Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9982 del 08/05/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 9982 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: CARLUCCIO GIUSEPPA

SENTENZA
sul ricorso 18264-2008 proposto da:
IMP

STEFANELLI

SRL

04792220156,

in

persona

dell’Amm.re Unico legale rappresentante PIETRO
STEFANELLI, considerata domiciliata ex lege in ROMA,
presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentata e difesa dall’avvocato ALTAMURA FRANCO
giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro

FERRAIUOLO

MAGDALENA

FILOMENA

FRRMDL66R63Z132N,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 102, presso

1

Data pubblicazione: 08/05/2014

lo studio dell’avvocato MAllA LEONARDO, che lo
rappresenta
MARCHETTI

e

difende

unitamente

all’avvocato

PIETRO giusta procura in calce al

controricorso;
FOGLIA

GIOVANNI

FGLGNN48T10F003E,

elettivamente

dell’avvocato MAZZA LEONARDO, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato MARCHETTI PIETRO
giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 2113/2007 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 17/07/2007 R.G.N.
3108/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/03/2014 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA
CARLUCCIO;
udito l’Avvocato CARLO BORELLO per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. AURELIO GOLIA che ha concluso per
l’inammissibilita’ del ricorso.

2

domiciliato in ROMA, VIA PO 102, presso lo studio

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.Giovanni Foglia, nel 2000, convenne in giudizio l’Impresa Stefanelli srl:
chiese la restituzione di due milioni di lire, oltre accessori, versati alla
convenuta in occasione delle trattative intercorse per l’acquisto di una
delle ville realizzate nel complesso residenziale costruito dalla società ed
espose di aver comunicato ad essa la sua decisione di non acquistare più.
La società, costituitasi dinanzi al Giudice di Pace, premise che durante le

240 milioni di lire e la stipulazione del preliminare in data 15 dicembre
1999, nonché che la società aveva accettato la richiesta del Foglia di
differimento dello stesso a condizione che vi fosse un impegno
all’acquisto; aggiunse che il Foglia aveva assunto l’impegno con
dichiarazione in calce alla copia di assegno rilasciato da Magdalena
Ferraiolo, convivente del Foglia che avrebbe acquistato insieme al primo;
chiese ed ottenne di chiamare in causa la Ferraiolo e chiese il
risarcimento dei danni patiti a seguito della mancata vendita del bene.
Riassunto il processo dinanzi al Tribunale di Milano, ammessa
parzialmente la prova testimoniale chiesta dalla convenuta, la sentenza
accolse la domanda di restituzione proposta dal Foglia e rigettò la
domanda riconvenzionale di danni proposta dalla società.
La Corte di appello di Milano, adita dalla società, respinse l’impugnazione
e la condannò a rifondere agli appellati le spese del grado, liquidate
separatamente per i due appellati (sentenza del 17 luglio 2007).
2. Avverso la suddetta sentenza la società Stefanelli propone ricorso per
cassazione con tre motivi e deposita memoria.
Resistono con distinti controricorsi Foglia e Ferraiolo; quest’ultima
sostiene che, a parte la statuizione sulle spese processuali di secondo
grado, la sentenza di appello è passata in giudicato nei suoi confronti,
non essendo stata specificamente impugnata l’affermazione della
sentenza impugnata secondo la quale è «estranea ai fatti di causa la
posizione della Ferraiolo».
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Preliminare è l’eccezione prospettata dalla Ferraiolo in ordine al
passaggio in giudicato della sentenza impugnata nei suoi confronti – con
esclusione della statuizione sulle spese processuali – per non essere stata
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trattative, con accesso in loco, le parti avevano concordato il prezzo di

censurata con il ricorso la statuizione della sentenza in cui si è affermata
la sua estraneità ai fatti di causa.
La corrispondenza agli atti di causa di quanto sostenuto con l’eccezione,
considerato l’esito complessivo del ricorso nel senso del rigetto (di cui ai
§§ che seguono), non influenza la decisione neanche in ordine alla
regolazione delle spese processuali tra la società ricorrente e la Ferraiolo.
1.1. Alla decisione è applicabile, ratione temporis, l’art. 366 bis, cod.

