Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9978 del 15/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 15/04/2021, (ud. 10/03/2021, dep. 15/04/2021), n.9978

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7855-2019 proposto da:

HOTEL LIDO UNO SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 34, presso lo

studio dell’avvocato QUIRINO D’ANGELO, rappresentata e difesa

dall’avvocato MASSIMO BASILAVECCHIA;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI VENEZIA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA B. TORTOLINI 34, presso lo studio

dell’avvocato NICOLO’ PAOLETTI, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati NICOLETTA ONGARO, ANTONIO IANNOTTA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1351/5/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del VENETO, depositata il 26/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. RAGONESI

VITTORIO.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Commissione tributaria provinciale di Venezia, con sentenza n. 164/17, sez. 13, accoglieva il ricorso proposto da Hotel Lido Uno srl avverso gli avvisi di accertamento n. (OMISSIS) rispettivamente per ICI 2009, 2010, 2011.

Avverso detta decisione il Comune di Venezia proponeva appello innanzi alla CTR Veneto che, con sentenza 1351/2018, accoglieva l’impugnazione.

Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la società contribuente sulla base di tre motivi illustrati con memoria.

Ha resistito con controricorso il Comune di Venezia.

La causa è stata discussa in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la società contribuente deduce la violazione dello statuto del contribuente, art. 12, comma 7, per mancato riconoscimento della nullità dei provvedimenti di accertamento e di irrogazione di sanzioni in quanto emessi prima del termine statutario di cui al citato art. 12 e senza considerazione delle deduzioni difensive.

Con il secondo motivo lamenta la violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, comma 2, per avere considerato il concessionario di beni demaniali comunque soggetto al ICI.

Con il terzo motivo prospetta la violazione dell’art. 1 prot. 1 della Cedu ed in via subordinata l’incostituzionalità del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, comma 2, in relazione agli artt. 3,53 e 117 Cost..

Il primo motivo è manifestamente infondato.

Per quanto concerne il rispetto del termine dilatorio di 60 giorni dal rilascio di copia del p.v.c. di chiusura delle operazioni per l’emanazione dell’avviso di accertamento sancito che la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, la giurisprudenza di questa Corte è pacifica nell’affermare che detto termine trova applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente; ciò, peraltro, indipendentemente dal fatto che l’operazione abbia o non comportato constatazione di violazioni fiscali (Cass. SU 24823/15; Cass. 15624/14; Cass. 15010/14, 9424/14, 5374/14, 2593/14, 20770/13, 10381/11).

Per quanto concerne l’obbligo di contraddittorio, questa Corte ha ripetutamente affermato che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito. (Cass. SU 24823/15; Cass. 11560/18; Cass. 27421/18).

Nel caso di specie poichè il tributo ICI non risulta essere armonizzato a livello della UE, l’obbligo di contraddittorio non sussiste.

Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che in tema di ICI, la L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 18, comma 3, nel modificare il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 3, comma 2, prevedendo che “nel caso di concessione su aree demaniali soggetto passivo è il concessionario”, ha reso quest’ultimo, a partire dalla data di applicabilità della nuova disciplina (annualità 2001), obbligato non solo sostanziale (in sede di rivalsa del concedente), ma anche formale, facendo venir meno la necessità di accertare se la concessione che gli attribuiva il diritto di costruire immobili sul demanio avesse effetti reali (con la conseguenza della tassabilità degli immobili ai fini ICI in capo al concessionario) od obbligatori (con la diversa conseguenza della intassabilità (Cass. SU 24969/10).

Tali principi sono stati anche recentemente ribaditi da questa Corte che ha affermato che la L. n. 388 del 2000, art. 18, modificando il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, comma 2, ha esteso espressamente la soggettività passiva dell’imposta ICI ai concessionari di aree demaniali, rendendo di conseguenza irrilevante la questione afferente gli effetti reali o obbligatori della concessione. (Cass. 10006/19).

Anche la questione di costituzionalità di cui al terzo motivo è manifestamente infondata.

Il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, prevede che siano sottoposti al pagamento dell’ICI i proprietari degli immobili ed i titolari di diritti reali sugli stessi nonchè i concessionari di beni demaniali ed i locatari di immobili concessi in locazione finanziaria.

E’ di tutta evidenza che la ratio della norma è quella di tassare non solo i proprietari di immobili ma anche tutti quei soggetti che in ragione di un diritto reale o di altro diritto a carattere obbligatorio abbiano la disponibilità degli immobili da cui traggono fonti di reddito.

Il presupposto per l’applicazione del tributo non è pertanto la proprietà di un immobile, bensì la disponibilità dello stesso generatrice di reddito.

In tal senso la norma in esame non determina alcuna discriminazione tra i soggetti da essa previsti nè viola in alcun modo il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. nè quello della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost. che prescinde dalla proprietà e concerne unicamente il reddito disponibile.

Nello stesso senso non sussiste alcuna violazione dell’art. 1 del protocollo della CEDU.

Il ricorso va dunque respinto.

Segue alla soccombenza la condanna al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 15.000,00 oltre spese forfettarie 15% ed accessori. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2021

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