2012, Rv. 253372).

V’è poi da considerare, alla luce di una pacifica linea interpretativa (da

ultimo, v. Sez. 6, n. 19052 del 10/01/2013, dep. 02/05/2013, Rv. 256223), che

14

predetti privati autori della turbativa in danno della pubblica amministrazione, il

nei reati contro la P.A. il giudizio di prognosi sfavorevole sulla pericolosità sociale

non è di per sé impedito dalla circostanza che l’indagato abbia dismesso la carica

o esaurito l’ufficio nell’esercizio del quale aveva realizzato la condotta addebitata.

Tuttavia, la validità di tale principio deve essere rapportata al caso concreto,

laddove il rischio di ulteriori condotte illecite del tipo di quella contestata deve

essere reso probabile da una permanente posizione soggettiva dell’agente che gli

consenta di continuare a mantenere, pur nell’ambito di funzioni o incarichi

pubblici diversi, condotte antigiuridiche aventi lo stesso rilievo ed offensive della

Siffatta valutazione impone al giudice di fornire una puntuale e logica

indicazione della presenza di specifiche circostanze fattuali idonee a comprovare

il concreto pericolo che l’agente, svolgendo una diversa attività, non collegata

con il ruolo pubblico precedentemente ricoperto, continui a porre in essere

ulteriori, analoghe, condotte delittuose (Sez. 6, n. 23625 del 27/03/2013, dep.

30/05/2013, Rv. 256261; Sez. 6, n. 18770 del 16/04/2014, dep. 06/05/2014,

Rv. 259685).

Occorre altresì valutare con attenzione, da un lato, la sanzione

eventualmente irrogabile in relazione alla base edittale del reato ipotizzato (ai

fini del giudizio prognostico richiesto, alla luce dei criteri generali stabiliti dall’art.

133 c.p., dalla nuova disposizione di cui all’art. 275, comma 2 bis, c.p.p., come

modificato dall’art. 8 del D.L. n. 92/2014, entrato in vigore il 28 giugno 2014), e,

dall’altro lato, le implicazioni del principio, più volte affermato da questa

Suprema Corte (v. Sez. Un., n. 40538 del 24/09/2009, dep. 20/10/2009, Rv.

244377, nonché Sez. 6, n. 20112 del 26/02/2013, dep. 09/05/2013, Rv.

255725), secondo cui, in tema di misure cautelari, lo specifico riferimento

dell’art. 292, comma secondo, lett. c), cod. proc. pen. alla valutazione del

“tempo trascorso dalla commissione del reato”, implica che la pregnanza del

pericolo di recidiva si “attualizza” in proporzione diretta con il “tempus commissi

delicti”, in quanto alla maggior distanza temporale dei fatti corrisponde, di

regola, un proporzionale affievolimento delle esigenze di cautela.

Sotto altro, ma connesso profilo, devono essere oggetto di puntuale e

specifica indicazione gli elementi in concreto sintomatici di un’attuale inclinazione

a porre in essere attività orientate ad alterare l’effettività del compendio

indiziario offerto dalle attività d’indagine, avuto riguardo al loro stato di

avanzamento e consolidamento, poiché la valutazione del pericolo di

inquinamento probatorio deve essere effettuata, con il carattere della

concretezza, in relazione sia alle prove da acquisire, sia alle fonti di prova già

15

stessa categoria di beni e valori di appartenenza del reato commesso.

individuate, a nulla rilevando il fatto che le attività di indagine risultino già

concluse (da ultimo, v. Sez. 5, n. 1958 del 26/11/2010, dep. 21/01/2011, Rv.

249093).

Né può ritenersi adeguata, al fine ora considerato, la motivazione incentrata

su un generico riferimento al pericolo di inquinamento probatorio fondato sulle

condotte di altri coindagati, senza spiegare quale sia la loro specifica e concreta

connessione rispetto al comune interesse che dovrebbe connotare anche le

posizioni dei predetti ricorrenti (v., in motivazione, Sez. 6, n. 41606 del

3. Inammissibile, in quanto aspecificamente formulata, deve ritenersi la

prima doglianza prospettata nel ricorso del F., che sul punto omette di

affrontare criticamente gli argomenti esposti dal Tribunale nel richiamare le

pertinenti considerazioni espresse dal P.M. in sede di udienza, con riguardo alla

dichiarata presenza di tutti i decreti di intercettazione nel relativo fascicolo

processuale ed alla loro successiva trasmissione al G.i.p. con la richiesta di

applicazione della misura cautelare.

