Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9974 del 15/05/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 9974 Anno 2015
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: CIRILLO ETTORE

SENTENZA

sul ricorso 27002-2013 proposto da:
FIN FER SPA IN CONCORDATO PREVENTIVO in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliato, in ROMA VIA DEI CONDOTTI 91, presso lo
studio dell’avvocato PIA MARIA BERRUTI, che lo_
rappresenta e difende giusta delega a margine;
– ricorrente –

2015

contro

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AGENZIA DELLE ENTRATE;
intimatcL

Nonché da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro

Data pubblicazione: 15/05/2015

tempore, elettivamente domiciliato, in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che 10,rappresenta e difende;
– controricorrente e ricorrente Incidentale contro

– Intimato,-

avverso la sentenza n. 150/2013
COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST.

della

di SALERNO, depositata il

29/04/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 01/04/2015 dal Consigliere Dott. ETTORE
CIRILLO;

udito per il ricorrente l’Avvocato BERRUTI che si
riporta al ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RICCARDO FUZIO che ha concluso per il
rigetto di entrambi i ricorsi principale e
incidentale.

FIN FER SPA IN CONCORDATO PREVENTIVO;

RITENUTO IN FATTO
1. Con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, la Soc. FIN FER censura la sentenza della commissione regionale della Campania (sez. Salerno) n. 159/09/13 del 29 aprile 2013 laddove (a) ritiene operante il
raddoppio dei termine per l’accertamento di cui all’art. 37 di. 223/2006
nonostante l’archiviazione del procedimento penale sulla vicenda; (b)
fonda la legittimità della ripresa fiscale – fatta ai sensi dell’art. 32 d.p.r.

ingiustificati movimenti su conti bancari di soci in società di capitali a ristretta base familiare senza tenere conto della loro riferibilità, in particolare riguardo ad Antonio Finelli, a rapporti anche con altre tre società
familiari; (c) trascura il rilievo Invalidante dell’omessa allegazione,
all’avviso di accertamento (II.DD. – IVA – 2005) nei confronti della società, della denuncia a! P.M. e dell’avviso ad Antonio Finelli.
2. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso e propone ricorso incidentale censurando la sentenza d’appello laddove riduce l’ammontare
dei maggiori ricavi e delle operazioni imponibili avvalendosi di documentazione introdotta dalla contribuente solo nel giudizio di merito, nonostante la preclusione di cui all’art. 32, comma 4, d.p.r. 600/1973. La
Soc. FIN FER si difende con memoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Entrambi i ricorsi devono essere rigettati.
1. In primo luogo, riguardo al ricorso principale, si osserva che non sussiste la denunciata violazione della disciplina sul raddoppio dei termini di
decadenza per l’accertamento, in presenza di una notitia criminis di natura fiscale (motivo 1).
EssaStata introdotta dall’art. 37 d.l. 223/2006. Il comma 24 ha modificato l’art. 43 d.p.r. 600/1973 in base alla previsione che “In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del
codice di procedura penale per uno dei reati previsti da! decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti [cioè gli
ordinari termini di decadenza per l’accertamento] sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione”.
Analogamente dispone il comma 25 per VIVA, con l’integrazione dell’art.
57 d.p.r. 633/1972, mentre il comma 26 stabilisce che il raddoppio si
applica dal periodo d’imposta per il quale, alla data di entrata in vigore
dello stesso dl., sono ancora pendenti i termini ordinari per
l’accertamento. Infine, il raddoppio dei termini, in caso di violazione che

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600/1973 e dell’art. 51 d.p.r. 633/1972 – sulle presunzioni derivanti da

v

comporti l’obbligo di denuncia, trova applicazione anche con riferimento
all’attività di controllo della spettanza del credito d’imposta (Sez. 5, Sentenza n. 22587 del 11/12/2012, Rv. 624709).
1.1. La Corte costituzionale, pronunziatasi in materia (sent. 247/2011),
chiarisce che:
a) “il raddoppio dei termini consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva

b) l’obbligo di denuncia “sorge anche ove sussistano cause di non punibilità impeditive della prosecuzione delle indagini penali ed il cui accertamento resti riservato all’autorità giudiziaria penale”;
c) “la lettera della legge impedisce di interpretare le disposizioni denunciate nel senso che il raddoppio dei termini presuppone necessariamente un accertamento penale definitivo circa la sussistenza del reato”;
d) subordinare il raddoppio dei termini a un accertamento penale definitivo circa la sussistenza del reato, “contrasterebbe anche con il vigente regime del cosiddetto «doppio binario» tra giudizio penale e procedimento e processo tributario, evidenziato dall’art. 20 del d.lgs. n. 74
del 2000”;
e) l’obbligo di denuncia opera quando si “sia in grado di individuare con
sicurezza gli elementi del reato da denunciare (escluse le cause di estinzione e di non punibilità, che possono essere valutate solo
dall’autorità giudiziaria), non essendo sufficiente il generico sospetto
di una eventuale attività illecita”;
f) il pubblico ufficiale “non può liberamente valutare se e quando presentare la denuncia ma deve presentarla prontamente, pena la commissione del reato previsto e punito dall’art. 361 cod. pen. per il caso
di omissione o ritardo nella denuncia”;
g) sussiste “il dovere del Giudice tributario di vagliare autonomamente
(o su richiesta del contribuente) la presenza dell’obbligo di denuncia”
1.2. Applicando tali principi di diritto alla fattispecie in esame risulta evidente che l’avvenuta archiviazione della denuncia presentata dalla Guardia di finanza non è di per sé stessa d’impedimento all’applicazione del
termine raddoppiato per l’accertamento, proprio perché non rileva né
l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’articolo 405
c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudi-

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presentazione della denuncia o dall’inizio dell’azione penale”;

..

ce penale, atteso anche il regime di «doppio binario» tra giudizio penale
e procedimento e processo tributario.
I principi enunciati dall’art. 37, come interpretato dalla Corte costituzionale, sono quelli consolidati nella giurisprudenza di legittimità secondo
cui, “perché sussista l’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria, ai sensi
dell’art. 361 c.p., è sufficiente che il pubblico ufficiale che vi è tenuto
ravvisi nel fatto il fumus di reato” (Cass. pen., sez. VI, 24/05/1978,
Giust. pen. 1981, II, 141). Ciò significa che “presupposto del concretizzarsi dell’obbligo di riferire all’autorità giudiziaria è l’esistenza di una notizia di reato che, pur non necessitando la certezza o anche il dubbio circa l’esistenza dello stesso, deve essere riconducibile ad una fattispecie
illecita”, mentre “i giudizi di valore complementari al fatto tipico vale a
dire antigiuridicità e dolo, competono invece in via esclusiva all’autorità
giudiziaria” (Cass. pen., sez. VI, 06/02/2014, n. 12021). Con altre parole, riguardo però alla peculiare disciplina del codice doganale comunitario, si afferma che il prolungamento (sospensione) del termine per
l’accertamento opera quando l’obbligazione nasca a seguito di un
atto “perseguibile a norme di legge” ovvero “perseguibile penalmente” (secondo il testo vigente dal 19 dicembre 2000), “cioè
sussumibile, anche

solo

astrattamente, in

una

fattispecie in-

criminatrice” (Sez. 5, Sentenza n. 8708 del 10/04/2013, in motiv.)
Dunque, solo per impedire che il raddoppio sia adoperato in maniera distorta, ossia comunicando al p.m. notizie di reato manifestamente infondate al solo fine di beneficiare del più ampio termine di decadenza, la
Corte costituzionale devolve al giudice di merito il compito di vigilare
sull’osservanza degli elementi minimi richiesti dall’art. 331 c.p.p. per
l’insorgere dell’obbligo di denuncia e di negare l’applicazione del termine
allungato in casi d’iniziative di denuncia palesemente pretestuose, se
non addirittura catunniose (art. 368 c.p.c.), rivelatrici di un uso distorto
dello strumento legale apprestato dall’art. 37.
1.3. Nulla di tutto questo risulta nella specie. Anzi, la ricorrente pare
centrare la sua censura più che altro sul fatto storico dell’archiviazione
della denuncia a carico del legale rappresentante dalla società contribuente, disposta dal GIP perché “gli elementi acquisiti non sono idonei a
sostenere l’accusa in giudizio”. Il che, in assenza di altre e autosufficienti
specificazioni, non può rilevare da sé solo a dimostrare il travisamento
dello strumento agevolativo per il fisco apprestato dall’art. 37.
Per completezza, si aggiunge che il tenore dell’art. 8, comma 2, della

