Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9980 del 23/04/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 9980 Anno 2018
Presidente: MANNA FELICE
Relatore: BELLINI UBALDO

ORDINANZA
sul ricorso 2848-2014 proposto da:
D’ANTONIS LUCA, RATIGLIA MASSIMO e D’ANGELOSANTE
BRUNO LUCIA, rappresentati e difesi dall’Avvocato PAOLO
SAMBENEDETTO ed elettivamente domiciliati presso lo studio
dell’Avvocato Domenico Di Tullio, in ROMA, VIA DEL GIORDANO
30;
– ricorrenti contro

D’ANGELANTONIO ASSUNTA, CIABINI BERARDINA, CIABINI
MARIA e CIABINI ANTONIO, rappresentati e difesi unitamente e
disgiuntamente dagli Avvocati SANDRO PASQUALI e FABIO
PASQUALI ed elettivamente domiciliati presso lo studio del Dott.
Alfredo Placidi in ROMA, VIA COSSERIA 2;
– controricorrenti nonché contro

Data pubblicazione: 23/04/2018

SALVATORE FRANCO, CIABINI GIOVANNA, CIABINI SABRINA,
CIABINI MARILENA e PACE MARIA LAURA
– intimati –

avverso la sentenza n. 569/2013 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
18/01/2018 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 29.7.2003 i sigg.ri FRANCO
SALVATORE, ASSUNTA D’ANGELANTONIO, BERARDINA CIABINI,
ANTONIO CIABINI, GIOVANNA CIABINI, SABRINA CIABINI,
MARILENA CIABINI, MARIA LAURA PACE, MARIA CIABINI
convenivano davanti al Tribunale di L’Aquila LUCIA
ANGELOSANTE BRUNO, MASSIMO RATIGLIA e LUCA D’ANTONIS
per sentir dichiarare l’invalidità, nullità e/o inefficacia dell’atto di
donazione per notaio Di Silvestri del 18.9.2002 rep. 784,
intercoso tra Lucia Angelosante Bruno e Massimo Ratiglia,
nonché dell’atto di compravendita, stipulato sempre dallo stesso
notaio in data 29.11.2002 rep. 872, tra Massimo Ratiglia e Luca
D’Antonis, entrambi aventi a oggetto dei terreni siti in L’Aquila.
Gli attori dichiaravano di essere comproprietari degli
immobili suddetti per essere succeduti a “vario titolo” agli
intestatari catastali (Anna Centi, Concetta Centi, Enrico Centi,
Mario Centi e Annibale Ciabini), senza produrre documentazione
a sostegno dell’asserita titolarità, fatta eccezione per gli atti
dispositivi impugnati, una vecchia mappa e un estratto catastale.
Si costituiva in giudizio il solo Luca D’Antonis, in qualità di
proprietario, deducendo il difetto di legittimazione degli attori a
richiedere una declaratoria di invalidità degli atti notarili, nonché

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L’AQUILA, depositata il 31/05/2013;

la nullità della domanda poiché gli stessi non solo non avevano
prodotto documentazione, ma non avevano neanche indicato
quale fosse la loro posizione giuridica rispetto agli immobili
oggetto del processo.
Gli attori specificavano le loro posizioni e dichiaravano di

eredi era contestata dal D’Antonis che deduceva come a far data
dal 1962 non risultasse mai trascritto sui beni sopra descritti
presso la Conservatoria dei RR.II. di L’Aquila, alcun atto di
accettazione di eredità che fosse a lui opponibile e rilevando
come il relativo diritto fosse abbondantemente prescritto.
Con sentenza n. 785/05 il Tribunale di L’Aquila rigettava la
domanda, in quanto gli attori non avevano provato di essere
proprietari dei beni oggetto dei negozi traslativi.
La sentenza veniva impugnata davanti alla Corte d’Appello
di L’Aquila dai soccombenti, i quali affermavano di aver fornito la
prova di essere eredi degli intestatari catastali dei beni in
oggetto, in quanto avevano prodotto le certificazioni anagrafiche
attestanti le varie discendenze dai medesimi intestatari catastali.
Si costituiva nel gradi di appello solo il D’Antonis chiedendo
la conferma della sentenza impugnata.
Con sentenza n. 569/2013, depositata il 31 maggio 2013,
la Corte d’Appello di L’Aquila ha accolto il gravame, ritenendo
che tutti gli appellanti, tranne Franco Salvatore, fossero
proprietari dei citati beni jure hereditatis e, per l’effetto, ha
dichiarato come improduttivi di effetti reali sia il contratto di
donazione del 18.9.2002 tra la Angelosante e il Ratiglia, che il
contratto di compravendita del 29.11.2002 tra lo stesso Ratiglia
e il D’Antonis. La Corte d’Appello ha condannato gli appellati in

