Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9981 del 05/05/2011

Cassazione civile sez. I, 05/05/2011, (ud. 01/04/2011, dep. 05/05/2011), n.9981

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

O.A., con domicilio eletto in Roma, via Barberini n. 86,

presso l’Avv. Ilaria Scatena, rappresentato e difeso dall’Avv.

Claudio Defilippi come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro-tempore,

rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura generale dello

Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Torino

depositato il 29 luglio 2008;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 1 aprile 2011 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli;

sentite le richieste del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SORRENTINO Federico che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

O.A. ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che ha rigettato la sua domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata de processo svoltosi in primo grado avanti al Tribunale della Spezia dal 3 gennaio 2002 al 19 aprile 2005, quindi avanti alla Corte d’appello di Genova dal 16 settembre 2005 al 2 dicembre 2005 e definito con sentenza della Corte di Cassazione in data 29 luglio 2008.

Resiste l’Amministrazione con controricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il secondo motivo di ricorso, che deve essere esaminato prioritariamente, il ricorrente lamenta che la Corte d’appello non abbia tenuto conto, nel determinare se il procedimento avesse avuto una durata ragionevole, anche della durata del giudizio di cassazione pendente alla data della decisione.

Il motivo è inammissibile in quanto non autosufficiente: la Corte di merito ha preso in considerazione unicamente il giudizio di merito sul presupposto che il ricorrente avesse richiesto il riconoscimento dell’indennizzo limitatamente all’irragionevole durata della fase di merito già conclusa alla data di proposizione del ricorso, come risulta evidente dal tenore di quanto riportato a pag. 3 del decreto secondo cui “Allegava parte ricorrente la eccessiva durata del processo (4 anni e mesi due per i due gradi di giudizio), con riferimento anche alla non complessità della causa”; a fronte di tale affermazione il ricorrente si limita a riferire che nel ricorso aveva menzionato anche la pendenza del giudizio di cassazione ma non precisa se anche alla durata del medesimo avesse estesa la domanda e soprattutto non riporta il tenore letterale della stessa così che la Corte non è posta in grado di valutare l’eventuale errore in cui sarebbe incorso il giudice del merito, posto che lo stesso, in difetto di domanda, non avrebbe potuto, evidentemente, andare ultra petita riconoscendo l’indennizzo anche per una fase temporale per il quale lo stesso non era stato richiesto.

L’inammissibilità del secondo motivo comporta l’assorbimento del primo che si basa sul presupposto di una durata complessiva del giudizio presupposto che non risulta essere stata oggetto della domanda della parte.

Il terzo motivo con il quale si lamenta la condanna alle spese è infondato da momento che “La L. n. 89 del 2001, non reca nessuna specifica norma in ordine al regime delle spese all’esito dello svolgimento del processo camerale di cui agli art. 3 e 4 e, in virtù del richiamo ivi effettuato, si applicano sul punto le norme del codice di rito, avendo anche il legislatore dimostrato attenzione a questo profilo, esonerando il ricorrente dal contributo unificato. In particolare le disposizioni degli artt. 91 e ss. c.p.c., in tema di spese processuali trovano applicazione in linea generale nel procedimento camerale nel caso in cui questo statuisca su posizioni soggettive in contrasto, come accade nella specie, senza che nessun ostacolo all’applicazione di detta normativa provenga dalla convenzione Cedu, ovvero dal protocollo aggiuntivo restando esclusa l’applicazione analogica delle disposizioni sulle spese vigenti per i procedimenti innanzi alla Corte di Strasburgo. Dalla Cedu – infatti – non discende un obbligo, a carico del legislatore nazionale, di conformare il processo per l’equa riparazione da irragionevole durata negli stessi termini previsti, quanto alle spese, per il procedimento dinanzi agli organi istituiti in attuazione della convenzione, dovendosi escludere che l’assoggettamento del procedimento alle regole generali nazionali, e quindi al principio della soccombenza, possa integrare un’attività dello Stato che miri alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti dalla convenzione o a imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla stessa convenzione. La configurazione del procedimento disciplinato dalla L. n. 89 del 2001 quale procedimento contenzioso – quindi – comporta l’applicabilità della tabella A-4 e della tabella B-1” (Cassazione civile, sez. 1^, 13/04/2010, n. 8780).

Anche le spese di questa fase seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese che liquida in Euro 800, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 1 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2011

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