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legge 23/2014 offre un ulteriore riscontro alla conclusione che la disciplina vigente sul raddoppio dei termini va intesa nel senso indicato dalla
Corte costituzionale e sopra enunciato, mirando la delega al Governo solo a introdurre limiti temporali più stringenti per l’operatività del termine
raddoppiato.
2. In secondo luogo, riguardo alla denunciata violazione di norme di diritto sostanziali sui movimenti bancari imputati alla società ai sensi

osserva che il mezzo non coglie nel segno.
L’art. 32 d.p.r. 600/1973 prevede una presunzione legale in base alla
quale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vadano imputati a ricavi. Il contribuente può comunque fornire la
prova contraria, anche mediante presunzioni semplici, da sottoporre alla
verifica del giudice, che deve individuare analiticamente i fatti noti, da
cui dedurre quelli ignoti, correlando ogni grave indizio che sia grave,
preciso e concordante (conf. ex plurimis Sez. 5, Sentenza n. 3777 del
25/02/2015, in motiv.).
Riguardo alle imposte sui redditi lo stretto rapporto familiare e la composizione ristretta del gruppo sociale sono sufficienti a giustificare, salva
!a prova contraria, la riferibilità delle operazioni riscontrate sui conti correnti bancari di tali soggetti all’attività economica della società sottoposta a verifica. Sicché in assenza di prova di attività economiche svolte
dagli intestatari dei conti, idonee a giustificare i versamenti e i prelievi
riscontrati, e in presenza di un contestuale rapporto di collaborazione
con la società, deve ritenersi soddisfatta la prova presuntiva a sostegno
della pretesa fiscale, con spostamento dell’onere della prova contraria
sul contribuente (conf. ex plurimis Sez. 5, Sentenza n. 428 del
25/02/2015, in motiv.).
Analogamente pure per l’accertamento dell’IVA i movimenti bancari operati sui conti personali di soggetti legati da stretto rapporto familiare o
da particolari rapporti aziendali possono essere riferiti alla parte contribuente, salva la prova contraria a suo carico, al fine di determinarne i
maggiori ricavi non dichiarati, in quanto tali rapporti di contiguità rappresentano elementi indiziari che assumono consistenza di prova presuntiva legale, ove il soggetto formalmente titolare del conto non sia in
grado di fornire indicazioni sulle somme prelevate o versate e non disponga di proventi diversi o ulteriori (conf. ex plurinnis Sez. 5, Sentenza
n. 20668 del 01/10/2014, in motiv.).

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dell’art. 32 d.p.r. 600/1973 e dell’art. 51 d.p.r. 633/1972 (motivo 2), si

2.1. La sentenza d’appello non si discosta affatto da tali principi di diritto. Essa trae il proprio convincimento (a) dall’essere la società contribuente a ristretta base partecipativa con capitale sociale ripartito tra i signori Finelli, (b) dall’essere Antonio Finelli consigliere di amministrazione
della società contribuente, (c) dal non avere Antonio Finelli (pur coinvolto in altre società del gruppo) saputo spiegare e documentare in fase di
accertamento la provenienza delle ingenti somme movimentate sui suoi

