Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9986 del 08/05/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 9986 Anno 2014
Presidente: AMATUCCI ALFONSO
Relatore: STALLA GIACOMO MARIA

SENTENZA

sul ricorso 16734-2008 proposto da:
SFASCIABASTI LUIGI SFSLGU58R29C524X,

TEKNOS SRL

01539680429 in persona del legale rappresentante
SFASCIABASTI ANTONIO, domiciliati ex lege in ROMA,
presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentati e difesi dall’avvocato GIORDANI
2014
660

GIULIANO con studio in FERMO, CORSO CAVOUR 25 giusta
procura speciale a margine del ricorso;
ricorrenti
contro

TULLI

LAURO

TLLLRA36A16D542Z,

1

elettivamente

Data pubblicazione: 08/05/2014

domiciliato in ROMA, VIA CATANZARO 9, presso lo
studio dell’avvocato AGOSTINI GIUSEPPE,

che lo

rappresenta e difende giusta procura speciale a
,

margine del controricorso;
– controricorrente –

CUDINI GIULIO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 238/2007 della CORTE D’APPELLO
di ANCONA, depositata il 08/06/2007, R.G.N. 983/2002;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/03/2014 dal Consigliere Dott. GIACOMO
MARIA STALLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI che ha concluso per
l’accoglimento del primo motivo di ricorso, rigetto
degli altri;

••

2

nonchè contro

Ric.n.16734/08 rg. – Ud. del 12.3.2014

Svolgimento del giudizio.

Nell’ottobre 1999 Giulio Cudini e Lauro Tulli convenivano in
giudizio, avanti al tribunale di Fermo, Luigi Sfasciabasti e la
Teknos srl, chiedendo – per quello che qui rileva che il
tribunale dichiarasse inefficaci nei loro confronti, ex articolo

(già titolare della ditta individuale ‘Viterie Teknos’, poi
cessata) aveva venduto alla seconda (costituita

ad hoc, ed il cui

amministratore unico era Sfasciabasti Antonio, padre di Luigi) un
autocarro e due autovetture; ciò perché tali atti di alienazione
pregiudicavano le ragioni creditorie ad essi derivanti da una
sentenza di condanna emessa a loro favore dal tribunale di Fermo
il 21 luglio ’98.
Costituendosi in giudizio,

i convenuti contestavano la

ricorrenza dei requisiti oggettivi e soggettivi della richiesta
revocatoria, assumendo in particolare che

l’eventus damni

doveva

nella specie escludersi in ragione del fatto che – al momento
delle tre vendite – lo Sfasciabasti era ancora titolare di un
cospicuo patrimonio mobiliare e di officina che era stato da lui
venduto alla medesima Teknos srl soltanto il 18 gennaio ed il l^
ottobre ’99. Teknos srl formulava altresì domanda riconvenzionale
per ottenere il risarcimento dei danni da essa subiti per effetto
del blocco della produzione cagionatole dagli attori in forza di
un sequestro preventivo da essi sollecitato in sede penale sulla
base di una denuncia calunniosa per il reato di cui all’articolo
388 cp.
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2901 cod.civ., tre atti del 24 settembre ’98 con i quali il primo

Ric.n.16734/08 rg. – Ud. del 12.3.2014

Con sentenza n.515 del 26 aprile 2002, il tribunale di Fermo: accoglieva la domanda ex art.2901 cod.civ. in ordine tanto alle
tre vendite di autoveicoli, quanto ai successivi atti di
dismissione patrimoniale dichiaratamente intercorsi tra i
convenuti, ed ai quali gli attori avevano in corso di causa esteso

danni proposta dalla Teknos srl.
Interposto gravame, interveniva la sentenza n. 238 dell’ 8
giugno 2007 con la quale la corte di appello di Ancona confermava
la sentenza impugnata.
Avverso tale sentenza viene proposto ricorso per cassazione, da
parte di Luigi Sfasciabasti e di Teknos srl, sulla base di tre
motivi; resiste con controricorso il Tulli. E’ stata depositata
memoria ex art.378 cod.proc.civ. da parte dei ricorrenti.
Motivi della decisione.
.§. 1.1 Con il primo motivo di ricorso lo Sfasciabasti e la Teknos
srl lamentano violazione o falsa applicazione di norme di diritto,
ex art.360, 1^co., n.3) cpc, con riferimento agli articoli 100 e
112 c.p.c., dal momento che la corte di appello aveva respinto il
motivo di gravame da essi proposto avverso la decisione con la
quale il primo giudice, in luogo di prendere atto della mancata
riproduzione, in sede di precisazione delle conclusioni, della
domanda riconvenzionale di danni della Teknos srl, l’aveva
rigettata nel merito. In particolare, la corte di appello aveva
ritenuto che Teknos srl non avesse interesse alla doglianza, dal
momento che la pronuncia di rigetto non poteva pregiudicarla in
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la domanda iniziale; – respingeva la domanda riconvenzionale di