2. Logicamente preliminari sono le censure che concernono la decisione
nella parte in cui ha ritenuto inammissibile l’istanza istruttoria.
2.1. La

Corte di merito nel sostenere l’inammissibilità dell’istanza

istruttoria, riproposta in appello, relativa a capitoli di prova per testimoni
(da n. 2 a n. 8), già non ammessi con ordinanza in primo grado, spende
due argomentazione.
Da un lato perché l’istanza istruttoria non era stata riproposta in sede di
precisazione delle conclusioni in primo grado e, quindi inammissibilmente
riproposta in appello, peraltro solo in sede di precisazione delle
conclusioni e non con atto di appello.
Dall’altro, perché sarebbe comunque inammissibile, ai sensi dell’art. 1350
e 2725, secondo comma, cod. civ., vertendo i capitoli sulla prova di un
intervenuto accordo sul prezzo di vendita di immobili nella fase delle
trattative.
2.2. La società ricorrente censura la prima ratio decidendi della sentenza
sotto due profili, nel secondo motivo di ricorso (quesiti sub a) e b); la
seconda ratio, con il secondo motivo quesito sub c), e contestualmente
alla critica del mancato riconoscimento dell’an della responsabilità (pag.
16/17 ricorso).
2.3. Secondo la ricorrente, qualora le istanze istruttorie siano state
rigettate con provvedimento istruttorio dal giudice di primo grado, la
mancata riproposizione delle stesse in sede di precisazione delle
conclusioni in primo grado non comporta rinuncia della parte ma richiede
solo l’impugnazione della negata ammissione in appello (quesito sub a).
2.4. La censura va rigettata sulla base delle argomentazioni che seguono.
2.4.1. In primo luogo, secondo quanto afferma la Corte di merito, senza
che la ricorrente alleghi e dimostri il contrario, l’istanza istruttoria
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proc. civ.

sarebbe stata riproposta solo in fase di precisazione di conclusione in
appello e non con l’atto di appello, quindi – comunque – tardivamente.
2.4.2. In secondo luogo, la censura – per sostenere la non necessità della
riproposizione delle istanze istruttorie nella fase della precisazione delle
conclusioni in primo grado – richiama orientamenti risalenti che
consentivano margini di valutazione del giudice.
Oramai da tempo, tenendo conto del processo riformato nel 1990/1995 –

applicabile ratione temporis

si è affermato che, avverso le ordinanze

emesse dal giudice, di ammissione o di rigetto delle prove, rispetto alle
quali non è più previsto il reclamo, le richieste di modifica o di revoca
devono essere reiterate in sede di precisazione delle conclusioni definitive
al momento della rimessione in decisione e, in mancanza, le stesse non
possono essere riproposte in sede di impugnazione. (Cass. 14 ottobre
2008, n. 25157; Cass. 14 novembre 2007, n. 23574).
Da ultimo, rispetto allo stesso profilo, ma con riferimento alla fase di
appello, considerando oltre che la riforma processuale del 1990/1995,
anche il nuovo art. 111 Cost., si è sostenuto che « ..le istanze
istruttorie, non accolte in primo grado e reiterate con l’atto di appello, le
quali non vengano riproposte in sede di precisazione delle conclusioni,
devono reputarsi rinunciate, a prescindere da ogni indagine sulla volontà
della parte interessata, così da esonerare il giudice del gravame dalla
valutazione sulla relativa ammissione o dalla motivazione in ordine alla
loro mancata ammissione.» (Cass. 27 aprile 2011, n. 9410).
Orientamento, che ha avuto seguito nella successiva affermazione del
principio secondo cui «L’interpretazione degli artt. 189, 345 e 346 cod.
proc. civ., secondo cui l’istanza istruttoria non accolta nel corso del
giudizio, che non venga riproposta in sede di precisazione delle
conclusioni, deve reputarsi tacitamente rinunciata, non contrasta con gli
artt. 47 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, né
con gli artt. 2 e 6 dal Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (ratificato
con legge 2 agosto 2008, n. 130), né con gli artt. 24 e 111 Cost., non
determinando alcuna compromissione dei diritti fondamentali di difesa e
del diritto ad un giusto processo, poiché dette norme processuali, per
come interpretate, senza escludere né rendere disagevole il diritto di
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(I. n. 353 del 1990, a decorrere dal 30 aprile 1995) nella specie

”difendersi provando”, subordinano, piuttosto, lo stesso ad una domanda
della parte che, se rigettata dal giudice dell’istruttoria, va rivolta al
giudice che decide la causa, così garantendosi anche il diritto di difesa
della controparte, la quale non deve controdedurre su quanto non
espressamente richiamato» e che subirebbe un pregiudizio del proprio
diritto di difesa se il giudice decidesse senza il contraddittorio su una
istanza istruttoria non specificamente riproposta. (Cass. 27 giugno 2012

