Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9972 del 05/05/2011
Cassazione civile sez. I, 05/05/2011, (ud. 18/01/2011, dep. 05/05/2011), n.9972
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –
Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –
Dott. GIANCOLA M. Cristina – Consigliere –
Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
F.R. – B.K. elettivamente domiciliati in
Roma, piazza dei Prati degli Strozzi, n. 22, nello studio dell’avv.
Salemi Giuseppe, che li rappresenta e difende, unita mente agli avv.
Innocenzo D’Angelo e Daniela Arciprete, giusta procura a margine del
ricorso.
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
Generale dello Stato, nei cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, 12,
è per legge domiciliato;
avverso il decreto della Corte di Appello di Trento, n. 32,
depositato in data 10 gennaio 2007;
sentita la relazione all’udienza del 18 gennaio 2011 del consigliere
Dott. Pietro Campanile;
Sentito l’Avv. D’Angelo per i ricorrenti, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;
Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto
Dott. APICE Umberto, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. – Con decreto depositato in data 10 gennaio 2007 la Corte di appello di Trento condannava il Ministero della Giustizia al pagamento in favore di F.R. e B.K. della somma di Euro 2000,00 ciascuno, a titolo di indennizzo del danno non patrimoniale, in conseguenza del superamento del termine di ragionevole durata di un processo (introdotto nel novembre 2000 e conclusosi con sentenza di primo grado del 20 ottobre 2005) relativo a una vertenza in materia di rispetto delle distanze legali.
1.1 – A fondamento della decisione, la Corte di merito rilevava che, considerata la durata del periodo di ragionevole durata del procedimento, il periodo eccedente tale termine dovesse determinarsi in anni due. Il danno non patrimoniale veniva quindi liquidato mediante attribuzione della somma di Euro 1000,00 per ciascun anno di ritardo. Veniva ritenuta manifestamente infondata la questione, prospettata dai ricorrenti, di legittimità costituzionale della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 3, lett. A), nella parte in cui prevede che l’indennità sia commisurata alla sola frazione del giudizio eccedente la durata ragionevole.
1.2 – Per la cassazione di tale decreto ricorrono il F. e la B., sulla base di due motivi.
Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
2.1 – Con il primo motivo si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la Corte territoriale, pur riconoscendo la natura vincolante dei parametri utilizzati dalla Corte europea – con particolare riferimento all’attribuzione dell’indennizzo per l’intero procedimento; l’escluso di sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma difforme a tale indirizzo.
2.2 – Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e artt. 10 e 117 Cost., in senso che la prima norma, in virtù di tali disposizioni, avrebbe dovuto essere disapplicata nella parte non conforme alla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, così come interpretata dalla CEDU. Viene al riguardo formulato il seguente quesito di diritto: “L’applicabile la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), benchè contrastante con la Convenzione dei Diritti dell’Uomo, art. 6 par. 11”.
2.3 – Quanto al primo motivo, per come formulato, ne va rilevata l’inammissibilità, derivante dalla mancanza nella dedotta censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, di quel momento di sintesi (omologo al quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti in maniera da non generare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. , Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603).
2.4 – La questione dedotta con il secondo motivo è infondata. Vale bene richiamare l’orientamento già espresso in proposito da questa Corte, e condiviso dal Collegio, secondo cui in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, è manifestamente infondata la questione di costituzionalità della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 3, lett. a), nella parte in cui stabilisce che, al fine dell’equa riparazione, rileva soltanto il danno riferibile al periodo eccedente il termine di ragionevole durata, non essendo ravvisabile alcuna violazione dell’art. 117 Cost., comma 1, in riferimento alla compatibilità con gli impegni internazionali assunti dall’Italia mediante la ratifica della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Infatti, qualora sia sostanzialmente osservato il parametro fissato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ai fini della liquidazione dell’indennizzo, la modalità di calcolo imposta dalla norma nazionale non incide sulla complessiva attitudine della legislazione interna ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto in argomento, non comportando una riduzione dell’indennizzo in misura superiore a quella ritenuta ammissibile dal giudice europeo (Cass., 22 gennaio 2008, n. 1354).
E’ stato altresì osservato che, diversamente opinando, poichè le norme Cedu integrano il parametro costituzionale, ma rimangono pur sempre ad un livello subcostituzionale, dovrebbe valutarsi la conformità del criterio di computo desunto dalle norme convenzionali, che attribuisce rilievo all’intera durata del processo, rispetto al novellato art. 111 Cost., comma 2, in base al quale il processo ha un tempo di svolgimento o di durata ragionevole, potendo profilarsi, quindi, un contrasto dell’interpretazione delle norme Cedu con altri diritti costituzionalmente tutelati (Cass., 6 maggio 2009, n. 10415).
Rilevato, per quanto sopra esposto, che il quesito proposto si fonda su una premessa non condivisibile – nel senso che la precettività, per il giudice nazionale, della giurisprudenza della Corte di Strasburgo non concerne anche il profilo relativo al moltiplicatore della base di calcolo – deve porsi in evidenza come in ogni caso allo stesso quesito la risposta non possa essere che negativa, in quanto il dovere, per il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, di interpretarla in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte Europea, opera entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della legge stessa (Cass., Sez. Un., 26 gennaio 2004, n. 1338), rimanendo comunque escluso che, in caso di contrasto, possa procedersi alla non applicazione della norma interna, in virtù di un principio concernente soltanto il caso del contrasto tra norma interna e norma comunitaria (Cfr. Cass., 29 marzo 2010, n. 7559; v.
anche Corte Cost. n. 348 e n. 349 del 2007) .
2.4 – Al rigetto del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1000,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 18 gennaio 2011.
Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2011