Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9981 del 15/05/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 9981 Anno 2015
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: GARRI FABRIZIA

ORDINANZA
sul ricorso 10587-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA 97103880585 – società con socio unico – in
persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale
rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la
rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro
SINISCALCHI EDOARDO, elettivamente domiciliato in ROMA,
PIAZZA BAINSIZZA 1, presso lo studio dell’avvocato MAURO
MET 1- INI, rappresentato e difeso dall’avvocato JACOPO SEVERO

BARTOLOMEI, giusta procura speciale a margine dell’atto di
costituzione;
– resistente –

a

Data pubblicazione: 15/05/2015

avverso la sentenza n. 603/2012 della CORTE D’APPELLO di
ANCONA del 16.5.2012, depositata il 17/05/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
25/02/2015 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA GARR1;

chiesto il rigetto del ricorso e la distrazione delle spese.
Fatto e diritto
1.- La Corte di appello di Ancona, con sentenza 17.5.2012, decidendo
sul ricorso in riassunzione a seguito di Cassazione della sentenza della
Corte di Appello dell’Aquila ha dichiarato nullo il termine apposto al
contratto intercorso con Edoardo Siniscalchi nel periodo 2.10.2000 —
31.1.2001 e, accertata l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a
tempo indeterminato, ha condannato la società a riammetterlo ed al
pagamento a titolo di indennità ex art 32 della I. n. 183 del 2010 di
otto mensilità di retribuzione.
2.- Per la cassazione della sentenza ricorre la società Poste che articola
tre motivi cui resiste Edoardo Siniscalchi con controricorso. Entrambe
le parti hanno depositato memoria.
3.- Tanto premesso e sui motivi di ricorso si osserva quanto segue.
3.1.- E’ infondata la censura con la quale è denunciata la violazione
degli art. 1372 comma 1 e 2 c.c. e l’omessa ed insufficiente
motivazione su un fatto decisivo per il giudizio oltre che la nullità del
procedimento ( ex art. 360 comma 1 nn. 3, 4 e 5 c.p.c.).
Secondo il costante orientamento di questa Corte dal quale non
sussistono, nella specie, ragioni per discostarsi, “nel giudizio instaurato
ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di
lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima
apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché
possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è
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udito per il resistente l’Avvocato Jacopo Severo Bartolomei che ha

necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso
dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del
comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze
significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime

10.11.2008 n. 26935, n. 20390/2007, n. 23554/2004, nonché più di
recente, Cass. n. 23319/2010, n. 5887/2011, n. 16932/2011). La mera
inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi
non è di per sé sufficiente a far ritenere sussistente una risoluzione del
rapporto per mutuo consenso (v. Cass. n. 23057/2010, n. 5887/2011),
mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca tale risoluzione,
“l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà
chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni
rapporto di lavoro” (v. Cass. 2.112002 n. 17070 e fra le altre, Cass. 1.
2. 2010 n. 2279). Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui
agli artt. 1372 e 1321 c.c., va ribadito anche in questa sede, così
confermandosi l’indirizzo prevalente ormai consolidato, basato in
sostanza sulla necessaria valutazione dei comportamenti e delle
circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara manifestazione
consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto,
non essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e
neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del
rapporto. Nel caso in esame la Corte d’Appello ha rilevato che la
società non aveva dedotto alcuna circostanza significativa rispetto al
mero decorso del tempo ed all’avvenuta percezione delle competenze
di fine rapporto. Tale accertamento di fatto, compiuto dalla Corte di
merito, risulta aderente al principio sopra richiamato e resiste alle
censure della società ricorrente che, in sostanza, si incentrano
genericamente sulla proposizione di una diversa lettura della inerzia,
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di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v, Cass.

