Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9986 del 24/04/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 9986 Anno 2013
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso 27043-2010 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE 06363391001 in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende,
ope legis;
– ricorrente contro

MANOTTI LUCA;
– intimato –

avverso la sentenza n. 137/21/2009 della Commissione
Tributaria Regionale di BOLOGNA – Sezione Staccata di
PARMA del 23.9.09, depositata il 02/10/2009;
udita la relazione della causa svolta nella camera di

Data pubblicazione: 24/04/2013

consiglio del 27/02/2013 dal Consigliere Relatore
Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del

Dott. PASQUALE FIMIANI.

La Corte,
ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in
cancelleria la seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo,

Osserva
La CTR di Bologna ha respinto l’appello dell’Agenzia -appello proposto contro la
sentenza n.199/01/2007 della CTP di Reggio nell’Emilia che aveva accolto il ricorso
della parte contribuente Manotti Luca- ed ha così annullato l’avviso di accertamento
relativo ad IRPEF per l’anno 2002 da reddito di partecipazione nella “Meca di
Manotti Luca sas”, accertamento desunto da quello elevato nei confronti della
predetta società e fondato (oltre al resto) sull’assunto di indebite deduzioni di costi
per prestazioni di servizi (di importo pari ad E 785.560,00) non documentate e rese
nell’anno 2002 alla società “Meca sas” da tale “Meca si -i”, società entrambe facenti
capo al medesimo Manotti Luca.
La predetta CTR ha motivato la decisione con rinvio per relationem alla precedente
sentenza della medesima CTR relativa all’accertamento elevato nei confronti della
menzionata società, sentenza che risulta essere stata motivata nel senso di ritenere che
la documentazione prodotta dalla società contribuente (pur presentando “aspetti
criticabili”) fosse idonea a giustificare i costi sostenuti, anche alla luce di una
contabilità regolarmente tenuta, mentre le presunzioni indicate dall’Agenzia
avrebbero dovuto avere maggiori supporti probatori. La contribuente, d’altronde,
aveva dimostrato con le distinte di lavorazione, il libro matricola, bilanci e note
integrative di Meca srl, che quest’ultima effettuava lavorazioni per conto di essa
contribuente, a tal fine utilizzando una struttura aziendale costituita da immobili,
mobili e dipendenti e che quella era l’unica cliente di detta Meca srl.
L’Agenzia del territorio ha interposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
La parte contribuente non si è difesa.

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letti gli atti depositati

Il ricorso — ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore- può essere
definito ai sensi dell’art.375 cpc.
Preliminarmente, necessita rilevare che non vi è ragione per ritenere l’esistenza di
vizi del contraddittorio nei gradi di merito della procedura, poiché ricorre nella
specie di causa il presupposto esonerativo considerato da questa Corte nella sentenza

accertamento, separatamente notificato alla società di persone ed ai soci- sin dal
primo grado sono stati simultaneamente proposti ed hanno trovato una omogeneità di
trattazione fino a tutto il secondo grado di giudizio.
Con il primo motivo di ricorso (improntato alla violazione dell’art.2697 cod civ;
degli art.19 e 21 del DPR n.633/1972; dell’art.75 —antica numerazione- del DPR
n.917/1986 e di tenore identico a quello che l’Agenzia risulta avere proposto nel
ricorso per cassazione avverso la sentenza relativa alla società n.192-01-2007) la
parte ricorrente lamenta —nel contesto di un motivo di impugnazione articolato su
plurime censure degne di autonoma articolazione- che il giudice del merito abbia —
con la sua motivazione- implicitamente inteso affermare che l’onere della prova
incombesse all’Ufficio, mentre è indirizzo costante di questa Corte di Cassazione che
in tema di imposte l’onere della prova circa l’esistenza, l’oggettiva determinabilità e
l’inerenza dei costi incombe sul contribuente; lamenta pure la violazione dei
menzionati art.19 e 21 nella parte in cui prescrive l’indicazione specifica della natura,
qualità e quantità dei beni e dei servizi oggetto delle operazioni, siccome strumentale
al controllo dell’esistenza e determinabilità e inerenza dei costi, norma la cui
violazione implica (ancora una volta) una inversione dell’onere della prova a carico
della parte contribuente; lamenta infine la violazione del menzionato art.75, per avere
il giudicante “non correttamente applicato la predetta normativa”, in presenza di
fatture prive del requisito formale dell’indicazione di natura qualità e quantità dei
beni e dei servizi formanti l’oggetto dell’operazione.
Il motivo in esame appare per un verso inammissibilmente formulato (in relazione
all’ultimo profilo, non avendo la parte ricorrente in maniera idoneamente