Ric.n.16734/08 rg. – Ud. del 12.3.2014

alcun modo, proprio perché relativa ad una domanda dichiaratamente
abbandonata. Senonchè, l’interesse di Teknos srl doveva reputarsi

in re ipsa, dal momento che la pronuncia di rigetto nel merito era
suscettibile di passare in giudicato e, pertanto, di precluderle
il diritto al risarcimento ove separatamente azionato.

diritto ex articolo 366 bis, qui applicabile ratione temporis: “la

mancata riproposizione nelle conclusioni definitive di una delle
domande proposte non accompagnata dalla riserva di introduzione
della stessa domanda in separato giudizio equivale a rinuncia
all’azione con conseguente preclusione di ogni ulteriore tutela
giurisdizionale ?’.
1.2 Il motivo è inammissibile perché basato su un quesito di
diritto non rispondente al tipo legale desumibile dalla corretta
interpretazione della norma citata.
E’ orientamento consolidato di legittimità (tra le tante: Cass.
sez. un., 5 febbraio 2008, n. 2658; Cass. 17 luglio 2008, n.
19769; Cass. 30 settembre 2008, n. 24339; Cass. 25 marzo 2009, n.
7197; Cass. 8 novembre 2010, n. 22704) che il quesito di cui
all’art.366 bis cit. – dovendo costituire un momento di
congiunzione

tra

la

risoluzione

del

caso

specifico

e

l’enunciazione del principio generale – non può esaurirsi nella
mera enunciazione di una regola astratta, dovendo invece
presentare uno specifico collegamento con la fattispecie concreta.
Esso deve in altri termini raccordare la prima alla seconda,
entrambe alla decisione impugnata; di cui deve indicare la
5

A corredo del motivo, viene formulato il seguente quesito di

Ric.n.16734/08 rg. – Ud. del 12.3.2014

discrasia con riferimento alle specifiche premesse di fatto. Deve
pertanto ritenersi inammissibile il ricorso che contenga quesiti
di carattere generale ed astratto, privi di qualunque indicazione
sul tipo della controversia, sugli argomenti dedotti dal giudice
‘a quo’ e sulle ragioni per le quali non dovrebbero essere

Si è in particolare affermato (Cass. 19 novembre 2013 n. 25903)
che il quesito di diritto “deve essere formulato in modo tale da
esplicitare una sintesi logico-giuridica della questione, cosi da
consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris
suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori
rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata; in altri
termini, esso deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione
degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito (siccome
da questi ritenuti per veri, altrimenti mancando la critica di
pertinenza alla ratio decidendi della sentenza impugnata); b) la
sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel
giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del
ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. Sicchè,
il quesito non deve risolversi in un’enunciazione di carattere
generale ed astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo
della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in
esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la
causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi altresi
desumere il quesito stesso dal contenuto del motivo o integrare il

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condivisi.

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primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto
articolo (Cass., sez. un., 11 marzo 2008, n. 6420) (.4”.
Tanto premesso, risulta evidente come il quesito qui in esame
(su trascritto) non risponda ai criteri anzidetti, risolvendosi
nell’enunciazione di un interrogativo astratto; scollegato dalla

non riproduce termini e modalità essenziali. Dalla sua lettura che, come detto, ha rilevanza autonoma, non potendo trovare
integrazione o specificazione nella narrativa di illustrazione del
motivo – non è dato di individuare lo specifico errore di diritto
nel quale sarebbe incorso il giudice di appello; e nemmeno la
regola di diritto che si assume violata e la cui corretta
applicazione sostitutiva dovrebbe indurre ad una decisione
diversa.
La definitiva riprova di ciò si ha nel fatto che il quesito tutto incentrato sul significato di rinuncia attribuibile alla
mancata riproposizione della domanda in sede di precisazione delle
conclusioni definitive – nemmeno menziona due aspetti invece
rilevanti nella concretezza della fattispecie: da un lato, la
mancata emersione agli atti di causa di un interesse concreto ed
attuale di Teknos ad ottenere la riforma della decisione con la
quale il primo giudice aveva respinto (con valutazione gravata in
appello sotto il profilo della ultrapetizione, non anche del
merito) una domanda ormai rinunciata; dall’altro, la
rappresentazione di un contrapposto interesse dell’altra parte a

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concreta fattispecie a cui esso pretende di riferirsi, della quale

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ottenere, indipendentemente dalla rinuncia, una decisione sul
merito della domanda stessa.
§ 2.1