Fondata, di contro, deve ritenersi la seconda censura, ove si consideri, alla

luce di un pacifico insegnamento di questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 3415 del

21/10/1999, dep. 02/12/1999, Rv. 214970; Sez. 1, n. 18173 del 08/04/2009,

dep. 04/05/2009, Rv. 243867), che il quarto comma dell’art. 275 c.p.p. esclude

l’applicabilità della custodia cautelare in carcere nei confronti di chi ha superato

l’età di settanta anni, a prescindere dalle condizioni di salute in cui versa, fatta

salva la sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Da ciò deriva

che, per applicare ex novo o per mantenere lo stato di custodia carceraria nei

confronti di una persona ultrasettantenne, il Giudice deve valutare come

eccezionali le esigenze cautelari, dandone specifica e adeguata motivazione,

mentre nell’assenza di siffatte eccezionali esigenze, ossia in presenza di esigenze

cautelari tipiche o normali, è suo potere – dovere disporre misure coercitive

meno afflittive di quella custodiale.

Occorre, pertanto, che siano congruamente illustrate, con il rigore di una

specifica motivazione, le precise ragioni che legittimano una deroga al principio

stabilito dal quarto comma dell’art. 275 cod. proc. pen., dimostrando l’esistenza,

nel caso concreto, di un “periculum in libertate” di intensità così elevata e

straordinaria da far venire meno il divieto di applicazione della misura custodiale

in relazione alla comprovata inidoneità di ogni altra misura a fronteggiare

16

05/06/2013, dep. 08/10/2013, Rv. 257598).

esigenze cautelari di inusuale gravità (Sez. 1, n. 3096 del 19/04/1999, dep.

20/05/1999, Rv. 213389).

Nel caso in esame, tenuto conto dell’età assai avanzata del ricorrente, non

appare sufficientemente chiarita la ragione per la quale le prospettate esigenze

di reiterazione delle condotte criminose non possano essere adeguatamente

soddisfatte con altra, meno afflittiva, misura cautelare, poiché il provvedimento

in esame omette al riguardo qualsivoglia considerazione, limitandosi a reiterare

la stessa misura già applicata in relazione ad altri reati, sulla base di un

l’indagato avrebbe assunto nella realizzazione dei reati contestati nei capi sub B),

D) e G).

4. Per quel che attiene ai ricorsi proposti da Leonardelli e Morini (v., supra, i

parr. 5 e 7) – imprenditori della Servizi Ospedalieri s.p.a. di Ferrara, nel cui

interesse il F. avrebbe agito da intermediario, intervenendo sui pubblici

ufficiali dell’azienda ospedaliera di Lecco, e in particolare sul Direttore generale

Mauro Lovisari, al fine di favorire l’aggiudicazione alla predetta società

dell’appalto relativo al servizio di lavanolo, come poi in effetti avvenuto con

delibera del 16 maggio 2013 – i Giudici del gravame hanno richiamato la

motivazione della richiesta cautelare del P.M. e hanno ritenuto la sussistenza del

requisito dei gravi indizi di colpevolezza valorizzando, in particolare, il contenuto

di una conversazione oggetto di intercettazione tra F. e Leonardelli in data

11 ottobre 2012, ove i due avrebbero fatto riferimento ad una somma di denaro,

pari ad euro 100.000,00, concordata per la turbativa di cui al capo sub g), e ne

avrebbero pattuito la dazione della metà al F. per il successivo 20 ottobre

2012.

Al riguardo, tuttavia, il G.i.p. presso il Tribunale di Milano, nell’originaria

ordinanza del 5 maggio 2014, aveva motivatamente posto in rilievo, con

riferimento alla fattispecie incriminatrice ipotizzata sub g), l’esistenza di “meri

indizi di reità”, osservando: a) che non vi è prova della consegna della metà di

quanto pattuito; b) che la pattuizione della somma sopra indicata potrebbe

riguardare una vicenda differente rispetto all’appalto in esame; c) che i tempi

della dazione anticipata quale prezzo per l’intervento operato nel caso in esame

– avvenuto a gara non ancora ultimata e notevolmente prima

dell’aggiudicazione, effettuata solo in data 16 maggio 2013 – mal si conciliano, in

termini di plausibilità, con le emergenze investigative in ordine al

operandi dell’associazione per delinquere contestata nel capo sub A).