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essere eredi di alcuni degli intestatari catastali, ma la qualità di

solido al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio,
liquidate in complessivi C 4.500,00, oltre accessori di legge, per
ciascun grado.
Per la cassazione della suddetta sentenza i sigg.ri Luca
D’Antonis, Massimo Ratiglia e Lucia D’Angelosante Bruno hanno

Berardina Ciabini, Maria Ciabini e Antonio Ciabini hanno proposto
controricorso. I ricorrenti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. – Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la
violazione dell’«Art. 360, n. 5 c.p.c., art. 360, n. 4 c.p.c. in
relazione all’art 112 c.p.c., ovvero art. 360 n. 3 c.p.c. sempre in
relazione all’art. 112 c.p.c.». Secondo i ricorrenti il Giudice
d’Appello – nonostante abbia esattamente ritenuto che può
aversi accettazione di eredità anche in base a comportamenti
concludenti, quale è quello di proporre in giudizio domande che
manifestano la volontà di accettare – non avrebbe tenuto conto
della prescrizione del diritto di accettare l’eredità, eccepita dal
D’Antonis sia in primo che in secondo grado.
1.2. – Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la
violazione dell’«Art. 360 n. 5 c.p.c., 360 n.3 e n. 4 in relazione
agli art. 115 e 116 c.p.c.», là dove il Giudice d’Appello non ha
esaminato il comportamento concludente della donazione di bene
ereditario ai fini dell’accettazione tacita. In particolare,
nonostante il defunto marito della Angelosante Bruno, Giuseppe
Ciabini, avesse rinunciato alla sua eredità, l’Angelosante,
cedendo in donazione i terreni in oggetto nell’anno 2002, ha
posto nel nulla la precedente rinunzia all’eredità del marito
defunto nel 1999. Inoltre, per quanto riguarda il difetto di

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proposto ricorso sulla base di tre motivi. Assunta D’Angelantonio,

accettazione formale di eredità da parte di Giuseppe Ciabini, i
ricorrenti osservano che avendo il medesimo esercitato il
possesso uti dominus sui terreni, l’Angelosante (ex art 1146 c.c.)
ha unito il proprio possesso a quello del marito, con ciò
perfezionando l’acquisto per usucapione e dunque perfezionando

1.3. – Con il terzo motivo, i ricorrenti denunciano la
violazione dell’«Art. 360 n. 3 e 4 in relazione agli artt. 112, 115 e
101 c.p.c.», nella parte in cui il Giudice d’Appello pronuncia su
argomenti non allegati al processo e su fatti non oggetto di
contestazione. Secondo la Corte d’Appello gli appellati non hanno
dimostrato che l’Angelosante abbia di seguito esercitato sui beni
di cui si discute un possesso

“ad excludendum”,

così

usucapendone la proprietà esclusiva. Tale assunto configgerebbe
con il dato processuale, poiché il possesso in capo
all’Angelosante non è mai venuto in discussione: gli attori hanno
agito per la declaratoria di invalidità degli atti pubblici, non sul
presupposto che l’Angelosante non avesse esercitato il possesso
utile per l’usucapione, bensì deducendo che non avrebbe potuto
donare i beni in difetto di una sentenza che ne avesse accertato
l’acquisto.
2. – Preliminarmente, i controricorrenti hanno eccepito
l’inammissibilità del ricorso per asserita genericità ed
indeterminatezza dei motivi di ricorso, frutto della mescolanza di
mezzi di impugnazione eterogenei, riferiti ad una congerie
indistinta di asserite violazioni e di impugnazioni tra loro
incompatibili; essendo viceversa principio consolidato quello
secondo cui nella prospettazione dei motivi di ricorso in
Cassazione è necessaria la loro puntuale specificazione.

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il titolo originario.