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n.14815/2008, atteso che i ricorsi —tra loro connessi perché relativi al medesimo

autosufficiente dettagliato il presupposto di fatto della asserita violazione della
norma, omettendo di trascrivere l’esatto contenuto dei documenti fiscali
asseritamente inidonei, così impedendo alla Corte di esercitare quel controllo
prognostico circa la fattispecie concreta -in termini, Sez. L, Sentenza n. 9777 del
19/07/2001) e, per altro verso (con riferimento alla violazione del combinato disposto

Ed invero il giudice del grado di appello non si è limitato affatto a regolare la specie
di causa con l’applicazione del criterio dell’onus probandi, ma ha dettagliato le
ragioni per le quali ha ritenuto sufficienti e convincenti le prove proposte in giudizio
dalla parte contribuente, in tal modo formulando un preciso giudizio circa la
maggiore significatività delle une rispetto alle altre prodotte in causa dall’Ufficio.
Con il secondo motivo di impugnazione (improntato al vizio di motivazione) la parte
ricorrente si duole dell’insufficiente motivazione della sentenza impugnata in ordine
al fatto che i costi portati in deduzione fossero effettivamente “certi e determinati”,
non avendo la CTR valutato criticamente gli argomenti a fondamento delle censure
proposte in atto di appello ma essendosi limitata a considerare non idonee le
presunzioni indicate dall’appellante Ufficio.
Anche detto motivo di impugnazione appare inammissibile, siccome la parte
ricorrente non si limita a chiedere a questa Corte un controllo circa la coerenza o la
sufficienza dell’iter argomentativo utilizzato dal giudice del merito ma chiede —
invece- la rinnovazione del giudizio comparativo —già adeguatamente espletato dal
giudice di appello- in ordine al materiale probatorio dedotto in atti, con inammissibile
sovrapposizione del giudizio di questa Corte ai poteri propri ed esclusivi del giudice
del merito.
Ed infatti è ius receptum che:”Il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito
dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., non equivale alla revisione del “ragionamento
decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una
determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in
realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in

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degli art.2697 cod civ e 19 e 21 del DPR n.633/1972), manifestamente infondato.

una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento
al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio
di motivazione ogni possibilità per la Corte di Cassazione di procedere ad un nuovo
giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti
di causa. Nè, ugualmente, la stessa Corte realizzerebbe il controllo sulla motivazione

merito, se – confrontando la sentenza con le risultanze istruttorie – prendesse di
ufficio in considerazione un fatto probatorio diverso o ulteriore rispetto a quelli
assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione, accogliendo il
ricorso “sub specie” di omesso esame di un punto decisivo” (Cass. Sez. L, Sentenza
n. 3161 del 05/03/2002).
Con il terzo, il quarto ed il quinto motivo (centrati tutti sul vizio di violazione di
legge) la parte ricorrente si duole da un canto della modalità di redazione (per
relationem ad altra pronuncia) della motivazione della sentenza qui impugnata,
essendo priva degli elementi essenziali; si duole ancora della violazione dell’art.2909
del codice civile, perché l’annullamento dell’accertamento relativo alla società era
avvenuto con sentenza ancora suscettibile di impugnazione; si duole infine di
violazione dell’art.295 cpc per non avere il giudicante sospeso il processo la cui
definizione dipendeva dalla decisione di un’altra causa (e cioè appunto quella relativa
alla società).
I motivi appaiono inammissibilmente formulati.
Il primo perché il giudicante —nel motivare per relationem ad altra pronuncia
contestualmente adottata- ha dato mostra di conoscerne precisamente il fondamento,
al quale si è puntualmente richiamato, ed anche alla luce del fatto che la stessa parte
ricorrente ha riproposto qui le ragioni sostanziali alla base dell’impugnazione del
provvedimento di accertamento relativo alla società, così dando implicitamente atto
della immediata coerenza di contenuto esistente tra i due provvedimenti giudiziari.
Il secondo perché la parte ricorrente si è limitata ad una mera enunciazione della
norma di legge violata, senza esplicitare in quale parti e per quali ragioni la medesima

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che le è demandato, ma inevitabilmente compirebbe un (non consentito) giudizio di

norma sarebbe stata violata e stabilire perciò un collegamento agevolmente
intelligibile tra la pronuncia impugnata e la norma asseritamente violata.
Il terzo perché in nessun modo la parte ricorrente ha esplicitato le ragioni di asserita
pregiudizialità della causa già pendente avanti ad altro giudice tributario, della quale
neppure sono stati indicati con chiarezza i dati identificativi.

del ricorso.
Roma, 20 ottobre 2012

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati
delle parti;
che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i
motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;
che le spese di lite non necessitano di regolazione, atteso che la parte vittoriosa
non si è costituita.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.
Così deciso in Roma il 27 febbraio 2013.

Si propone pertanto la decisione in camera di consiglio per difetto di ammissibilità

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