Peraltro, la portata della linea evolutiva del principio si coglie appieno
considerando la successiva estensione dal thema probandum al thema

decidendum, in riferimento al regime delle domande ed eccezione (cfr.
Cass. 29 gennaio 2013, n. 2093, seguita da Cass. 5 luglio 2013, n.
16840, non smentita da Cass. 3 ottobre 2013, n. 22626 che riprende
l’indirizzo precedente senza argomentare rispetto al nuovo).
2.5. Inoltre, secondo la ricorrente, avendo il giudice di appello ritenuto
inesistente la prova del prezzo, avrebbe dovuto ammettere, anche
d’ufficio, la prova dedotta dall’appellante su tale circostanza, altrimenti
sarebbe integrata la violazione dell’art. 345 cod. proc. civ.
sull’indispensabilità della prova e incorrerebbe in vizio logico giuridico di
motivazione (quesito sub b).
2.5.1. Il profilo di censura è manifestamente infondato.
E’ sufficiente considerare la prospettiva di “supplenza” alla mancanza
della prova addotta dalla parte che la censura assume, in
contrapposizione alla giurisprudenza consolidata di legittimità che
circoscrive le prove ritenute indispensabili dal giudice, proprio in ragione
della necessità di escludere che attraverso l’indispensabilità si pongano
nel nulla le preclusioni, e si intacchi lo stesso principio informatore del
processo relativo all’assolvimento dell’onere della prova da parte del
soggetto sul quale grava (esemplificativamente Cass. 5 dicembre 2011,
n. 26020; Cass. 7 giugno 2011, n. 12303; Cass. 31 marzo 2011, n.
7441).
2.6. Quanto alla censura che la ricorrente muove, sia pure
congiuntamente alla decisione di merito, con profilo sub c) del quesito del
secondo motivo, rivolta alla seconda argomentazione della sentenza
impugnata, la stessa è inammissibile per difetto di interesse. Infatti, dal
6

n. 10748).

rigetto delle censure sulla prima ratio decidendi, discende il difetto di
interesse della parte alla decisione della censura della seconda

ratio,

atteso che anche un ipotetico accoglimento della stessa non muterebbe la
decisione sul profilo delle istanze istruttorie, essendo la prima

ratio

idonea a fondarla autonomamente.
3. Passando ad esaminare il merito, la sentenza impugnata ha fondato
l’accoglimento della domanda di restituzione del versato da parte del

società, sulle argomentazioni che seguono.
Premesso che l’accordo preparatorio del contratto fissa solo gli elementi
già concordati, secondo la Corte di merito, la scarna dichiarazione del
Foglia, di aver rilasciato l’assegno «a titolo di impegno per l’acquisto
della Villa…contrassegnata con il n. 4>>, non costituisce un accordo
preparatorio, né tantomeno una opzione, come sostenuto dall’appellante
ex art. 1329 cod. civ., mancando la prova (da fornirsi dalla società attrice
in riconvenzionale), sul punto saliente relativo all’accordo sul prezzo
nell’ambito delle trattative assunte come tradite, con conseguente
conferma del rigetto della domanda di danni.
Peraltro, ha aggiunto la Corte, dall’istruttoria è emersa come precostituita
la tesi posta a fondamento della domanda di danni – secondo la quale si
chiedeva la differenza, detratto quanto ricevuto, tra il prezzo convenuto
(240 milioni di lire) e quello contenuto in una proposta di acquisto (di 280
milioni di lire) non accettata dalla venditrice per via dell’impegno
all’acquisto del Foglia – atteso che a parte la differenza (essendo stati
chiesti 78 milioni, risultanti dagli 80 meno i 2 ricevuti), l’agente
(Fumagalli) della società aveva disconosciuto la propria firma sulla
proposta di acquisto proveniente dal Foti.
Quindi, ha ritenuto assorbita ogni altra questione.
3.1. La società ricorrente censura tali statuizione con il primo motivo e
con parte del secondo motivo (quesiti sub c) e d), pag. 17 ricorso).
Partendo dalle censure, come risultanti dai quesiti, la ricorrente censura
la sentenza nella parte in cui ha escluso l’an della responsabilità:
a) -non riconoscendo effetti alla dichiarazione di impegno del Foglia per
via della mancanza di prova di accordo intervenuto sul prezzo; e al
contrario secondo la ricorrente, indipendentemente dell’accordo sul
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Foglia e il rigetto della domanda riconvenzionale di danni da parte della