di riscontri della eventuale provenienza delle somme da altre società del
gruppo.
Di contro, ritiene che talune operazioni bancarie su assegni (CTR, pag.
7-9) non siano correlate all’attività della società contribuente ma siano
legate, oltre all’aumento di capitale di una società dei gruppo, a prestiti
accordati da Antonio Finelli a terzi tanto da essere indagato per esercizio
abusivo dell’attività creditizia. Richiama sul punto talune sommarie informazioni rese da terzi (Rivetti, Ripamonti) alla Guardia di finanza,
l’indagine penale svolta dall’autorità giudiziaria avellinese e il riscontro
offerto uni assegni in entrata e in uscita. Nulla di tutto ciò contrasta
urtumin dell’art. 32 d.p.r. 600/1973 e dell’art. 51 d.p.r. 633/1972 e coi principi
di diritto enunciati in ordine a tali disposizioni dalla giurisprudenza di legittimità.
2.2. Quelle mosse alla sentenza d’appello sono in gran parte censure
che esulano dai poteri del giudice di legittimità richiedendo nuovo esame, scelta e ponderazione del materiale probatorio globalmente sottoposto al giudice di merito, il che non è consentito.
Il motivo (pur denunciando pretesa violazione di norme di diritto sostanziali) mira a evidenziare asseriti errori di giustificazione della decisione
sul fatto, con riferimento al rapporto tra motivazione della sentenza
d’appello e dati processuali neppure riprodotti nelle parti salienti per la
necessaria autosufficienza del ricorso. Così in ricorso si accenna genericamente alla consulenza tecnica d’ufficio che sarebbe stata espletata in
altra sede per diversi anni d’imposta (pag. 26), a elementi a discarico
derivanti dalla dichiarazioni di imprecisati terzi (pag. 27) e dai legali
rappresentanti delle società Bruno e N.T.R. (pag. 26-27) e alle cariche
rivestite da Antonio Finelli anche in altre società del gruppo rimaste estranee all’accertamento (pag. 31). In violazione del principio di autosufficienza, la contribuente non indica specificamente i documenti e, comunque, non riporta di essi quei passi salienti da cui desumere la prova

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Can,

conti personali a fronte di non elevato reddito di lavoro, (d) dall’assenza

a discarico (Sez. 5, Sentenza n. 20679 del 01/10/2014, Rv. 632502).
2.3. Inoltre il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed
idonee alla formazione dello stesso senza che debba dare conto dell’esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi
prospettate dalle parti. Sotto tale profilo, dunque, la censura della contribuente di non aver preso in esame tutti i singoli elementi risultanti in

lere una differente interpretazione del quadro indiziario, sulla base di
una diversa valorizzazione di alcuni elementi rispetto ad altri. Il che esula dai poteri del giudice di legittimità soprattutto se investito della questione sotto il profilo della violazione di norme di diritto sostanziali a
sensi dell’art. 360 n.3 del codice di rito. Peraltro, secondo
l’insegnamento delle sezioni unite, la riformulazione dell’art. 360 n. 5
(art. 54 di. 83/2012, conv. legge 134/2012), applicabile ratione temporis, comporta in ogni caso la riduzione del sindacato sulla motivazione
denunciabile in cassazione, sempreché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830; conf. Sez.
5, Sentenza n. 26860 del 18/12/2014 e giur. ivi cit.), ed esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione
(ult. cit.), dalla odierna ricorrente principale dissimulato sub specie di
violazione di norme di diritto sostanziali. Pertanto il secondo motivo deve, in ogni caso, essere disatteso.
3. In terzo luogo, riguardo al denunciato omesso esame del fatto decisivo per il giudizio (art. 360 n.5) rappresentato dalla mancata allegazione
all’atto impositivo di taluni documenti fondamentali quali la ridetta denuncia della Guardia di finanza alla Procura della Repubblica e l’avviso
emesso in capo ad Antonio Finelli (motivo 3), la questione è stata tardivamente introdotta solo nel giudizio di appello, addirittura con la memoria illustrativa (ric. pag. 31). Infatti, dalla sentenza d’appello (CTR,
pag.2) si ricava che le questioni sollevate dalla contribuente nel ricorso
introduttivo sono state (a) il decorso del termine di cui all’art. 43 d.p.r.
660/19t3 per l’inapplicabilità del raddoppio previsto dall’art. 37 d.l.
223/2006, (b) l’utilizzo di presunzioni prive dei requisiti di legge,
l’insussistenza delle violazioni contestate e (c) la nullità dell’avviso per
difetto di motivazione (conf. ric. pag.3); l’appello riguarda (a) il raddoppio dei termini in relazione alla denuncia della Guardia di finanza e (b)