2.1. – L’eccezione non merita di essere accolta, poiché i
motivi di ricorso risultano adeguatamente articolati secondo i
dettami di cui all’art. 366, primo comma, n. 4, c.p.c.,
possedendo (al di là dell’impiego non necessario di formule
particolari: Cass. n. 10914 del 2015, Cass. n. 3887 del 2014) i

riferibilità alla impugnata decisione (ex plurimis, Cass. n. 14784
del 2015; Cass. n. 13377 del 2015; Cass. n. 22607 del 2014),
nonché l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti
ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di
diritto (Cass. 23804 del 2016; Cass. 22254 del 2015).
3. – Il primo motivo di ricorso è fondato.
3.1. – I ricorrenti si dolgono del fatto che la Corte
territoriale non abbia tenuto conto della intervenuta prescrizione
del diritto dei controricorrenti di accettare l’eredità, nonostante
questa si stata eccepita dal D’Antonis sia in primo che in secondo
grado. In particolare, deducono che la Corte medesima abbia
omesso del tutto di valutare e considerare che la difesa dell’unico
convenuto costituito in giudizio, D’Antonis (acquirente dei beni
oggetto di causa) – una volta appreso, solo a seguito di memoria
ex art. 183 c.p.c., applicabile ratione temporis, in quale veste

avessero agito gli attori, che in citazione avevano dichiarato di
essere proprietari di tali immobili per essere succeduti a “vario
titolo” agli intestatari catastali – aveva immediatamente eccepito
che i diritti successori avanzati da controparte fossero
“abbondantemente prescritti” e che tale eccezione sia stata
espressamente ribadita nel corso di entrambi i giudizi di merito.
3.2. – Va innazitutto rilevato che (come affermato dalle
sezioni unite di questa Corte) il ricorso per cassazione, avendo

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sufficienti caratteri della specificità, della completezza e della

ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste
dall’art. 360, primo comma, c.p.c., deve essere articolato in
specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed
inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione
stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria

di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente
[come nella specie] lamenti l’omessa pronuncia, da parte
dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o
eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita
menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del
primo comma dell’art. 360 c.p.c., con riguardo all’art. 112 c.p.c.,
purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della
decisione derivante dalla relativa omissione (Cass. sez. un. n.
17931 del 2013; conf. Cass. n. 24553 del 2013). L’omessa
pronuncia da parte del giudice di merito integra, dunque, un
difetto di attività che deve essere fatto valere in sede di
legittimità attraverso la deduzione del relativo
procedendo e della violazione dell’art. 112 c.p.c.

error in

(ex plurimis

Cass. n. 13716 del 2016; Cass. n. 5205 del 2016; Cass. n.
25761 del 2014).
In conformità a siffatto principio, i ricorrenti deducono che
«l’omessa pronunzia sul punto [eccezione di prescrizione del
dirittto delle controparti di accettare l’eredità] concretizzerebbe
senza dubbio un vizio determinante l’illegittimità della decisione
sia ex art. 360, n. 4, sia per violazione dell’art. 112 c.p.c.,
proprio in considerazione dell’effetto giuridico da riconnettersi al
detto rilievo che avrebbe paralizzato l’azione di controparte»
(ricorso pag. 7).

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adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica

Trattasi di vizio in procedendo, che consegue ad un vizio di
attività derivante dalla violazione di norme processuali – che
riguardano la sentenza come atto e la costituzione del giudice,
ovvero che attengono al procedimento in senso stretto -, che per
derivazione si estende alla sentenza stessa, sempre che non

esame non tutela l’interesse all’astratta regolarità della attività
giudiziaria, ma garantisce l’eliminazione del pregiudizio subito dal
diritto di difesa della parte in dipendenza del denunziato errore
(Cass. n. 17095 del 2016; Cass. n. 11354 del 2016; Cass. n.
23417 del 2015).
3.3. – Peraltro, poi, proprio l’essenza della denuncia di
omessa pronuncia, quale vizio in procedendo, implica che questa
Corte non resti vincolata all’interpretazione delle istanze della
parte resa dal giudice del merito, ma possa procedere ad una
loro autonoma e diretta valutazione, alla stregua degli atti del
processo (Cass. n. 1701 del 2009; Cass. 10765 del 2008).
E,

proprio dall’esame degli atti deposiati emerge che

l’eccezione di prescrizione in esame risulta esser stata
esplicitamente e specificamente proposta dal convenuto fin dalla
memoria di replica in primo grado, ex art. 183, v comma, c.p.c.
(non potendo essa essere rilevata da questo in precedenza,
posto che gli attori avevano dedotto di agire come eredi solo
nella memoria di precisazione della domanda ex art. 183, v
comma, c.p.c. poiché nell’atto introduttivo gli attori si erano
genericamente dichiarati proprietari “a vario titolo”), e poi,
ripetutamente ribadita. Così, tra l’altro, eccepiva il d’Antonis
nella detta memoria in replica ex art. 183, v co., c.p.c.: «anche a
voler presumere in astratto […] una qualsivoglia forma di