17

modus

riferimento, del tutto generico, al “ruolo assolutamente preminente” che

Nella motivazione dell’ordinanza impugnata, inoltre, non è rinvenibile

un’adeguata esposizione delle note modali delle condotte di turbativa che gli

indagati avrebbero posto in essere, nè appare sostenuta da specifiche ragioni

giustificative la generica asserzione secondo cui gli elementi di prova offerti dal

P.M. renderebbero evidente la concorde volontà del F. e del Direttore

generale Lovisari di aggiudicare la gara alle aziende facenti capo a Morini e

Leonardelli, a fronte delle contrarie, e non puntualmente vagliate, deduzioni

difensive circa la necessaria valutazione dell’incidenza esercitata nel caso in

riferimento a quello basato sull’offerta economicamente più vantaggiosa, la cui

rilevanza avrebbe determinato l’esito dell’aggiudicazione provvisoria nei confronti

della società sopra indicata.

E’ noto che, in tema di misure cautelari personali, allorché venga

denunciato, con ricorso per cassazione, il vizio di motivazione del provvedimento

emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di

colpevolezza, spetta a questa Suprema Corte il compito di verificare, in relazione

alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono,

se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno

indotto ad affermare, ovvero a negare, la gravità del quadro indiziario a carico

dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardo alla

valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di

diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. Un., n.

11, 22/03/2000, Audino).

Strettamente connessa alle implicazioni di tale linea interpretativa deve

ritenersi la regola di giudizio secondo la quale, in materia di applicazione delle

misure cautelari, i gravi indizi di colpevolezza vanno individuati in quegli

elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che – contenendo in nuce

tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova – non

valgono di per sè a dimostrare oltre ogni dubbio la responsabilità dell’indagato, e

tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la

futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale

responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza

(Sez. 6, n. 863 del 10/03/1999, Rv. 212998; Sez. 6, n. 23267 del

28/03/2003, Rv. 225847).

E’ parimenti noto che, in sede cautelare, la gravità dell’indizio deve

correlarsi alla specificità, ossia alla capacità di attribuire con elevata probabilità il

fatto concreto al soggetto sottoposto ad indagini (Sez. 3, n. 1791 del

18

esame dai criteri oggettivi previsti per l’assegnazione della gara, con particolare

12/08/1993, dep. 15/10/1993, Rv. 195215). Pertanto, a norma dell’art. 273

c.p.p., il concetto di gravità della base indiziaria su cui riposa il provvedimento

cautelare non può essere identificato con quello di sufficienza, poiché da questo

si distingue sia quantitativamente che qualitativamente, non dovendo

raggiungere il grado di certezza richiesto per la condanna, ma l’alta probabilità

della attribuíbilità del reato all’indagato (Sez. 3, n. 742 del 23/02/1998, dep.

22/04/1998, Rv. 210514).

Nel caso di specie, la motivazione dell’ordinanza impugnata mostra un

laddove la ritenuta gravità degli indizi non sembra trovare adeguata

giustificazione in un organico e coerente apprezzamento degli elementi indiziari

disponibili, nè sembra confrontarsi con i contrari argomenti esposti dal G.i.p. e

con le puntuali obiezioni critiche mosse dalla difesa nelle memorie depositate in

sede di gravame.

L’omessa valutazione di memorie difensive non determina certo la nullità del

provvedimento impugnato, ma può influire, come dianzi osservato, sulla

congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione della decisione che

definisce la fase o il grado nel cui ambito siano state espresse le ragioni difensive

(Sez. 6, n. 269 del 05/11/2013, dep. 07/01/2014, Rv. 258456; Sez. 6, n. 18453

del 28/02/2012, Rv. 252713), con la conseguenza che la motivazione risulta

indirettamente viziata per la mancata considerazione degli argomenti illustrati

nella memoria, in relazione alle questioni devolute con l’atto di impugnazione

(Sez. 1, n. 37531 del 07/10/2010, dep. 20/10/2010, Rv. 248551).