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atti, costituisce una censura del merito della decisione, in quanto fa va-

l’insufficienza ed erroneità argomentativa e probatoria della pronuncia
sul merito della pretesa del fisco (CTR, pag.3; conf. ric. pag. 3-4). Dunque, l’eccezione d’inammissibilità dell’accertamento per mancata allegazione della denuncia penale della Guardia di finanza e dell’avviso a carico di Antonio Finelli – cioè per violazione dell’art. 7 dello Statuto del contribuente – appare nuova o, comunque, non autosufficiente non specificandosi in ricorso – con le necessarie trascrizioni – se, come e quando

terzo motivo è, pertanto, inammissibile
4. Infine, riguardo al ricorso incidentale, la difesa erariale censura la
sentenza d’appello laddove riduce l’ammontare dei maggiori ricavi e delle operazioni imponibili avvalendosi di documentazione introdotta dalla
contribuente solo nel giudizio di merito, nonostante la preclusione di cui
all’art. 32, comma 4, d.p.r. 600/1973 e non essendo consentito giustificare la tardività dell’esibizione con la difficoltà di ottenere delle banche
la relativa documentazione”, peraltro neppure provata.
4.1. Il mezzo non coglie nel segno. Dalla lettura della sentenza d’appello
emerge che la documentazione contestata è stata prodotta dalla società
appellante il 13 febbraio 2013 e il 25 febbraio 2013, in vista
dell’udienza di trattazione del 24 aprile 2013, rispetto al termine perentorio di venti giorni liberi prima di cui agli artt. 58, 61 e 32 proc. trib.
(Sez. 5, Sentenza n. 20109 del 16/11/2012, Rv. 624170).
L’art. 32, comma 4, d.p.r. 600/1973 stabilisce che non possono essere
presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa, notizie e dati non addotti e documenti non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio. Il comma 5 precisa che le cause di inutilizzabilità non operano nei confronti del contribuente che depositi in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri e i
registri, dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile. Tale
dichiarazione è necessaria ma non sufficiente al fine indicato, nel senso
che la parte contribuente ha l’onere di dimostrarne la veridicità.
Tuttavia, dinanzi alla preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa (e neppure in primo grado) non trova applicazione l’art. 58, comma 2, proc.
trib., che consente alle parti nuove produzioni documentali nel corso del
giudizio tributario di appello, rispetto a documenti su cui si è già prodot-

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l’eccezione è stata proposta in primo grado e poi riproposta in appello. Il

ta la decadenza per effetto della norma speciale (Sez. 5, Sentenza n.
10489 del 14/05/2014, Rv. 630815). Inoltre il legittimo impedimento
della contribuente, pur invocato, non pare essere stato specificamente
provato.
4.2. Sennonché l’art.32 comma 4, d.p.r. 600/1973 (come l’omologo art.
51, comma 5, d.p.r. 633/1972) comporta l’instaurazione di un peculiare
iter procedimentale scandito in tre tappe: a) l’invio con fissazione di un

contribuente; b) l’avvertimento delle conseguenze pregiudizievoli a seguito dall’inottemperanza a tali inviti o richieste; c) la risposta dell’interessato, che fornisce quanto richiesto, ovvero l’inadempimento del contribuente all’invito rivoltogli.
La giurisprudenza di legittimità afferma che tale meccanismo conoscitivo
e preclusivo mira al dialogo tra fisco e contribuente per favorire la definizione delle reciproche posizioni (Sez. 5, Sentenza n. 453 del
10/01/2013, Rv. 624728), sì da prevenire l’instaurazione del contenzioso giudiziario (Sez. 5, Sentenza n. 28049 del 30/12/2009, in motiv.), attesi quei canoni di lealtà, correttezza e collaborazione, da ritenersi doverosi “…quando siano in gioco obblighi di solidarietà come quello in materia tributaria” (Corte cost. 351/2000). Perciò, il legislatore sanziona l’omissione del contribuente che si sottrae alla dialettica documentale con
l’amministrazione, comminando il divieto di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa. Si tratta di divieto ritenuto
dalla Corte costituzionale tale da non menomare il principio di capacità
contributiva (ordinanza 181/2007), mentre la “ratio” della preclusione è
rinvenuto nell’ostacolo frapposto dalla condotta omissiva del contribuente all’immediata esecuzione di un accertamento analitico (Sez. 5, Sentenza n. 20461 del 06/10/2011, in motiv.). Però, il meccanismo preclusivo, per la grave conseguenza dell’inutilizzabilità amministrativa e processuale di dati e documenti tardivamente prodotti, comporta che non
sia soltanto la parte privata a dover collaborare, dovendo anche quella
pubblica adeguare la propria condotta a quel canone di lealtà che, richiamato dalla giurisprudenza costituzionale, è codificato nel caso in esame dall’obbligo di avvertimento riguardo alle conseguenze dell’inottemperanza, fissato dal nucleo normativo dell’art. 32 cit. (Sez. 5,
453/2013, cit.) .Si tratta del medesimo principio di lealtà, poi sfociato
negli articoli 6 e 10 dello Statuto del contribuente (“i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della

