Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9975 del 08/05/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 3 Num. 9975 Anno 2014
Presidente: SEGRETO ANTONIO
Relatore: AMBROSIO ANNAMARIA

SENTENZA

sul ricorso 17935-2008 proposto da:
SALA GIUSEPPE SLAGPP41M06G027N titolare della omonima
impresa agricola 00753560135, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5,
presso 10

studio dell’avvocato MANZI LUIGI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MINELLA
2014

MARIO giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –

603.

contro

OSPEDALE MAGGIORE POLICLINICO MANGIAGALLI E REGINA
ELENA

FONDAZIONE

di

IRCCS

1

natura

pubblica

Data pubblicazione: 08/05/2014

04724150968,

in

presidente

CARLO

TOGNOLI,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ATTILIO
FRIGGERI 106, presso lo studio dell’avvocato TAMPONI
MICHELE, rappresentato e difeso dall’avvocato
GARBAGNATI LUIGI giusta procura speciale in calce al

– controricorrente

avverso la sentenza n. 1665/2007 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 19/07/2007, R.G.N.
865/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/03/2014 dal Consigliere Dott.
ANNAMARIA AMBROSIO;
udito l’Avvocato CARLO ALBINI per delega;
udito l’Avvocato CECICLIA NUSENZA per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

2

controricorso;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Proposte dall’Ospedale Maggiore di Milano Policlinico
Mangiagalli e Regina Elena Fondazione IRCCS di natura pubblica
(brevemente di seguito Ospedale Maggiore) nei confronti di
Giuseppe Sala domanda di rilascio dei terreni siti nei comuni

scadenza alla data del 1997 del contratto di affitto agrario
stipulato dall’Ospedale nel 1972 con tal Giuseppe Farina
(deceduto nel 1996), nonché domanda di risarcimento danni per
l’occupazione senza titolo dei suddetti terreni;
proposte dal Sala, in via riconvenzionale, domanda di
accertamento della sussistenza tra le parti di un contratto
agrario dal 1996, rinnovatosi per fatti concludenti nel 1997,
nonché connesse domande di manutenzione straordinaria e
risarcimento del danno;
con sentenza in data 07.12.2006, l’adito Tribunale di
Lecco, sez. specializzata agraria, previo rigetto, per quanto
qui rileva, dell’eccezione pregiudiziale di improcedibilità
del ricorso, dichiarava l’inesistenza del contratto di affitto
agrario tra le parti, condannando il Sala al rilascio del
fondo entro la fine della annata agraria; rigettava la domanda
di risarcimento danni dell’Ospedale Maggiore; compensava
parzialmente le spese tra le parti, condannando al residuo
parte resistente.
La decisione, gravata da impugnazione principale del Sala e
incidentale dell’Ospedale Maggiore, era parzialmente riformata
dalla Corte di appello di Milano, sez. specializzata agraria,
la quale con sentenza in data 19.07.2007, in parziale

c2u
3

di Calco, Mondonico e Airuno, previo accertamento della

accoglimento dell’appello incidentale, condannava il Sala al
pagamento della somma di 450,00 annui oltre interessi a
decorrere dall’annata agraria 2004-2005 a titolo di indennità
di occupazione, nonché al pagamento delle spese del grado.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione

come sette, perché il quarto non esiste).
Ha resistito l’Ospedale Maggiore, depositando controricorso
e memoria.

marrvI

DELLA DECISIONE

1. Il ricorso, avuto riguardo alla data della pronuncia
della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e
antecedente al 4 luglio 2009), è soggetto alla disciplina di
cui agli artt. 360 cod. proc. civ. e segg. come risultanti per
effetto del cit. d.Lgs. n. 40 del 2006; si applica, in
particolare, l’art. 366 bis cod. proc. civ., stante l’univoca
volontà del legislatore di assicurarne ultra-attività (ex
multis,

cfr. Cass. 27 gennaio 2012, n. 1194), atteso che la

norma resta applicabile in virtù dell’art. 27, comma 2 del
cit. d. Lgs ai ricorsi per cassazione proposti avverso le
sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere
dalla data di entrata in vigore del decreto, cioè dal 2 marzo
2006, senza che rilevi la sua abrogazione, a far tempo dal 4
luglio 2009, ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47,
comma 1, lett- d), in forza della disciplina transitoria
dell’art. 58 di quest’ultima.
1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art.