Parimenti fondate, infine, devono ritenersi le censure difensive riguardo alle

generiche affermazioni poste a sostegno delle ravvisate esigenze cautelari,

dovendosi integralmente richiamare, sul punto, le medesime considerazioni già

espresse, supra, nel par. 2.1. .

5. In ordine al ricorso di Claudio L. – cui sono addebitate le ipotesi

delittuose enucleate nei capi sub N) e P), nella sua qualità di Presidente del

consiglio di gestione e consigliere delegato di “Manutencoop Facility Management

s.p.a.” – deve preliminarmente escludersi ogni profilo di inammissibilità

dell’appello del P.M. (v., supra, il motivo nuovo illustrato nel par. 6.5.), avendo il

relativo atto di impugnazione individuato i “punti” che intendeva devolvere alla

cognizione del giudice di appello, enucleandoli con riferimento alla motivazione

dell’ordinanza impugnata, sulla base di una sufficiente enunciazione delle ragioni

di fatto e di diritto atte a sorreggerli e con una riconoscibile indicazione sia dei

19

insufficiente approfondimento critico ed un attenuato rigore argomentativo,

motivi di dissenso dalla decisione appellata che dell’oggetto della diversa

deliberazione sollecitata presso il giudice del gravame (Sez. 6, n. 13261 del

06/02/2003, dep. 25/03/2003, Rv. 227195; Sez. 1, n. 471 del 04/12/2012, dep.

08/01/2013, Rv. 254090).

5.1. Per quel che attiene alla prima censura prospettata nel ricorso, pur

essendo desumibile, dalla motivazione dell’ordinanza impugnata, un quadro di

gravità indiziaria in ordine al reato di cui al capo sub N), deve rilevarsi, sotto

valutazione dell’effettiva consistenza della base indiziaria emersa dalle attività

d’indagine, laddove si trascura l’esigenza di illustrare, sulla base di un congruo

supporto critico-argomentativo, i presupposti di fatto, le note modali e

l’estensione temporale della condotta concorsuale specificamente ascrivibile al

ricorrente all’interno della vicenda storico-fattuale individuata nel relativo tema

d’accusa (che individua a carico di altri indagati – ossia, di F., C.,

G. e G. – un comportamento attivamente orientato presso il pubblico

ufficiale R. Antonio – quale Direttore generale della stazione appaltante,

ossia della “Infrastrutture Lombarde s.p.a.” – al fine di turbare la procedura di

gara ed ottenere, fra l’altro, la concessione di una proroga del termine per la

presentazione delle offerte).

Non sono stati adeguatamente valutati, in particolare, i rilievi critici articolati

dalla difesa nella memoria portata all’attenzione del Tribunale in sede di

gravame, sia con riferimento all’asserito legame operativo che sarebbe

intercorso fra il ricorrente ed un suo “sottoposto” – tale Danilo B., che

avrebbe intrattenuto, per conto del primo, i rapporti con il coindagato F. sia con riferimento all’effettiva incidenza sulla gara degli evocati “rapporti

politico-affaristici” del L., che secondo la stessa ricostruzione dell’ipotesi

d’accusa fatta propria dalla decisione impugnata avrebbero attivamente

“bilanciato” quelli di un altro coindagato, E. M., quale rappresentante

legale di un’altra azienda consorziata nell’A.T.I., garantendo in tal modo il

successo dell’intera operazione attraverso una “migliore copertura” sul piano

POI itico.

Né può ritenersi idoneo il mero richiamo al contenuto della su citata

conversazione intercorsa fra il ricorrente ed il F., ove si consideri che la

semplice trascrizione delle intercettazioni senza specificare la ragione per la

quale il loro contenuto dimostra una data tesi può essere ritenuta accettabile, sul

piano della congruità della motivazione, laddove la chiarezza della conversazione

20

altro, ma connesso profilo, un insufficiente approfondimento riguardo alla

e la linearità della vicenda storico-fattuale considerata consentano,

effettivamente, di affermare la cd. “autoevidenza” della stessa fonte di prova, ciò

che, nel caso in esame, non può dirsi avvenuto sotto alcun profilo (v., in

motivazione, Sez. 6, n. 1269 del 05/12/2012, dep. 10/01/2013, Rv. 254227).