Con

il secondo motivo, lo Sfasciabasti e la Teknos srl

lamentano violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex
art.360,

1^co.,

n.3)

cpc,

con riferimento all’articolo 183

confermato la decisione con la quale il primo giudice aveva esteso
la pronuncia di inefficacia ex articolo 2901 cod.civ. anche agli
atti di alienazione del 18 gennaio e del l^ ottobre ’99 (da essi
stessi disvelati nella comparsa di costituzione in giudizio, con
tanto di allegazione delle relative fatture), nonostante che
l’estensione anche a tali atti dell’originaria domanda attorea
mediante la memoria di cui all’ultimo comma dell’articolo 183
cod.proc.civ. allora vigente (estensione da essi mai accettata)
implicasse violazione del divieto di mutati°,

in quanto volta ad

aumentare il petitum e ad introdurre un nuovo tema di indagine.
§ 2.2. Il motivo è infondato.
Secondo la corte di appello (sent.pag.14), la violazione nella
specie del divieto di novità andava esclusa in ragione del fatto
che la

‘ratio’

di tale divieto era correlata, da un lato, alla

tutela del contraddittorio e del diritto di difesa e, dall’altro,
all’esigenza di ragionevole durata del processo; valori entrambi
frustrati allorquando si desse ingresso, dopo il naturale spirare
delle preclusioni di legge, a domande comportanti un effettivo
ampliamento del tema di indagine e di quello decisionale. Talè
evenienza non era peraltro qui riscontrabile, dal momento che:
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cod.proc.civ., dal momento che la corte di appello aveva

Ric.n.16734/08 rg. – Ud. del 12.3.2014

erano stati gli stessi convenuti a dedurre in giudizio la
conclusione degli ulteriori atti di disposizione patrimoniale, dei
quali erano stati da loro forniti anche tutti gli elementi
identificativi; – il c.d.

petitum mediato per il cui ottenimento

gli attori avevano agito (tutela dell’integrità patrimoniale del

domanda; – tale estensione non aveva determinato in concreto alcun
ampliamento del tema di indagine, giacché

“l’unico elemento di

fatto autonomo ed originale della domanda introdotto in corso di
causa era rappresentato in sostanza dall’ effettività storica dei
nuovi atti di disposizione; ma sul punto nessuna necessità di
attività istruttoria era ravvisabile, essendo stati proprio i
convenuti ad introdurre la circostanza nel contesto delle proprie
difese”.
Non vi sono ragioni per disattendere quanto così affermato,
nella corretta applicazione delle norme processuali di
riferimento, dalla corte di appello.
Va

infatti

considerato

che,

nella

peculiarità

della

fattispecie, l’estensione della domanda di revoca agli atti
dispositivi ulteriori si poneva su un piano puramente derivativo e
consequenziale all’eccezione dei convenuti, i quali tali ulteriori
atti avevano dedotto al fine di comprovare l’inesistenza, al
momento dei primi atti dispositivi, dell’eventus damni.
Inoltre, l’estensione della domanda non implicava – come
argomentato in fatto dalla corte territoriale – ampliamento d
tema di indagine, atteso che gli ulteriori atti di disposizione
9

loro debitore) era rimasto invariato pur dopo l’estensione della

-

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patrimoniale erano stati dedotti in giudizio dai convenuti in
tutti i loro elementi identificativi oggettivi e soggettivi;
elementi identificativi del tutto sovrapponibili a quelli degli
atti dispositivi fatti originariamente oggetto di domanda ex
articolo 2901 cod.civ..

infondatezza della doglianza in esame, che l’estensione della
domanda non mutava il fatto generatore del diritto
azionato dagli attori, insito

ab initio

ex art.2740 cod.civ.

nel

complessivo piano di dismissione patrimoniale realizzato in loro
danno dai convenuti. Piano di dismissione con riferimento al
quale la realizzazione degli atti successivi fungeva da momento
puramente progressivo e di aggravamento del pregiudizio;
implicante la necessità di adattamento del

petitum

alla nuova

situazione dedotta nel dibattito processuale dagli stessi
convenuti che di quel pregiudizio si dichiaravano in tal maniera
autori. Ciò perchè, a detta dei medesimi convenuti, era proprio
mediante i due successivi atti di disposizione che era stato
portato a compimento, nello stesso ambito familiare, quell’effetto
di totale svuotamento patrimoniale del debitore integrante il
requisito dell’
riconosciuto de

eventus damni;
plano

il quale veniva con ciò

dei convenuti. Ciò superava, rendendola

ultronea, la necessità di qualsivoglia indagine istruttoria sul
punto.
In tale contesto, non era in definitiva riscontrabile la su
ricordata

ratio

di tutela del divieto di novità: non sotto il
10

Vi è poi da aggiungere, ad ulteriore conferma della

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profilo della integrità del contraddittorio e del diritto di
difesa, e nemmeno sotto quello della concentrazione e speditezza
del processo.
§ 3.1