360 n.3 cod. proc.

4

civ. violazione o falsa

Giuseppe Sala, svolgendo sei motivi (erroneamente rubricati

applicazione dell’art. 46 L. n. 203/1982; e ciò in quanto contrariamente a quanto opinato dai giudici del merito – non
vi sarebbe perfetta coincidenza tra la domanda formulata nella
comunicazione per il tentativo di conciliazione e la
successiva domanda introdotta sulla scorta dell’esito negativo

1.2. Il motivo non merita accoglimento.
Prima di ogni altra considerazione va ribadito che, secondo
un principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte,
in sede di legittimità occorre tenere distinta l’ipotesi, in
cui si lamenti la nullità dell’atto introduttivo del giudizio
o, comunque, la sua non conformità al paradigma legale, dal
caso in cui si censuri l’interpretazione data dal giudice di
merito alla domanda stessa;

solo nel primo caso

prospettandosi che il Giudice del merito sia incorso in un
error in procedendo –

la Corte di cassazione ha il potere-

dovere di procedere all’esame diretto degli atti giudiziari,
onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini
delle pronuncia richiestale (cfr. Cass

civ. Sez. Unite 22

maggio 2012, n.8077); mentre nel caso in cui con il ricorso
per cassazione venga in rilievo l’interpretazione del
contenuto o dell’ampiezza della domanda, tali attività
integrano un accertamento in fatto, tipicamente rimesso al
giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, salvo
che sotto il profilo della correttezza della motivazione della
(ex plurimis,

decisione impugnata sul punto

Cass. 24 luglio

2008, n. 20373; Cass. 20 agosto 2002, n. 12259; Cass. 26
aprile 2001, n. 6066; Cass. 2 marzo 2001, n. 3016). In

5

di esso.

particolare costituisce ius receptum che spetta al giudice del
merito il potere di ricostruire la volontà espressa dalla
parte nell’atto esaminato applicando i canoni ermeneutici che
presidiano la ricostruzione della volontà espressa negli atti
negoziali, avendo pertanto riguardo all’intero contesto

tenendo conto della sua formulazione testuale, nonché del
contenuto sostanziale, in relazione alle finalità che la parte
intende perseguire. Di tale esegesi il giudice del merito è
ovviamente tenuto a rendere conto con esauriente motivazione,
i cui margini di congruità e logicità rappresentano il
limitato ambito entro il quale è ammesso lo scrutinio di
legittimità (cfr. Cass. 14 marzo 2006, n. 5491).
1.3. Orbene, nel caso all’esame, parte ricorrente – pur
formalmente denunciando violazione di legge e, segnatamente,
della norma di cui all’art. 46 legge n. 203/82 che impone il
preventivo tentativo di conciliazione nelle controversie in
materia di contratti agrari introduce, in realtà, una
quaestio facti,

in quanto si duole, non condividendone la

fondatezza, della valutazione critica condotta dal giudice di
merito circa il contenuto effettivo della domanda introduttiva
e la sua corrispondenza alla lettera raccomandata inviata ai
sensi dell’art. 46 cit., sottoponendo a questa Corte uno
scrutinio che non può essere ammesso, in quanto investe il
merito della valutazione esegetica condotta sul punto dal
giudice d’appello. Invero, fornendo puntuale risposta al
motivo di gravame con cui si contestava la procedibilità della
domanda, la Corte territoriale ha confermato la sostanziale