V’è ancora da considerare, nella medesima prospettiva, che l’obbligo di

motivazione dell’ordinanza applicativa di una misura di tipo custodiale non può

ritenersi assolto, per quanto concerne l’esposizione dei gravi indizi di

colpevolezza, con la mera elencazione descrittiva degli elementi di fatto, ossia

leva sull’ “autoevidenza” dello stesso, occorrendo invece una valutazione critica

ed argomentata delle fonti indiziarie singolarmente assunte e complessivamente

considerate (Sez. 6, n. 18190 del 04/04/2012, dep. 14/05/2012, Rv. 253006;

Sez. 6, n. 27928 del 14/06/2013, dep. 26/06/2013, Rv. 256262).

5.2.

Parimenti fondato deve ritenersi il secondo motivo di doglianza,

prospettato con riferimento al reato di cui al capo sub P), non risultando

chiaramente esplicitata nell’ordinanza l’indicazione di elementi sintomatici in

grado di delineare le modalità e le concrete circostanze della condotta addebitata

al ricorrente in ordine alla acquisizione di notizie coperte dal segreto d’ufficio

circa l’andamento della procedura di gara (avente ad oggetto l’esecuzione dei

lavori di realizzazione della “Città della salute e della ricerca” in Sesto San

Giovanni), che il R., agendo nella qualità sopra indicata, avrebbe rivelato

anche su richiesta del L., nell’interesse dell’A.T.I. partecipante alla gara.

Né emergono con chiarezza, dal testo della decisione, la base di riferimento

fattuale e la specifica valenza indiziaria del ruolo che nella vicenda avrebbe

esercitato il B. al fine di agevolare la cognizione di quelle notizie da parte

del ricorrente.

Al riguardo giova richiamare l’insegnamento emergente da una pacifica linea

interpretativa tracciata da questa Suprema Corte (da ultimo, v., in motivazione,

Sez. 6, n. 30968 del 28/06/2007, dep. 30/07/2007, Rv. 237485; v., inoltre, Sez.

1, n. 5842 del 17/01/2011, dep. 16/02/2011, Rv. 249357), secondo cui il

soggetto estraneo che si sia limitato a ricevere la notizia non è punibile per il

reato di cui all’art. 326 c.p., dal momento che la norma incriminatrice descrive

una fattispecie plurisoggettiva anomala, nel senso che la rivelazione del segreto

d’ufficio necessariamente richiede il ricevimento della notizia da parte

dell’estraneo. Perché questi sia punibile è quindi necessario che abbia dato un

contributo alla commissione del reato, istigando o inducendo il pubblico ufficiale

21

attraverso la semplice riedizione del compendio investigativo, ovvero facendo

tenuto a rispettare il dovere di segretezza a fare la rivelazione, nel qual caso

risponderà del reato come compartecipe in applicazione delle norme sul concorso

di persone.

Sulla base della motivazione dell’ordinanza impugnata, tuttavia, non

risultano congruamente sviluppati i profili inerenti le concrete modalità di

partecipazione del ricorrente alla commissione del reato contestatogli nel capo

sub P).

tenuto conto della natura delle ipotesi delittuose oggetto di apprezzamento

all’esito del giudizio cautelare, il Tribunale dovrà riesaminare anche il profilo

inerente all’apprezzamento delle esigenze cautelari, che la decisione impugnata

ha ritenuto sussistenti sulla base di mere clausole di stile, ovvero di formule del

tutto generiche, senza spiegarne adeguatamente le ragioni giustificative e senza

indicare specifiche situazioni correlate con i fatti del procedimento, inerenti ad

elementi sintomatici della pericolosità dell’indagato, ovvero della sua capacità di

alterare o deviare la genuinità delle acquisizioni probatorie.

Insufficienti, in relazione ai profili or ora indicati, devono infatti ritenersi i

riferimenti alla particolare complessità delle indagini, ovvero alla possibilità di

“operare in chiave manipolatoria” sulla ricerca dei riscontri agli indizi risultanti

dalle intercettazioni, come pure l’apodittica affermazione circa l’evocata capacità

di “illecite relazioni, utilizzabili dall’indagato per proprie utilità, a prescindere

dall’arresto dei sodali”.