pur prolungata, della lavoratrice, della riscossione senza riserve, da
parte della stessa, delle indennità di fine rapporto.
3.2.- 11 secondo motivo di ricorso ha ad oggetto la nota questione della
legittimità dei termini apposti ai contratti stipulati da Poste Italiane nel

dell’accordo del 18 gennaio 2001 – in relazione ad esigenze eccezionali
conseguenti alla fase di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti
occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi
processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e di attesa
dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle
risorse umane – sotto il profilo della errata interpretazione delle norme
di legge (art. 23 1. n. 56 del 1987), di contratto collettivo (art. 8 ccnl
26.11.1994) e degli accordi sindacali ( 25.9.1997, 16.1.1998, 2.7.1998,
24.5.1999 e 18.1.2001) e del vizio di omessa motivazione in relazione
ad un fatto decisivo per il giudizio.
3.3.- La censura è destituita di fondamento alla luce della consolidata
giurisprudenza di questa Corte, alla quale sembra doversi dare
continuità, che ha ripetutamente affermato che la L. 28 febbraio 87, n.
56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di
individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18
aprile 1962, n. 230, art. 1 nonché dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8
bis conv. dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione
di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e
propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non
sono -vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine
comunque omologhe a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588).
Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato,
quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo
integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza considera cbrretta
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periodo successivo al 30 aprile 1998 ed antecedente la stipula

l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento agli accordi
attuativi sottoscritti lo stesso 25.9.97 e il 16.1.98, ha ritenuto che con
tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza
dapprima fino al 31.1.98 e poi (in base al secondo accordo) fino al

menzionate dal detto accordo integrativo. Per far fronte a tali esigenze
l’impresa poteva dunque procedere ad assunzione di personale con
contratto tempo determinato solo fino al 30.4.98, di modo che
debbono ritenersi privi di presupposto normativo i contratti a termine
stipulati successivamente. Le parti collettive, dunque, avevano
raggiunto un’intesa senza limite temporale ed avevano poi stipulato
accordi attuativi che tale limite avevano posto, fissandolo prima al
31.1.98 e dopo al 30.4.98, per cui l’indicazione di quella causale nel
contratto a termine avrebbe legittimato l’assunzione solo se il contratto
fosse scaduto dopo il 30.4.98 (v., ex plutimis, Cass. 23.8.06 n. 18378).
La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto irrilevante l’accordo 18.01.01
perché stipulato dopo oltre due anni dall’ultima proroga, e cioè quando
si era già perfezionato il diritto all’accertamento della nullità. Anche se
con quell’accordo le parti avessero voluto interpretare autenticamente
gli accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni a
termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.09.97 (ormai
scaduto), comunque sarebbe stato violato il principio
dellindisponibilità del diritto dei lavoratori, dovendosi escludere che le
parti stipulanti potessero, con detto strumento, autorizzare ex posi
contratti a termine non più legittimi perché adottati in violazione della
durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.03.04 n. 5141).
L’esistenza delle esigente eccezionali è dunque negozialinente
riconosciuta fino al 30.04.98, di modo che la legittimità dei contratti a
termine stipulati entro tale data è basata su una ricognizione di fatto
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30.4.98 della situazione di fatto integrante delle esigente eccezionali

derivante direttamente dal sistema normativo nato dall’attuazione
dell’art. 23. Poiché il contratto del Lupi è stipulato per il periodo dal
6.10.2000 al 31.1.2001 le censure sono infondate (cfr. in termini del
tutto analoghi Cass. ord. n. 20649 del 2014).

a corrispondere l’indennità ex art. 32 1. n. 183 del 2010 nella misura di
otto mensilità di retribuzione.
Sostiene la società ricorrente che tale statuizione non sarebbe sorretta
da una idonea e sufficiente motivazione ed in particolare la Corte di
appello non avrebbe dato conto delle ragioni in base alle quali ha
ritenuto di fissarla in otto mensilità avendo omesso di parametrarla ai
criteri indicati dall’art. 8 della L n. 604 del 1966 cui lo stesso art. 32
citato rinvia.
Per altro verso poi la Corte territoriale non avrebbe dato conto delle
ragioni per le quali aveva escluso di poter ridurre l’indennità, nella sua
misura massima, a sei mensilità.
3.5. – Va premesso che, come già precisato da questa Corte di
legittimità (Cass. 29 febbraio 2012 n. 3056 ed anche Cass. n. 7458 del
2014), l’indennità di cui all’art. 32 della legge n. 183 del 2010 configura,
alla luce dell’interpretazione adeguatrice offerta dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 303 del 2011, una sorta di penale ex
lege a carico del datore di lavoro che ha apposto il termine nullo, ed è
liquidata dal giudice, nei limiti e con i criteri fissati dal citato art. 32
(che richiama i criteri indicati nell’art. 8 della legge n. 604 del 1966), a
prescindere dall’intervenuta costituzione in mora del datore di lavoro e
dalla prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore,
trattandosi di indennità forfetizzata e onnicomprensiva per i danni
causati dalla nullità del termine nel periodo c.d. intermedio (e cioè dalla
scadenza del termine alla sentenza di conversione del rapporto). In
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3.4, L’ultimo motivo di ricorso ha ad oggetto la condanna della società

