Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9978 del 05/05/2011

Cassazione civile sez. I, 05/05/2011, (ud. 25/02/2011, dep. 05/05/2011), n.9978

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

CAPITALIA S.P.A. (C.F. (OMISSIS) – P.I. (OMISSIS)), già

denominata BANCA DI ROMA S.P.A., in persona dei legali rappresentanti

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALBERICO II 33,

presso l’avvocato LUDINI ELIO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TESSAROLO ALFREDO, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO SIMER S.P.A. (C.F. (OMISSIS)), in persona

del Curatore Dott. P.C., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso l’avvocato PANARITI BENITO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato POZZOBON ROBERTO,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 329/2005 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 21/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/02/2011 dal Consigliere Dott. CARLO DE CHIARA;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato STEFANIA SARACENI, con delega,

che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato BENITO PIERO PANARITI che

ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per la manifesta infondatezza

del ricorso e condanna alle spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il fallimento della Simer s.p.a., dichiarato con sentenza del 28 maggio 1993, convenne in giudizio la Banca di Roma per sentir revocare, ai sensi della L. Fall., art. 67, due operazioni annotate a decurtazione dello scoperto nel conto corrente della società fallita. Si trattava degli accrediti di L. 53.405.025 e L. 247.782.339 corrispondenti al controvalore, rispettivamente, di CCT LG 97 e di CCT AG 97 venduti dalla banca su ordine impartito dalla società il 3 maggio 1993, pochi giorni prima della dichiarazione del fallimento.

La banca resistette e il Tribunale di Bassano del Grappa respinse la domanda perchè riconobbe che i CCT AG 97 erano stati costituiti in pegno con atto del 4 agosto 1989 e, quanto ai CCT LG 97, ritenne che vi fosse stata compensazione, ai sensi della L. Fall., art. 56, fra reciproci crediti delle parti anteriori alla dichiarazione di fallimento, avendo la banca agito in esecuzione di ordine di vendita del 3 maggio 1993.

La Corte di Venezia ha accolto, però, l’appello e, con esso, la domanda del fallimento, riformando integralmente la sentenza di primo grado e condannando la banca al pagamento dell’importo complessivo dei due accrediti.

Ha osservato che il pegno sui CCT AG 97 non era opponibile al fallimento perchè l’atto costitutivo, pur avendo data certa anteriore alla sentenza di fallimento, corrispondente a quella (4 agosto 1989) del timbro postale apposto a tergo del documento, non conteneva tuttavia l’indicazione certa del credito garantito. La predetta scrittura, infatti, sul punto si limitava a rinviare ad altra scrittura. Più precisamente, in essa la debitrice affermava che il pegno costituiva “aumento del pegno di cui alla surriferita mia del 3.7.1987”. Detta ultima scrittura, però, non era stata versata in atti. La banca aveva prodotto soltanto la fotocopia di una sua lettera in data 29 luglio 1987, nelle cui prime righe si leggeva:

“Abbiamo ricevuto la Vostra del 3.7.87 del cui contenuto – di seguito trascritto – abbiamo preso nota”; seguiva quindi la trascrizione di un atto di costituzione di pegno da parte della Simer su una somma di denaro (L. 50.000.000) e su CCT LG 97 per L. 200.000.000 a garanzia di ogni credito della banca. Ma tale fotocopia non recava alcuna sottoscrizione, nè della banca nè tantomeno della Simer, nè aveva data certa. Si trattava, dunque, di un documento del tutto privo di valore probatorio.

La Corte ha aggiunto anche che non soltanto l’ordine di vendita e la rimessa solutoria erano revocabili ai sensi del secondo comma della L. Fall., art. 61, essendo incontestata la scientia decoctionis, ma l’intera operazione di vendita e riduzione del saldo passivo del conto corrente, configurabile come negozio solutorio con mezzi anormali, era revocabile altresì ai sensi del primo comma della medesima norma.

Quanto, poi, ai CCT LG 97, l’unica difesa dell’appellata, che aveva dedotto la compensazione sia convenzionale sia ai sensi della L. Fall., art. 56, è stata ritenuta infondata perchè, per un verso, non vi era traccia in atti di una convenzione di compensazione e, per altro verso, l’art. 56, cit., risultava comunque inapplicabile, dato che non vi era mai stata coesistenza di reciproche obbligazioni delle parti, in quanto il ricavo della vendita dei titoli era destinato sin dall’origine all’estinzione del debito della Simer, senza che residuasse un autonomo obbligo della banca di riversarglielo.

Capitalia s.p.a. – succeduta alla Banca di Roma s.p.a. – ha quindi proposto ricorso per cassazione per tre motivi. Il fallimento ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno anche presentato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione degli artt. 1362 e 1367 c.c. si censura la statuizione della inopponibilità al fallimento del pegno sui CCT AG 97. Si lamenta che la Corte d’appello nell’interpretare i documenti negoziali depositati vale a dire la lettera della Simer 4 agosto 1987 e quella della banca 29 luglio 1987 – non abbia ricercato la comune intenzione delle parti; nè abbia spiegato perchè i medesimi documenti non potessero configurare il contratto di pegno; nè abbia, nel dubbio, interpretato il contratto nel senso che potesse essere valido e produrre effetti.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

I giudici d’appello hanno spiegato chiaramente che il pegno non era opponibile al fallimento a causa della mancata specificazione, nell’unica scrittura avente data certa, dell’elemento del credito garantito. E’ in questione, dunque, il profilo – preliminare a quello dell’interpretazione – della documentazione del contratto (rispettosa dei requisiti di opponibilità). Le censure svolte dalla ricorrente, tutte riferite, invece, al profilo dell’interpretazione, sono dunque completamente fuori centro.