Sul punto, dunque, devono integralmente richiamarsi le medesime

considerazioni già espresse, supra, nel par. 2.1. .

6. Fondate devono ritenersi entrambe le doglianze mosse dal Rodighiero, la

cui posizione è stata solo genericamente vagliata dal Tribunale, senza tener

conto della marginalità del contributo che egli avrebbe prestato in relazione al

reato di partecipazione all’associazione per delinquere di cui al capo sub A), nè

della natura sostanzialmente esecutiva delle mansioni di segretario da lui svolte

alle dipendenze del F., la cui sottoposizione alla misura della custodia

cautelare in carcere non consente di evincere con chiarezza i dati oggettivi della

necessaria concretezza ed attualità delle ragioni che dovrebbero giustificare, a

carico del ricorrente, una valutazione prognostica positiva circa la sussistenza di

entrambe le esigenze cautelari di cui all’art. 274, lett. a) e c), c.p.p. .

22

5.3. Ferme le implicazioni riconducibili alle su esposte considerazioni, e

Nella motivazione dell’ordinanza applicativa di misure cautelari personali,

come si è avuto modo di osservare, devono essere adeguatamente indicate, con

riferimento alla posizione di ciascun indagato, le specifiche circostanze di fatto

dalle quali vengono desunti i pericoli di inquinamento probatorio e di reiterazione

di reati della stessa specie di quelli per cui si procede.

Del pieno soddisfacimento di tale onere motivazionale, tuttavia, non v’è

traccia nella decisione impugnata, che solo genericamente ipotizza nei confronti

del ricorrente la possibilità di alterare la genuinità del compendio probatorio,

evidenza pubblica o altre procedure di scelta sfruttando non meglio precisate

relazioni di alto livello con imprenditori e pubblici funzionari.

Pertanto, anche in relazione al vaglio delibativo operato sui profili critici qui

evidenziati, devono integralmente richiamarsi le medesime considerazioni già

espresse, supra, nel par. 2.1..

7. Analoghi rilievi devono altresì formularsi con riguardo al terzo motivo di

ricorso dedotto da W. I. (v., supra, il par. 9.3.), la cui attività di

intermediazione con ambienti imprenditoriali, politici ed istituzionali lo stesso

Tribunale riconosce esser stata utilizzata dal F. sino all’applicazione della

misura della custodia cautelare in carcere nei confronti dei coindagati per il reato

associativo di cui al capo sub A).

In relazione a tale profilo, infatti, la configurabilità del periculum libertatis è

stata prospettata in termini meramente astratti, senza sviluppare un adeguato

confronto con i puntuali rilievi critici mossi dalla difesa nella memoria depositata

in sede di gravame (incensuratezza del ricorrente, ruolo sostanzialmente

esecutivo e subordinato al F., riconosciuta insussistenza della base

indiziaria in ordine al reato connesso di cui al capo sub H) dell’imputazione

provvisoria, inesistenza di altri reati-fine, ecc.) e senza ancorarne il contenuto

all’indicazione di elementi sintomatici in grado di rivelarne l’effettiva ricorrenza,

superando in tal modo le contrarie conclusioni cui era pervenuto il G.i.p.

nell’originaria ordinanza.

Sul punto, dunque, il ricorso è fondato, dovendosi integralmente richiamare

le medesime considerazioni già espresse, supra, nel par. 2.1. .

Infondato, di contro, deve ritenersi il secondo motivo di doglianza, in quanto

aspecificamente formulato senza tener conto degli argomenti congruamente

illustrati, sia nella richiesta cautelare del P.M. che nella su citata ordinanza del

G.i.p., a sostegno della ritenuta gravità della base indiziaria ivi delineata per il

23

ovvero di continuare, pur dopo l’arresto del F., a manipolare gare di

reato sub A): atti processuali, quelli ora indicati, che sono stati posti a

conoscenza della difesa, ed al cui contenuto il Tribunale si è integralmente

richiamato, sintetizzandone i passaggi motivazionali più rilevanti, che ha

mostrato di condividere con riferimento al solo reato associativo, laddove il

ricorrente non ha soddisfatto l’esigenza di una critica puntuale e ragionata che

deve informare l’atto di impugnazione, individuando aspetti o punti della

decisione tali da inficiare la complessiva tenuta del discorso argomentativo

delineato dal Tribunale.

integralmente richiamare, al riguardo, le medesime considerazioni già espresse,

supra, nel par. 5.