6

dell’atto, senza che ne risulti alterato il senso letterale e

identità tra il contenuto della domanda giudiziale, con cui si
richiedeva l’accertamento della scadenza del contratto di
affitto alla data del 10.11.1997, nonchè la condanna del
resistente al rilascio del fondo, e quello della lettera
raccomandata con cui si chiedeva la declaratoria di

10.11.1997) e il rilascio dei terreni, osservando che, in
entrambi gli atti in questione, la volontà espressa
dall’Ospedale Maggiore era quella di rientrare nel possesso
del fondo, in quanto detenuto dal Sala sine titulo;

e ciò in

quanto la declaratoria della scadenza del contratto di affitto
implicava l’occupazione senza titolo, costituente la premessa
della domanda di rilascio.
1.4. Ciò posto, si rileva, da un lato, che la congruità e
la compiutezza di tale tessuto argomentativo non è attinto da
alcuna censura motivazionale e, dall’altro, che la censura di
violazione di legge risulta formulata in modo astratto e
inconferente. Invero la Corte territoriale non ha affatto
violato il principio secondo cui l’osservanza dell’art. 46
cit. postula l’identità della pretesa fatta valere in sede
giudiziale e quella prospettata con il tentativo di
conciliazione, avendo, piuttosto, ritenuto che in concreto
sussisteva detta identità.
Tutto ciò si riflette sul quesito conclusivo, che – nel
sostanziarsi in espressioni evocanti la tesi difensiva non
accolta e, segnatamente, muovendo dall’assertiva premessa del
«diverso contenuto» della domanda introduttiva del giudizio e
della comunicazione ex art. 46 cit. – si rivela, all’evidenza,

7

risoluzione del contratto di affitto (in epoca successiva al

privo di decisività.
In definitiva il motivo, per molti versi al limite
dell’inammissibilità, va, comunque, rigettato.
2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ. violazione e falsa

ricorrente deduce che i giudici del merito non avrebbero
potuto dichiarare l’inesistenza del contratto agrario dal
momento che tale richiesta non era contenuta nell’atto
introduttivo del giudizio, con il quale era invece proposta
domanda di accertamento e declaratoria di intervenuta
scadenza. In particolare la Corte di appello – esaminando la
censura di ultrapetizione che era stata rivolta avverso la
sentenza di primo grado – avrebbe compiuto «un salto logico»
nel richiamare il formalismo previsto per gli atti della P.A.,
senza considerare che, nello specifico, l’esistenza di un
valido contratto scritto risultava ammessa nello stesso atto
introduttivo del giudizio.
2.1. Innanzitutto si osserva che – contrariamente a quanto
dedotto da parte ricorrente – la Corte territoriale non ha
affatto eluso la questione dell’ultrapetizione denunciata con
riguardo alla decisione di primo cure, ma ha, al contrario,
chiarito, anche in ragione delle argomentazioni svolte con
riguardo all’eccezione di improcedibilità, che il contenuto
sostanziale della domanda proposta dall’Ospedale Maggiore
andava individuato nella pretesa di rilascio

sine titulo.

In

tale prospettiva la (pre)esistenza del contratto agrario,
stipulato per iscritto con il Farina (deceduto nel 1996),

8

applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ.. Al riguardo parte

unitamente all’indicazione della scadenza di detto contratto
alla data del 10.11.1997, di cui si dava conto nell’atto
introduttivo del giudizio, costituivano le premesse di fatto
della domanda di rilascio, la quale era fondata sull’assenza
di un valido titolo alla detenzione da parte del Sala. Ne

impugnata, all’esigenza del necessario formalismo per
eventuali modificazioni soggettive del rapporto con l’ente
pubblico, non introduce alcuna modificazione ai contenuti

petitum e causa petendi – della domanda proposta (che era e
resta domanda di rilascio di immobile detenuto

sine titulo),

ma attiene al ragionamento giuridico svolto per l’accoglimento
della domanda stessa; il che esula dall’ambito dell’art. 112
cod. proc. civ., riguardando l’individuazione delle norme
giuridiche applicabili al caso concreto, che è l’attività
propria del giudice.
Sotto questo profilo la censura di ultrapetizione si rivela
priva di correlazione con la sentenza impugnata. Ne risente il
quesito finale, formulato in termini inammissibilmente
tautologici, siccome formulato sul presupposto (che non trova
riscontro ed è, anzi, smentito dalle argomentazioni a sostegno
della decisione) che la dichiarazione di