prezzo, sarebbe intervenuto un accordo preparatorio ex art. 1321 cod.
civ., e in via gradatamente subordinata, ex artt. 1331, 1329 cod. civ., o
«contratto di fatto» ex artt. 1173 e 1321 cod. civ., con conseguente
risarcimento del danno ex artt. 1218, 1223, 1453 cod. civ. (primo
motivo);
b) – non riconoscendo responsabilità precontrattuale o extracontrattuale
ai sensi dell’art. 1337 cod. civ. sulla base della sola inesistenza della

ricorrente, avrebbe dovuto non ritenere giustificata la disdetta con
conseguente inadempimento ad ogni effetto di legge (secondo motivo,
quesiti sub c) e d).
3.2. I motivi sono inammissibili per difetto di interesse.
La Corte di merito ha escluso, oltre l’an della responsabilità, anche la
totale mancanza di prova sull’esistenza del danno richiesto (quello per
non aver concluso il contratto di compravendita con il Foti che aveva fatto
proposta, avendo il delegato dell’agenzia disconosciuto la firma su di essa
apposta). Queste argomentazioni non sono state censurate, almeno non
attraverso quesiti di diritto.
Di conseguenza, la ricorrente non ha interesse alla decisione sulle
censure che concernono

l’an della responsabilità. Infatti, anche un

ipotetico accoglimento su tale preliminare profilo non potrebbe mai
tradursi nella riforma della sentenza impugnata, che ha anche escluso la
prova sulla esistenza del danno, in mancanza di censura della parte
sull’accertamento della mancanza di danno (Cass. 8 agosto 2005, n.
16602).
4. Con il terzo motivo si deduce violazione degli artt. 91, 5 n. 4 della
tariffa giudiziale e del relativo d.m. n. 127 del 2004, dell’art. 113 cod.
proc. civ., oltre a omessa motivazione.
Premesso che la censura motivazione non si traduce nel corrispondente
quesito di fatto richiesto dall’art. 366 bis. cod. proc. civ., con il quesito
solo in diritto, si sostiene che avrebbe errato la Corte di merito nel
liquidare separatamente, a favore degli appellati, le spese del grado,
atteso che la sostanziale unicità della parte, per assoluta comunanza di
difese e di difensore, non giustificherebbe una doppia nota spese con
duplicazione di spese vive, diritti e onorario, ma sarebbe legittima
8

prova scritta in ordine all’accordo sul prezzo; mentre, secondo la

un’unica nota spese con onorario unico, maggiorato nel massimo al 20%,
ai sensi dell’ 5 n. 4 della tariffa giudiziale.
4.1. Il motivo non ha pregio e va rigettato.
Costituisce principio in più occasioni affermato nella giurisprudenza di
legittimità, quello secondo cui, «Ai fini della determinazione del
compenso dovuto al difensore che abbia assistito in giudizio una pluralità
di parti, deve procedersi a una sola liquidazione delle spese processuali, a

comportato la trattazione di differenti questioni in relazione alla tutela di
posizioni giuridiche non identiche; il relativo accertamento costituisce
questione di merito la cui risoluzione è incensurabile in sede di
legittimità» (Cass. 1 ottobre 2009, n. 21064; Cass. 24 novembre 2005,
n. 24757).
Nella specie, la Corte di merito ha precisato, rispetto alla Ferraiolo, che,
in effetti è estranea ai fatti di causa. Da ciò può ricavarsi che la difesa, sia
pure fatta dallo stesso difensore, abbia comportato la trattazione di
questioni differenti. Comunque, considerato che la decisione non è
adeguatamente censurata sotto il profilo motivazione, per l’assenza del
necessario quesito, l’accertamento compiuto dal giudice di merito rimane
incensurabile in sede di legittimità.
5. Consegue il rigetto del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate congiuntamente per
entrambi i controricorrenti, sulla base dei parametri vigenti di cui al d.m.
n. 140 del 2012, considerata la maggiorazione per la difesa di due
persone con la trattazione di questioni sostanzialmente non diverse, sia
pure con distinti atti.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE
rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento, in favore
dei controricorrenti, delle spese processuali del giudizio di cassazione,
che liquida complessivamente in Euro 2.300,00, di cui Euro 1.800,00,
maggiorato di Euro 300,00 per la difesa di due parti, e Euro 200,00 per
spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2014
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meno che l’opera defensionale, pur se formalmente unica, non abbia

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