Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9974 del 05/05/2011

Cassazione civile sez. I, 05/05/2011, (ud. 21/01/2011, dep. 05/05/2011), n.9974

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.A.M., detto G.D., rappresentato

e difeso da sè stesso ed elettivamente domiciliato in Roma via

Panattoni 177/A;

– ricorrente –

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri;

– intimata –

avverso il decreto della Corte di Appello di Roma, sezione equa

riparazione, emesso il 7 novembre 2005, depositato il 22 febbraio

2007, nel procedimento n. 52436/04 R.G.A.;

udita la relazione della causa svolta all’udienza del 21 gennaio 2011

dal Consigliere Dott. Giacinto Bisogni;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia ha per oggetto il ricorso per equa riparazione ex L. n. 89 del 2001, proposto da G.A.M., per la irragionevole durata di un procedimento svoltosi davanti al T.A.R. del Lazio, iniziato con ricorso del settembre 1985 e definito con sentenza del 23 gennaio 2004 che ha il pronunciato l’improcedibilità del ricorso per il sopravvenuto difetto di interesse del ricorrente.

La Presidenza del consiglio, costituendosi in giudizio, ha chiesto il rigetto della domanda a causa del mancato impulso della procedura da parte del ricorrente.

La Corte di appello di Roma con decreto depositato il 22 febbraio 2007 ha respinto il ricorso rimarcando la non complessità della controversia svoltasi davanti al T.A.R., la mancata attivazione dell’organo di giustizia amministrativa e la definizione del procedimento per improcedibilità conseguente alla sopravvenuta carenza di interesse.

Ricorre per cassazione G.A.M. deducendo la violazione della C.E.D.U. (art. 6), rilevando che l’attività della parte non può escludere il diritto all’indennità, e il difetto di motivazione, non essendo la decisione intellegibile in ordine alle ragioni che hanno condotto la Corte al rigetto della domanda.

Non svolge difese la Presidenza del Consiglio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato.

Se è pur vero (come di recente ha ribadito Cass. civ., 1^ sezione, con ordinanza n. 115 del 4 gennaio 2011) che, in tema di equa riparazione per irragionevole durata dei processi ex L. n. 89 del 2001, l’innovazione introdotta dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito con legge 6 agosto 2008, n. 133, secondo cui la domanda di equo indennizzo non è proponibile se nel giudizio davanti al giudice amministrativo, in cui si assume essersi verificata la violazione, non sia stata presentata l’istanza “di prelievo” ai sensi del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51 è inapplicabile – in difetto di una disciplina transitoria o di esplicite previsioni contrarie ed in ossequio al principio “tempus regit actum” – a quei procedimenti di equa riparazione aventi ad oggetto un giudizio amministrativo introdotto prima dell’entrata in vigore della predetta normativa, al giudice di merito restava comunque il compito di valutare l’esistenza del danno non patrimoniale costituito dall’ansia e dal malessere correlati all’incertezza sull’esito del processo per una durata irragionevole di tempo. La Corte di appello ha ricondotto con motivazione sintetica ma intellegibile l’esclusione della sussistenza di tale danno alla considerazione dell’immediata cessazione della materia del contendere. Infatti alla impugnazione (in data 25 settembre 1985) del provvedimento che ordinava la sospensione dei lavori intrapresi dal M.G. e la demolizione delle opere ritenute abusive è seguito a distanza di pochi giorni il provvedimento che accoglieva l’istanza di sospensiva dell’ordinanza. Parallelamente l’odierno ricorrente impugnava la ordinanza del comune di Roma n. 8949 del 28 dicembre 1985 che negava la concessione edilizia per le opere in contestazione. Tale giudizio di impugnazione veniva definito con sentenza n. 1319 del 15 ottobre 1988 del giudice amministrativo favorevole al M.G.. Su tali presupposti non si può non ritenere che l’esito del giudizio relativo alla impugnazione dell’ordinanza di sospensione dei lavori fosse del tutto scontato e consistesse nella (eventuale) dichiarazione di cessazione della materia del contendere, rispetto alla quale l’interesse e l’aspettativa del M.G. non poteva consistere in altro se non in una contestuale condanna del Comune al pagamento delle spese processuali. L’irrilevanza di una tale aspettativa, associata al comportamento inerte della difesa del M.G., quanto alla richiesta di fissazione di una udienza di decisione che, non essendo stata sollecitata per anni, ha indotto, presumibilmente, l’autorità giurisdizionale amministrativa a ritenere definitivamente abbandonata la lite, conduce a ritenere la decisione della Corte di appello coerente al sistema valutativo predisposto dalla L. n. 89 del 2001, ai fini della valutazione dell’esistenza del danno non patrimoniale da irragionevole durata del processo, e non incongrua la motivazione di tale decisione.

Il ricorso va pertanto respinto senza statuizioni quanto alle spese processuali del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2011

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