«inesistenza del

contratto agrario … non era contenuta nell’atto introduttivo
del giudizio».
Anche il presente motivo va, dunque, rigettato.
3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ. omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e

9

consegue che il richiamo, effettuato nella decisione

decisivo per il giudizio; in particolare, per quanto si legge
nel “momento di sintesi”

ex art. 366 bis cod. proc. civ., la

Corte di appello sarebbe caduta «in grave equivoco» valutando
quale

«disdetta»

una comunicazione ex art. 46 legge n.

203/1982 (quella datata 12.04.1996, con la quale si chiedeva

legge, in considerazione dell’assenza tra gli eredi del Farina
di aventi diritto al subentro nel rapporto) che tale non era,
essendo il rapporto continuato con gli eredi (tant’è che
l’azione sarebbe stata poi proposta sulla base di altra
comunicazione datata 18.06.2003, inviata sul presupposto della
intervenuta “scadenza” del contratto e non già della morte
dell’affittuario). Il fatto della
“disdetta”»

«reale mancanza di una

inciderebbe, dunque, sulla scadenza del rapporto

grado del
asserita dal ricorrente nel primo
giudizio,
imponendo, comunque,

«un riesame della vicenda».

4. Con il quarto motivo di ricorso

(erroneamente rubricato

con il n. 5) si denuncia ai sensi dell’art. 360 n.5 cod. proc.
civ. omessa, insufficiente o contraddittoria

«valutazione» di

fatti decisivi per il giudizio e, cioè, circa la sussistenza
di elementi che confermerebbero l’esistenza del contratto di
affitto. Al riguardo parte ricorrente lamenta che non si sia
tenuto conto di documentazione successiva rispetto alla
comunicazione ex art. 46 legge n. 203/1982 sopra cit. e, in
particolare, che non si sia tenuto conto di un documento
(altra comunicazione inviata al Sala in data 9.11.2001 per
contestare alcuni pretesi inadempimenti) ricognitiva della
sussistenza (pacifica) del contratto, che – in aggiunta alle

10

la declaratoria di risoluzione ai sensi dell’art. 49 stessa

ricevute di pagamento

«devono indurre a considerazione

diversa e opposta a quella effettivamente assunta dalla Corte
di appello» (così nel “momento di sintesi”).
5. Con il quinto motivo di ricorso (erroneamente rubricato
con il n. 6) si denuncia erronea applicazione del comb. disp.

n. 228. Al riguardo parte ricorrente deduce che in base al
combinato disposto della normativa in rubrica, nella materia
dei contratti agrari, non sarebbe necessaria la forma scritta,
per cui la Corte di appello sarebbe dovuta pervenire a
dichiarare la rinnovazione contrattuale senza necessità di
atto scritto ad substantiam.
5.1. I suddetti motivi sono suscettibili di esame, per
buona parte unitario, giacchè affrontano tutti, sotto vario
profilo, la questione della pretesa continuazione (e/o
novazione soggettiva) del rapporto originariamente stipulato
dall’Ospedale con il Farina e della sua prosecuzione alla
scadenza nei confronti del Sala, in forza di
concludentia,

facta

che andrebbero desunti da un complesso di

documenti riprodotti in ricorso e, segnatamente, nella
contestazione di una serie di inadempimenti effettuata