8. Il primo e il terzo motivo del ricorso proposto da B. G. sono

fondati, mentre la seconda censura deve ritenersi infondata alla stregua delle

medesime considerazioni già espresse, supra, nel par. 5., e qui da intendersi

integralmente richiamate.

8.1. Si assume, con riferimento al reato di cui al capo sub B), che il F.,

agendo quale intermediario in relazione alla proroga del servizio di pulizia e

sanificazione presso l’Azienda ospedaliera di Melegnano, abbia ricevuto dal

coindagato C. (dell’azienda “F.” s.r.I.), anche per conto del G., la

somma di euro 120.000,00, consegnata a pubblici ufficiali da identificare, ma

operanti presso la predetta Azienda ospedaliera, per avere riservato alle società

del C. e del G. un trattamento preferenziale nel disporre una proroga del

relativo servizio, in luogo di una nuova gara d’appalto.

Con riferimento al reato di cui al capo sub D), inoltre, s’ipotizza nel tema

d’accusa che il G. ed il F., che agiva quale intermediario con i pubblici

ufficiali dell’Azienda ospedaliera “San Carlo Borromeo” di Milano, abbiano

promesso una somma di 120.000,00 euro in contanti destinata a pubblici ufficiali

da identificare, per aver compiuto atti contrari ai doveri d’ufficio nel riservare al

C.N.S. (Consorzio nazionale servizi), nel cui interesse operava il G., un

trattamento preferenziale nell’espletamento della procedura di aggiudicazione del

servizio di pulizia, sanificazione, raccolta e trasporto dei rifiuti del presidio

ospedaliero e delle strutture territoriali esterne.

Secondo un pacifico orientamento di questa Suprema Corte (da ultimo, v.

Sez. 6, n. 3523 del 07/11/2011, dep. 27/01/2012, Rv. 251651), ai fini

dell’integrazione del delitto di corruzione non ha rilevanza il fatto che il

24

Parimenti infondato, infine, è il primo motivo di ricorso, dovendosi

funzionario corrotto resti eventualmente ignoto, quando non sussistono dubbi in

ordine all’effettivo concorso di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico

servizio nel fatto di corruzione, non occorrendo che il medesimo sia o meno

conosciuto o nominativamente identificato.

Discende da tale linea interpretativa il logico corollario che, ogni qual volta

vi sia un intermediario, l’azione corruttrice non deve arrestarsi a quest’ultimo,

ma deve, quanto meno, essere nota al pubblico ufficiale competente ad emettere

l’atto oggetto del mercimonio; deve, cioè, potersi ricavare univocamente dai fatti

pattuizione illecita (Sez. 6, n. 277 del 01/02/1993, dep. 27/03/1993, Rv.

194503).

E’ indispensabile, pertanto, che non sussistano dubbi circa l’effettivo

concorso di un pubblico ufficiale nel fatto di corruzione, poichè la semplice

consegna “sine titulo” di ingenti somme di denaro ad un intermediario non è

sufficiente ad affermare con certezza, in mancanza di ulteriori elementi, che si

sia consumato un episodio di corruzione ed ad addebitarne la responsabilità al

pubblico ufficiale, ben potendo tale condotta integrare alternativamente altri

reati (ad es., di millantato credito o di truffa a carico del percettore accertato

delle somme) [Sez. 4, n. 2006 del 13/08/1996, dep. 02/09/1996, Rv. 206122].

Di tale quadro di principii, tuttavia, non ha fatto buon governo il

provvedimento impugnato, nella cui motivazione, senza sviluppare un adeguato

confronto critico-argomentativo con le diverse conclusioni cui era pervenuto il

G.i.p. nell’originaria ordinanza cautelare, viene contrapposta una lettura

meramente alternativa dei fatti, sul rilievo che il destinatario finale della somma,

dedotta la parte spettante al F. a titolo di intermediazione, era un soggetto

non identificato, ma sicuramente riconducibile alla direzione dell’ente pubblico

che aveva disposto la proroga.