2. – Con il secondo motivo, denunciando violazione degli artt. 2787 e 2704 c.c. si sostiene che, secondo la giurisprudenza di legittimità, non è necessario, ai fini dell’opponibilità del pegno ai sensi dell’art. 2787, cit., comma 3, che il credito garantito sia specificato in tutti i suoi elementi nella scrittura di pegno, bastando invece che detta scrittura contenga elementi idonei a permettere l’identificazione del credito stesso, la descrizione del quale può essere completata mediante l’utilizzo di qualsiasi altro documento cui la scrittura si richiami. Inoltre la scrittura della banca in data 29 luglio 1987, contenente la trascrizione del testo della lettera della Simer in data 3 luglio 1987, aveva data certa ai sensi dell’art. 2704 c.c., comma 1 ult. parte, secondo cui la certezza della data può risultare anche dal verificarsi di un fatto che stabilisca in modo ugualmente certo l’anteriorità della formazione del documento: infatti la scrittura 3 luglio, trascritta in quella del 29 luglio, era richiamata nella lettera della Simer avente data certa 4 agosto 1987.

2.1. – Anche questo motivo è inammissibile.

La ricorrente trascura del tutto di chiarire perchè, a suo avviso e al contrario di quanto ritenuto dai giudici d’appello, le indicazioni relative al credito garantito contenute nella scrittura di pegno con data certa fossero sufficienti a identificare il credito stesso, e trascura, altresì, di considerare un dato di per sè decisivo, ossia che la Corte d’appello ha negato non soltanto la certezza della data, ma addirittura qualsiasi valore documentale alla scrittura richiamata in quella avente data certa, per essere priva di sottoscrizione della società debitrice e, anzi, di qualsiasi sottoscrizione.

3. – Con il terzo motivo, denunciando violazione della L. Fall., art. 56, si critica la riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui quest’ultima aveva fatto applicazione della L. Fall., art. 56, con riguardo ai CCT LG 97. Si osserva che la banca, allorchè il 29 aprile 1993 intimò alla società il rientro dalle sue esposizioni debitorie, “era già creditrice verso Simer per l’importo pari all’esposizione di quest’ultima, ma era anche debitrice verso la stessa dell’importo pari al valore dei titoli depositati presso di sè in deposito e custodia”. Si lamenta, quindi, che la Corte d’appello non abbia applicato l’art. 56, cit., considerato che, contrariamente a quanto da essa affermato, “al momento in cui operò la compensazione Banca di Roma s.p.a. e Simer erano reciprocamente debitrice e creditrice”.

3.1. – Neppure questo motivo si sottrae alla sanzione di inammissibilità.

A parte ogni altra pur possibile considerazione, deve rilevarsi che, stando a quanto riferito nella sentenza impugnata e nello stesso ricorso (alle pagg. 3-4), il Tribunale aveva applicato la compensazione, ai sensi dell’art. 56, cit., fra il credito della banca e il debito della stessa di rimettere alla cliente il ricavato della vendita dei titoli in esecuzione dell’ordine del 3 maggio 1993.

I giudici di appello hanno riformato tale decisione sul rilievo che in realtà quel debito della banca non era mai venuto ad esistenza, essendo il provento della vendita dei titoli destinato già in precedenza ad estinguere il suo credito nei confronti della Simer, nell’ambito della complessiva operazione solutoria concordata dalle parti.

Per superare il rilievo della Corte d’appello, la ricorrente ora sostiene, in definitiva, che la compensazione si era verificata già alla data del 29 aprile 1993 tra il debito scaduto della Simer e l’obbligazione della banca relativa al deposito dei titoli appartenenti alla debitrice. Si tratta, però, di una tesi inammissibile (prima ancora che infondata), perchè del tutto nuova e contrastante con quanto sin qui pacifico in causa; in particolare con l’esecuzione, da parte della banca, di un ordine di vendita dei titoli che, essendo stato impartito dalla cliente il 3 maggio, presupponeva evidentemente la persistenza, a quella data, del diritto dell’ordinante relativo ai titoli, non la sua già avvenuta estinzione, per compensazione, il 29 aprile precedente. Sarebbe stato dunque necessario che, in mancanza di qualsiasi riferimento a detta tesi nella sentenza impugnata, si precisasse nel ricorso in quale atto del giudizio di merito la compensazione fosse stata dedotta nei termini prospettati con il motivo di censura ora esaminato.

4. – Il ricorso va dunque respinto.

Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, liquidate in Euro 6.200,00, di cui Euro 6.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2011

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