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termine minimo per l’adempimento degli inviti o delle richieste rivolte al

collaborazione e della buona fede”, ivi compreso l’obbligo dell’amministrazione “…di informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua
conoscenza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un
credito ovvero l’irrogazione di una sanzione”), che sono idonei a fornire
un decisivo indicatore ermeneutico. Invece, dalla sentenza impugnata e
dal ricorso incidentale, non risulta in alcun modo che vi sia stato l’avvertimento alla contribuente e nulla sul punto emerge dal contenuto del ri-

e adeguata specificità che sono tipici dell’impugnazione di legittimità. Infatti, spetta al fisco che, oppone alla successiva allegazione giudiziale
della documentazione a discarico la preclusione di cui all’art. 32, allegare
e dimostrare che si è realizzata in pieno la sequenza procedimentale avviata con l’invito. In mancanza, non può invocare la sanzione dell’inutilizzabilità amministrativa e processuale dei documenti esibiti dalla contribuente nel giudizio d’appello (Sez. 5, Sentenza n. 22126 del
27/09/2013, Rv. 628934). Dunque, la sanzione dell’inutilizzabilità della
produzione in sede contenziosa, prevista dall’art. 32 cit., può operare
solo in presenza di un invito specifico e puntuale all’esibizione da parte
dell’Amministrazione che sia accompagnato dalla fissazione di un termine e dall’avvertimento espresso circa le conseguenze della sua mancata
ottemperanza, che si giustifica – in deroga ai principi di cui agli artt. 24 e
53 Cost. – per la violazione dell’obbligo di leale collaborazione con il Fisco. (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11765 del 26/05/2014, Rv. 630992). Ciò
non risulta dal ricorso incidentale, che quanto meno difetta di autosufficienza ovvero implicitamente prospetta un’interpretazione della legge
difforme dai principi sopra indicati (v. in generale anche Sez. 5, Sentenze n. 16536 del 14/07/2010, n. 9127 del 19/04/2006, n. 21768 del
14/10/2009, n. 1030 del 28/01/2002).
5. Rigettati entrambi i ricorsi, la reciproca soccombenza giustifica la
compensazione integrale delle spese del giudizio di legittimità.
5.1. Quanto all’obbligo legale del versamento di un ulteriore importo a
titolo di contributo unificato a carico del ricorrente soccombente (L. n.
228 del 2012, art. 1, comma 17; D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi
1-bis e 1-quater), si osserva che esso opera per tutti i procedimenti
d’impugnazione iniziati dopo il 30 gennaio 2013 (In tema di impugnazione, l’obbligo di versamento, per il ricorrente, di un’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato nel caso in cui la sua impugnazione sia stata
integralmente rigettata, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R.

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corso per cassazione, che, dunque, difetta di quei requisiti di autonoma

30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre
2012, n. 228, si applica ai procedimenti iniziati in data successiva al 30
gennaio 2013, dovendosi aver riguardo, secondo i principi generali in
tema di litispendenza, al momento in cui la notifica del ricorso si è perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario, e non a
quello in cui la notifica è stata richiesta all’ufficiale giudiziario o l’atto è
stato spedito a mezzo del servizio postale secondo la procedura di cui

18/02/2014, Rv. 629556); conf. implicitamente Sez. U, n. 22553 del
2014, in motiv.) e non è neppure collegato alla condanna alle spese
(Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10306 del 13/05/2014, Rv. 630896), ma non
può aver luogo nei confronti di quelle parti, come le amministrazioni dello Stato, che sono istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo
stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Sez. 3,
Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550; v. anche Sez. U, Sentenza n. 26280 del 25/11/2013, in motiv.).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale; dichiara integralmente compensate tra le parti le spese dei giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della Soc.
FIN FER, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma
1-bis, e della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell’Agenzia delle entrate, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello per il ricorso incidentale.
Così deciso in Roma, il 1 aprile 2015.

alla legge 21 gennaio 1994, n. 53. (Sez. U, Sentenza n. 3774 del

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