senso conforme a quanto già affermato dalla Corte costituzionale e da
questa Corte di legittimità è stata poi emanata la legge n. 92 del 2012
che, all’art. 1, comma 13, con norma di interpretazione autentica ha
così disposto: La disposizione di cui al comma 5 dell’art. 32 della legge

prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese
le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso
fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il
quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro.
3.6.- Sulla base di tali premesse e, in applicazione dei principi generali
in materia di sindacato di legittimità, con particolare riferimento all’art.
360 cod. proc. civ., deve affermarsi, coerentemente con quanto più
volte affermato da questa Corte in tema di indennità di cui all’art. 8
della legge n. 604 del 1966 (cfr. Cass. 5 gennaio 2001 n. 107; Cass. 15
maggio 2006 n. 11 107; Cass. 14 giugno 2006 n. 13732) che la
determinazione tra il minimo e il massimo della misura dell’indennità
de qua spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità
solo per motivazione assente, illogica o contraddittoria.
3.7.- Nel caso in esame la Corte territoriale ha tenuto conto, come si
evince dalla motivazione, in relazione ai criteri stabiliti nell’art. 8 della
legge n. 604 del 1966, delle dimensioni nazionali della società datrice di
lavoro e della limitata anzianità di servizio del lavoratore ed ha
concluso nel senso che ha ritenuto congruo determinare l’indennità
onnicomprensiva in otto mensilità. Deve pertanto escludersi che sia
incorsa nella denunciata violazione di legge ovvero nel vizio di assenza,
illogicità o contraddittorietà della motivazione.
3.8.- E’ altresì infondata la censura riferita all’art. 32, comma 6, della
legge n. 183 del 2010. Appare infatti evidente che la presenza di
contratti o accordi collettivi “che prevedano l’assunzione anche a
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4 novembre 2010 n. 183 si interpreta nel senso che l’indennità ivi

tempo indeterminato di lavoratori già occupati con contratto a termine
nell’ambito di specifiche graduatorie” deve essere effettiva in relazione
alla fattispecie concreta e non già ipotetica o astratta. Una diversa
interpretazione si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost. in quanto
attribuirebbe un uguale trattamento a situazioni del tutto differenti,

per la stabilizzazione e, dall’altro, quella dei lavoratoti che non possono
esercitare tale opzione. Ciò che rileva, al fine della riduzione alla metà
del limite massimo previsto dalla norma, è la possibilità di una
applicazione in concreto dei citati contratti o accordi collettivi. Orbene,
la stessa società riconosce (cfr. ricorso per cassazione) che, nel caso di
specie, non era possibile, alla data di emissione della sentenza
impugnata, l’adesione del lavoratore agli accordi di stabilizzazione.
3.9.- La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suddetti
principi e pertanto anche tale censura deve essere rigettata.
In conclusione, la manifesta infondatezza del ricorso consente la
definizione dello stesso con ordinanza ex art. 375 c.p.c..
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, vanno poste
a carico della parte soccombente e distratte in favore dell’avv. Jacopo
Severo Bartolomei che se ne dichiara antistatario.
PQM
LA CORTE
Rigetta il ricorso.
Condanna la società Poste Italiane s.p.a. al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità che liquida in € 5000,00 per compensi
professionali ed in € 100,00 per esborsi. oltre al 15% per spese
forfetarie. Accessori come per legge. Spese da distrarsi in favore
dell’avvocato Jacopo Severo Bartolomei che se ne dichiara antistatario.

Ric. 2013 n. 10587 sez. MI – ud. 25-02-2015
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come, da un lato, quella dei lavoratori che sono in condizione di optare

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002 da atto
della API sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso principale a norma dell’art.13 comma 1 bis

Così deciso in Roma 11 25 febbraio 2015

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

del citato d.p.r..

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