Tale affermazione, pur fondata sulla base di intercettazioni dal cui contenuto

si evincerebbe che il F. aveva svolto attività di intermediazione nei

confronti del M. e della P., e che, nel ricevere quella somma, egli

aveva fatto espresso riferimento al “suo capo” (ed alla circostanza che

eccezionalmente, per la fiducia nutrita verso il C., si occupava della concreta

riscossione del denaro), non appare idonea a dimostrare con certezza, sulla base

della necessaria univocità degli elementi indiziari allo stati disponibili, il fatto che

una parte del denaro sia stata versata o, quanto meno, promessa ai pubblici

ufficiali investiti dell’esercizio dei poteri decisionali in merito alle proroghe dei

contratti di appalto.

25

il consenso del pubblico ufficiale (o dell’incaricato di pubblico servizio) alla

Nell’originaria ordinanza cautelare del 5 maggio 2014, infatti, il G.i.p.

escludeva motivatamente la sussistenza del requisito della gravità indiziaria,

facendo riferimento ad argomenti non puntualmente confutati dal Tribunale, ed

in particolare: a) alla mancata individuazione degli atti contrari ai doveri d’ufficio

ed alla genericità dell’espressione impiegata dal F. per indicare il soggetto

considerato quale destinatario finale di parte del denaro ricevuto dagli

imprenditori coindagati; b) al modus operandi dell’associazione per delinquere

contestata nel capo sub A), sul rilievo che il complesso delle emergenze

F. comunque riceveva dagli imprenditori quale prezzo delle condotte

collusive poste in essere a fini di turbativa, era corrisposto al suo esito, ed era

comunque pattuito in forza della concordata turbativa, ma non veniva

effettivamente destinato, né promesso a pubblici ufficiali, bensì trattenuto dai

sodali e dallo stesso F. (tanto che le diverse ipotesi di corruzione

apparivano sostanzialmente caratterizzate dalla promessa di utilità costituite non

da somme di denaro, ma da avanzamenti di carriera o spostamenti dei pubblici

ufficiali in altri enti a loro maggiormente graditi); c) alla circostanza di fatto,

ritenuta allo stato dirimente, che nel successivo incontro del 7 giugno 2013 il

F. e la P. non hanno fatto alcun riferimento a somme di denaro

ricevute dal primo, e in parte destinate a pubblici ufficiali con ruoli apicali

all’interno dell’Azienda ospedaliera.

8.2. A non diverse conclusioni, inoltre, deve giungersi in relazione alla

insufficiente disamina dei profili inerenti alle ravvisate esigenze cautelari di cui

all’art. 274, lett. a) e lett. c), c.p.p., laddove l’ordinanza impugnata ha mostrato

di dar conto, solo con assertive e tautologiche affermazioni, dei prospettati

pericula libertatis, senza confrontarsi adeguatamente con le diverse conclusioni

cui era pervenuto il G.i.p. nell’ordinanza genetica, e senza offrire una congrua ed

esaustiva spiegazione delle ragioni per le quali – avuto riguardo alle obiezioni

difensive espresse in sede di gravame, ed in particolare all’evidenziata

ammissione dei fatti nel corso dell’interrogatorio e al contenuto della misura

interdittiva irrogata dalla Prefettura di Milano a carico della società Co. Lo. Coop.

– persisterebbero tuttora la possibilità di manipolazione del quadro probatorio da

parte del predetto indagato, ovvero l’elevato pericolo di reiterazione criminosa in

ragione di una, non meglio specificata, possibilità di continuare ad operare,

eventualmente in via indiretta attraverso “altre compagini sociali”, nel settore

imprenditoriale di appartenenza.

26

investigative induceva a ritenere che il denaro percepito dal sodalizio, o che il

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In relazione al vaglio delibativo operato sui profili critici qui evidenziati

devono integralmente richiamarsi, pertanto, le medesime considerazioni già

espresse, supra, nel par. 2.1..

9. Sulla base delle su esposte considerazioni, conclusivamente, s’impone

l’annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio al Tribunale di Milano

affinchè proceda ad una nuova deliberazione, eliminando i vizi riscontrati ed

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuova deliberazione al Tribunale

di Milano.

Così deciso in Roma, lì, 2 dicembre 2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

uniformandosi ai principii di diritto in questa Sede stabiliti.

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