«salvo

dal Commissario straordinario

ogni altro diritto dell’Ente»

dell’Ospedale con lettera in data 09.11.2001, nonchè dai
bollettini di pagamento dei canoni – non potendo, invece,
evincersi alcunché dalla “comunicazione” del 12.04.1996 citata
nella decisione impugnata, perché non avente contenuto e
finalità di disdetta del rapporto.
5.2. Ciò premesso, si osserva che le censure di ordine

11

degli artt. 41 L. 203/1982 e dell’art. 6 del d.Lgs. 18.05.2001

motivazionale si rivelano palesemente inconferenti alla luce
della ratio decidendi, con la quale è stato escluso in radice
che la forma scritta – necessaria

ad substantiam actus,

trattandosi di contratto stipulato con un ente pubblico, non
solo per la costituzione del rapporto, ma anche per la sua

anche per la sua rinnovazione -potesse essere surrogata da
comportamenti concludenti. Mentre la censura di violazione di
legge appare manifestamente infondata, avuto riguardo a
principi costantemente ribaditi da questa Corte in tema di
formalismo degli atti della P.A., di cui la decisione
impugnata ha fatto corretta applicazione.
Invero gli accordi con l’Ospedale, quale Fondazione ICCRS
di diritto pubblico, sono soggetti alla disciplina tipica
delle P.A. e, quindi, anche all’osservanza della forma scritta
con riguardo ai contratti dalla stessa conclusi. In
particolare, per il perfezionamento dei contratti stipulati
dalle amministrazioni pubbliche, è necessaria una
manifestazione documentale della volontà negoziale da parte
dell’organo rappresentativo abilitato a concludere, in nome e
per conto dell’ente pubblico, negozi giuridici; mentre devono
ritenersi, all’uopo, inidonee le deliberazioni adottate da
organi collegiali deliberativi, attesane la caratteristica di
atti interni, di natura meramente preparatoria della
successiva manifestazione esterna della volontà negoziale, di
talchè un contratto non potrà dirsi legittimamente
perfezionato ove la volontà di addivenire alla sua stipula non
sia, nei confronti della controparte, esternata, in nome e per

12

modificazione soggettiva e, quindi, per il subentro di terzi o

conto dell’ente pubblico, da quell’unico organo autorizzato a
rappresentarlo.
In altri termini la deliberazione dell’ente, fino a quando
non risulti tradotta in un atto contrattuale sottoscritto dal
rappresentante dell’ente e dall’affittuario, è atto con

proposta contrattuale, sicché non è idonea a determinare la
costituzione del relativo rapporto negoziale (Cass., 10 giugno
2005, n. 12195; Cass. 25 novembre 2003, n. 17891; Cass. 5
novembre 2001, n. 13628). Inoltre i contratti conclusi dalla
P.A. devono, di regola, essere consacrati in un unico
documento, salvo che la legge non ne autorizzi espressamente
la conclusione a distanza, a mezzo di corrispondenza (come
nell’ipotesi, prevista dall’art. 17 del r.d. 18 novembre 1923,
n. 2440, di contratti conclusi con imprese commerciali) (cfr.
Cass. civ., Sez. Unite, 22 marzo 2010, n. 6827).
Tale regola rinviene la sua

ratio

nell’esigenza di

identificare esattamente il contenuto negoziale e rendere
possibile i controlli delle autorità; ciò comporta pertanto
che la volontà dell’ente sia manifestata all’esterno
dall’organo rappresentativo, che la manifestazione di volontà
non possa essere implicita, né desunta da comportamenti
meramente attuativi e che il contratto sia consacrato in unico
documento contenente tutte le clausole disciplinanti il
rapporto.
5.3. Discende da quanto sopra che la normativa speciale
dettata in tema di contratti della P.A. prevale sulla diversa
disciplina dei rapporti tra privati. In particolare, pur dopo

