Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9981 del 15/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 15/04/2021, (ud. 10/03/2021, dep. 15/04/2021), n.9981

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10391-2019 proposto da:

L.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FAMAGOSTA 8,

presso lo studio dell’avvocato DONATELLA NASTRO, rappresentato e

difeso dall’avvocato SIMONA MAROTTA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE (C.F. (OMISSIS)), in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8231/17/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 28/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. RAGONESI

VITTORIO.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Commissione tributaria provinciale di Napoli, con sentenza n. 12998/17, sez. 4, dichiarava la carenza di giurisdizione al ricorso proposto da L.C. relativamente a diciassette dinieghi di sgravio e lo rigettava riguardo al diniego di sgravio n. (OMISSIS) per Iva 2004.

Avverso detta decisione il contribuente proponeva appello innanzi alla CTR Campania.

Il giudice di seconde cure, con sentenza 8231/18, rigettava l’impugnazione confermando l’orientamento espresso dal giudice di primo grado.

Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il contribuente sulla base di due motivi.

L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

La causa è stata discussa in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il contribuente contesta la ritenuta carenza di giurisdizione in ordine ai diciassette dinieghi di sgravio di cui in narrativa.

Con il secondo motivo contesta il rigetto in ordine al restante provvedimento di diniego di sgravio per Iva 2004 sostenendo che alla base di esso vi era una cartella di pagamento inesistente.

Il primo motivo è manifestamente infondato.

Va premesso che entrambi i giudici di merito hanno accertato che i diciassette dinieghi di sgravio per cui è causa si riferivano a crediti non aventi natura tributaria.

Tale accertamento non è oggetto di contestazione da parte del ricorrente, onde sullo stesso sussiste il giudicato.

Ciò posto, in riferimento alle controversie aventi ad oggetto richieste di rimborso delle imposte, questa Corte ha già avuto occasione di affermare che la giurisdizione generale del giudice tributario può essere esclusa – a favore del giudice ordinario, configurandosi un’ordinaria azione di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c. – nel solo caso in cui l’Amministrazione abbia formalmente riconosciuto il diritto al rimborso e la quantificazione della somma dovuta, sicchè non residuino questioni circa l’esistenza dell’obbligazione tributaria, il “quantum” del rimborso o le procedure con le quali lo stesso deve essere effettuato (Cass. sez. un. 21893/09 Cass. n. 25931/11) sicchè spettano al giudice tributario i procedimenti nei quali il diritto del contribuente sia contestato dall’erario, attesa la riserva alle commissioni tributarie, disposta dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, di tutte le cause di cognizione aventi ad oggetto tributi. (Cass. Sez. Un. 25977/16).

Il diritto al rimborso di un tributo non dovuto, infatti, non si può svolgere secondo il modello dell’indebito di diritto comune, dovendo osservarsi le regole del riparto di giurisdizione e la speciale disciplina processuale prevista dalle singole leggi d’imposta e dalla legge sul contenzioso tributario; disciplina, in base alla quale le controversie in materia di rimborso di tributi sono devolute allo stesso giudice cui è conferita giurisdizione sul rapporto tributario controverso. (Cass., sez. un., n. 19069/16).

Nel caso di specie l’Amministrazione ha negato il rimborso onde sul punto sussiste controversia che ricade nella giurisdizione del giudice tributario.

Il secondo motivo è inammissibile prima ancora che manifestamente infondato.

Questa Corte ha già avuto occasione di affermare in diverse occasioni quanto segue.

“La valutazione circa la sussistenza del presupposto dell’esercizio dell’autotutela dipende dal contemperamento tra l’esigenza di tutelare l’interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi e l’interesse, altrettanto pubblicistico, alla stabilità dei rapporti giuridici e pertanto all’incontestabilità degli atti impositivi quando essi siano divenuti definitivi. In merito si è espressa anche la Corte Costituzionale, la quale – oltre a confermare la giurisprudenza di questa Corte secondo cui il carattere discrezionale dell’autoannullamento tributario “non costituisce un mezzo di tutela del contribuente” – ha espressamente affermato che pure “in un contesto così caratterizzato, tuttavia, nel quale l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto acquista specifica valenza e tende in una certa misura a convergere con quello del contribuente, non va trascurato il fatto che altri interessi possono e devono concorrere nella valutazione amministrativa, e fra essi certamente quello alla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico, inevitabilmente compromessa dall’annullamento di un atto inoppugnabile. Tale interesse richiede di essere bilanciato con gli interessi descritti e con altri eventualmente emergenti nella vicenda concreta sulla quale l’amministrazione tributaria è chiamata a provvedere secondo il meccanismo proprio della valutazione comparativa. Sicchè si conferma in ogni caso, anche in ambito tributario, la natura pienamente discrezionale dell’annullamento d’ufficio” (vedi Corte Cost., sent. 13.07.2017, n. 181). Ne consegue, ha statuito questa Corte, che “nel processo tributario, il sindacato sull’atto di diniego dell’Amministrazione di procedere all’annullamento del provvedimento impositivo in sede di autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto, in relazione a ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, che, come affermato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 181 del 2017, si fonda su valutazioni ampiamente discrezionali e non costituisce uno strumento di tutela dei diritti individuali del contribuente”, (Cass. sez. V, ord. 24.08.2018, n. 21146). Questa Corte di legittimità, del resto, aveva già da tempo chiarito che il contribuente il quale richieda “all’Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un avviso di accertamento divenuto definitivo, non può limitarsi ad eccepire eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione è definitivamente preclusa, ma deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto. Ne consegue che contro il diniego dell’Amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per allegare eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria. (Cass. 24032/18.).

Fatta questa premessa in punto di diritto, si osserva che la sentenza impugnata ha affermato quanto segue “va rilevato che sul punto risulta depositata in atti la copia della cartella di pagamento n. (OMISSIS) che risulta notificata nel luogo di destinazione a mani della consorte del contribuente che ha sottoscritto come moglie convivente. Non risulta depositato alcun ricorso avverso detta cartella che pertanto si è resa definitiva cristallizzando il credito tributario nella sua quantificazione”.

Tale accertamento non risulta oggetto di impugnazione da parte del ricorrente ed è quindi divenuto definitivo.

Da ciò inevitabilmente consegue che l’argomento posto a base della censura in esame e, cioè, che la cartella di pagamento sarebbe inesistente è totalmente inammissibile avendo al contrario la Commissione regionale accertato l’esistenza di detta cartella e la sua regolare notifica senza censura alcuna in questa sede da parte del ricorrente di siffatto accertamento.

Il ricorso va dunque respinto.

Segue alla soccombenza la condanna al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 9,500,00 oltre spese prenotate a debito. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2021

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