Con il terzo motivo di ricorso si denuncia omessa,

insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto

avendo la corte di appello congruamente motivato sul perché
dovessero ritenersi nella specie sussistenti i requisiti
soggettivi ed oggettivi della revocatoria. Anche in considerazione
del fatto che la conoscenza in capo all’acquirente Teknos srl del
pregiudizio degli atti di vendita alle ragioni creditorie degli
attori non poteva di per sé desumersi dal solo rapporto di
filiazione con l’amministratore unico di quest’ultima; e che
l’eventus damni

era stato affermato senza considerare che il

credito degli attori (di circa 79 milioni di lire) era, alla data
dell’alienazione dei tre mobili registrati, più che garantito
dalla permanenza in capo a Luigi Sfasciabasti di un patrimonio
mobiliare residuo di circa mezzo miliardo di lire.
§ 3.2

Il motivo – peraltro privo del necessario momento di

sintesi o quesito di fatto – non può trovare accoglimento, atteso
che con esso si sollecita, in presenza di congrua motivazione e di
legittimo ricorso alla prova presuntiva, la riconsiderazione dei
risvolti di merito della fattispecie.
Si rileva che, in ordine all’eventus damni,

la corte di appello

ha recepito i seguenti elementi fattuali (sent.pag.12), g
evidenziati dal tribunale: – l’inclusione delle vendite dei
11

decisivo della controversia ex articolo 360 1″ co. n.5 cpc, non

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macchinari all’interno di un

“identico programma di dismissione

del proprio patrimonio da parte del debitore”; –

l’avvenuta

alienazione dell’intero patrimonio mobiliare registrato del
medesimo; – la permanenza in capo al debitore, in esito agli atti
di vendita, unicamente di beni mobili facilmente occultabili,

grazie alle ammissioni fatte in giudizio dagli stessi convenuti”.
In ordine alla scientia damni,

sono stati richiamati i seguenti

elementi di fatto (ivi): – lo strettissimo rapporto di parentela
intercorrente tra i soci della Teknos srl; – la realizzazione
degli atti di vendita subito dopo il deposito della sentenza di
condanna del tribunale di Fermo; la partecipazione
dell’amministratore unico della società al processo penale
riguardante il figlio Luigi Sfasciabasti; – la finalizzazione
degli atti dispositivi a far confluire nella Teknos srl tutti
indistintamente i beni appartenenti al patrimonio della ditta
individuale di Luigi Sfasciabasti .
Il ragionamento della corte territoriale – così ricostruito – è
immune da vizi logici di sorta, ed è anzi correttamente
applicativo dell’orientamento consolidato di legittimità in
materia di revocatoria ordinaria; secondo cui la prova della
conoscenza in capo al debitore (e, in presenza di atto a titolo
oneroso, del terzo) del pregiudizio arrecato dall’atto alle ,
ragioni

creditorie

può

essere

dall’attore

fornita

senza /

limitazioni di sorta e, dunque, anche in via indiziaria e tramite/
presunzioni

ex

artt.2727

segg.cc ..
12

Presunzioni

il

cui

“tanto che la prova del loro trasferimento poté ottenersi solo

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apprezzamento discrezionale è devoluto al giudice di merito,
risultando in tal modo incensurabile – con l’unico limite della
congrua motivazione – in sede di legittimità (Cass. n. 17327 del
17/08/2011; Cass. n. 3676 del 15/02/2011; Cass. n. 13404 del
23/05/2008, ed altre in termini).

dubitare della conclusività probatoria degli elementi valorizzati
dalla corte d’appello, come su riepilogati, in ordine alla
scientia damni ed all’eventus damni

una riconsiderazione funditus,

ad altro non aspiri che ad

qui preclusa per le dette ragioni,

dei risvolti fattuali della vicenda.
Ne segue l’inammissibilità del primo motivo di ricorso ed il
rigetto degli altri, con condanna di parte ricorrente alla
rifusione delle spese del presente giudizio liquidate, come in
dispositivo, ai sensi del DM Giustizia 20 luglio 2012 n.140.
Pqm

La Corte
dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso e rigetta
agli altri;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di cassazione che liquida in euro 5200,00, di cui euro
200,00 per esborsi ed il resto per compenso professionale; oltre
accessori di legge.
Così deciso nella camera di consiglio della terza sezione
rzo 2014.
civile in data 12

Su tale presupposto, è dunque evidente come la doglianza – nel

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