13

efficacia interna all’ente pubblico, non costituente neppure

l’entrata in vigore dell’art. 41 della legge 3 maggio 1982, n.
203, che ha deformalizzato i contratti di affitto a
coltivatore diretto, anche se ultranovennali, rendendoli a
forma libera, non può ritenersi concluso un contratto di
affitto agrario con la P.A. in forza di un comportamento

2008, n. 17550; Cass. 12 febbraio 2002, n. 1970; Cass. 15
dicembre 2000, n. 15862), a nulla rilevando il richiamo
contenuto nell’art. 6 del d. Lgs. 18.05.2001 n. 228 che
attiene, come è reso palese dalla stessa rubrica all’
«utilizzazione agricola del terreni demaniali e patrimoniali
indisponibili» e non al momento genetico del rapporto.
E ancora, in materia di contratti di affitto agrario, non
rileva che l’Amministrazione abbia chiesto la restituzione del
fondo molto tempo dopo la scadenza del contratto, non essendo
ipotizzabile – alla luce dell’art. 17 del r.d. 18 novembre
1923, n. 2440 – né una rinuncia della P.A. né una rinnovazione
tacita del contratto, posto che altrimenti si perverrebbe
all’effetto di eludere il requisito della forma scritta che la
citata norma intende tutelare. (Cass. 01 aprile 2010, n.
8000).
5.4. Ciò premesso e considerato che la conclusione di un
contratto per facta concludentia è incompatibile con le regole
dettate in tema di forma per gli atti stipulati dalle
pubbliche amministrazioni, va escluso che la sostituzione di
fatto dell’odierno ricorrente, nella coltivazione del terreno
oggetto di causa, abbia una sua rilevanza in termini di
novazione soggettiva del rapporto opponibile all’Ospedale. In

14

concludente, anche protrattosi per anni. (Cass. 26 giugno

particolare – anche indipendentemente dall’equivocità della
contestazione dei «dei

gravi inadempimenti»

comunicazione datata 09.11.2001,
espressa “salvezza” di

di cui alla

attesa la concomitante

«ogni altro diritto dell’Ente»

è

assorbente la considerazione che la stessa, sia singolarmente

pagamento, non potrebbe comunque far ipotizzare la tacita
rinnovazione dell’affitto nei confronti del Sala. Invero accertato, secondo quanto esposto in precedenza, che la
conclusione del contratto agrario di cui sia parte
un’istituzione pubblica richiede la forma scritta
substantiam

ad

dell’ente e dell’affittuario è assorbente la

considerazione della mancanza di un atto contrattuale
sottoscritto dal rappresentante esterno dell’ente stesso e
dall’affittuario, da cui possa desumersi la concreta
instaurazione del rapporto con le indispensabili
determinazioni in ordine alle prestazioni, ai corrispettivi,
ed agli altri elementi del rapporto.
Tutti i motivi all’esame vanno, quindi, rigettati.
6. Con il sesto motivo di ricorso (erroneamente rubricato
con il n. 7) si denuncia ai sensi dell’art. 360 n.5 cod. proc.
civ. omessa motivazione per la mancata considerazione circa
l’applicabilità dell’art. 21 della legge n. 203/82, unitamente
agli artt.41 stessa legge e 6 d.Lgs n. 228/2001: sussistenza
di un contratto di subaffitto e sua trasformazione in
contratto di affitto

ex lege.

Al riguardo parte ricorrente

deduce che in appello aveva richiesto, in via subordinata, la
riforma della decisione di prime cure in ragione

15

apprezzata, sia esaminata unitamente ai bollettini di

dell’eccezione

riconvenzionale

già

esposta

innanzi

al

Tribunale, secondo cui – ove fossero stati disattesi gli altri
argomenti a sostegno della domanda riconvenzionale e del
rigetto della domanda di rilascio – sarebbe stata ipotizzabile
la sussistenza di un contratto di subaffitto con il Farina,
ex lege

in affitto in ragione della mancata

proposizione dell’azione di nullità. Nel “momento di sintesi”
ex art. 366 bis cod. proc. civ. lamenta, dunque, che la Corte
di appello abbia completamente
come sopra indicati»,