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siano già sanate (Cass. n. 26286 del 2014). Sicché il motivo in

titolarità di diritti a supporto dell’azione che ci occupa, in ogni
caso essi sarebbero abbondantemente prescritti poiché l’art. 480
cod. civ.stabilendo che il diritto di accettare l’eredità si estingue
con il decorso del tempo (dieci anni) prevede un termine di
prescrizione estintiva, il quale in mancanza di limitazioni

valere» (pagina 2). Così nella comparsa di costituzione e risposta
in appello: «se gli appellanti volessero […] sostenere che l’azione
intentata dinanzi al Tribunale di L’Aquila possa configurare
accettazione di eredità ex artt. 476 ss. cod. civ. […] non v’è chi
non veda come essa sarebbe tardiva rispetto al termine di dieci
anni per accettare l’eredità abbondatemente trascorso e del tutto
inopponibile all’odierno appellato» laddove «L’eccezione di
prescrizione del diritto di accettare l’eredità,

obiter dictum

ritenuta tardiva dal Giudice di prime cure è assolutamente
tempestiva in quanto sollevata con la memoria di replica ex art.
183, v comma, c.p.c., non potendo essa essere rilevata in
precedenza per la carenza assoluta di indicazioni, posto che gli
attori deducevano di agire come eredi solo nella memoria di
precisazione della domanda ex art. 183, v comma, c.p.c. poiché
nell’atto introduttivo gli attori si dichiaravano proprietari “a vario
titolo”» (pagina 3). Così nella memoria di replica nel giudizio
davanti alla Corte di appello: «non v’è chi non veda che sia
abbondantemente trascorso il termine prescrizionale dei dieci
anni e che tale eccezione sia stata tempestivamente formulata
dall’appellato già nel giudizio di primo grado e nel primo
momento utile (ovvero con la replica alla memoria di parte
attrice ex art. 183 c.p.c. che si degnava di spiegare a che titolo
gli stessi agissero, non avendolo invero esplicitato nell’atto di

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normative, opera a favore di chiunque vi abbia interesse a farla

citazione» (pagina 2). Così nella comparsa conclusionale in
appello: «Non può peraltro sostenersi che l’azione intentata
dinanzi al Tribunale di L’Aquila possa configurare accettazione di
eredità ex art. 476 ss. cod. civ. […] poiché essa sarebbe tardiva
rispetto al termine di dieci anni per accettare l’eredità

appellato» (pagina 4).
3.4. – A fronte della reiterazione dell’eccezione di
prescrizione, avente valenza assorbente e decisiva per la
soluzione della lite, la Corte d’appello ha completamente omesso
di prenderla in considerazione e di pronunciarsi in merito alla sua
fondatezza o meno, non emergendo dalla sentenza impugnata
alcun riferimento ad essa (neppure implicito).
Ciò appare tanto più ingiustificato in ragione del fatto che è
principio fermo nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. n.
9901 del 1995; cfr. anche Cass. n. 9303 del 2009) che l’art. 480
comma 1 cod. civ. prevede un termine di prescrizione estintiva e
che tale prescrizione, in mancanza di ogni limitazione normativa,
opera a favore di chiunque abbia interesse a sollevare la relativa
eccezione, anche se estraneo all’eredità, e può farsi valere
contro chiunque chiamato all’eredità medesima, senza che sia
necessario che si sia compiuta a suo favore l’usucapione dei beni
ereditari dei quali si trovi in possesso (Cass. n. 2290 del 1980 e
n. 2975 del 1989). Sicché va riconosciuto l’interesse del
convenuto a contraddire alla domanda dell’attore, per il solo
fatto di essere nel possesso dei beni ereditari, a qualsiasi titolo
ed anche senza titolo (Cass. n. 2130 del 1966); e va riconosciuta
– al convenuto in giudizio con l’azione di petizione dell’eredità e
di divisione della medesima (Cass. n. 2975 del 1988) –

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abbondantemente trascorso e del tutto inopponibile all’odierno

l’eccezione di prescrizione ex art. 480 c.c., che gli consente con il
rigetto della domanda dell’attore, di rimanere nel possesso dei
beni ereditari.
4. – Il primo motivo deve, pertanto, essere accolto;
assorbiti i restanti motivi. La sentenza imugnata va cassata e

provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente
giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, con assorbimento del
secondo e del terzo. Cassa, in relazione al motivo accolto, e
rinvia alla Corte d’appello di L’Aquila, in diversa composizione,
che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente
giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda

rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, che

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