«omesso di valutare i fatti

e segnatamente: l’assenza di

contestazioni sul fatto del subaffitto allegato da esso Sala,
senza che fossero formulate eccezioni da parte dell’Ospedale
Maggiore e, per converso, l’avvenuta contestazione da parte di
quest’ultimo di

comportante

«gravi inadempimenti»,

un’implicita ammissione dell’esistenza del rapporto.
6.1. Il motivo è inammissibile.
Invero la decisione del giudice di secondo grado che non
esamini e non decida un motivo di censura della sentenza del
giudice di primo grado è impugnabile per cassazione non già
per omessa o insufficiente motivazione su di un punto decisivo
della controversia e neppure per motivazione

per relationem

resa in modo difforme da quello consentito, bensì per omessa
pronuncia su un motivo di gravame; ne consegue che, se il
vizio è denunciato ai sensi dell’art. 360, n. 3 o n. 5, cod.
proc. civ., anziché dell’art. 360, n. 4, cod. proc. civ. in
relazione all’art. 112 dello stesso codice, il ricorso è
inammissibile. (Cass. 15 maggio 2013, n. 11801).
E’ il caso di precisare che le SS.UU. – pur patrocinando

16

convertito

con la sentenza 24 luglio 2013, n. 17931 un indirizzo non
formalistico,

che non richiede la formale ed esatta

indicazione della ipotesi, tra quelle elencate nell’art. 360,
primo comma, cod. proc. civ., cui si ritenga di ascrivere il
vizio, né la precisa individuazione, nei casi di deduzione di

processuali, degli articoli di legge – hanno ribadito
l’esigenza di una chiara esposizione, nell’ambito del motivo,
delle ragioni per le quali la censura sia stata formulata e
del tenore della pronunzia caducatoria richiesta; con la
conseguenza che il motivo va dichiarato inammissibile,
allorché il ricorrente, nel lamentare l’omessa pronuncia in
ordine ad una delle domande od eccezioni formulate, non solo
menzioni un motivo non pertinente ed ometta di menzionare
quello di cui all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.,
in relazione all’art. 112 cod. proc. civ., ma sostenga altresì
che la motivazione sia stata omessa o sia insufficiente o si
limiti ad argomentare sulla violazione di legge.
E non è dubbio che, nel caso specifico, parte ricorrente
intenda impropriamente denunciare un vizio di motivazione,
anziché un

error in procedendo,

risultando ciò chiaro dal

“momento di sintesi” che chiude il motivo.
6.2. In disparte si rileva che il motivo è anche privo di
specificità. Invero, quand’anche la questione fosse stata
ritualmente formulata ai sensi del n. 4 dell’art. 360 cod.
proc. civ., occorreva che la denuncia fosse proposta con
l’indicazione del (o dei) singoli passaggi dello sviluppo
processuale nel corso del quale sarebbe stato commesso

17

violazione o falsa applicazione di norme sostanziali o

l’errore di applicazione della norma sul processo, in modo che
la Corte di cassazione (quale giudice del fatto processuale)
venisse posta nella condizione di procedere ad un controllo
mirato sugli atti processuali in funzione di quella verifica.
E poiché, nella specie, si lamenta che non sia stata esaminata

motivo avrebbe dovuto essere dedotto con l’indicazione sia del
momento in cui venne formulata l’eccezione in primo grado, sia
delle modalità con cui venne proposta, sia ancora del suo
mantenimento fino al momento della precisazione delle
conclusioni in prime cure e in appello.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in
dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 140
del 2012, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al
rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in
C 4.200,00 (di cui C 200,00 per esborsi) oltre accessori come
per legge.
Roma 7 marzo 2014

un’eccezione riconvenzionale (riproposta in appello), il

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA