Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9969 del 15/05/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 9969 Anno 2015
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: VALITUTTI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 22454-2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente dorniciliatct, in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la ,rappresenta e difende;
– ricorrente 2015
1294

contro
DANIELI & C. OFFICINE MECCANICHE SPA in persona del
Presidente del C.d.A. e legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato_ in ROMA VIA
TEODOSIO MACROBIO 3, presso lo studio dell’avvocato
GIUSEPPE NICCOLINI, che lo rappresenta e

difende

Data pubblicazione: 15/05/2015

unitamente all’avvocato ENZO BARAZZA giusta delega a
margine;
controricorrente

avverso la sentenza n. 50/2008 della COMM.TRIB.REG.
di TRIESTE, depositata il 12/09/2008;

udienza del 31/03/2015 dal Consigliere Dott. ANTONIO
VALITUTTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato DE BONIS che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato BARAZZA che
ha chiesto l’inammissibilità 4rigetto

racrm

;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

RITENUTO IN FATTO.
1. A seguito di processo verbale di constatazione del 19.11.2003,
veniva notificato alla società Danieli & C. Officine Meccaniche s.p.a.,
in data 16.9.2004, un avviso di accertamento, con il quale l’Ufficio
recuperava a tassazione, per l’anno 2001, la maggiore IVA dovuta
in conseguenza dell’errata applicazione del regime di sospensione di

1972, in relazione a spese per il trasporto di persone, non detraibili
ai sensi dell’art. 19 bisl, co. 1, lett. e) del decreto cit., nonché ai
costi relativi all’appalto per l’ampliamento di un capannone industriale preesistente, ritenuti dall’Ufficio rientranti nei costi per cessioni di immobili, estranei al regime in questione.
2. L’atto impositivo veniva impugnato dalla contribuente dinanzi alla
CTP di Udine, che accoglieva parzialmente il ricorso, limitatamente
alla ripresa concernente le spese di appalto, ritenute rientranti nel
plafond di cui all’art. 8 cit.
3. L’appello principale proposto dall’Agenzia delle Entrate veniva,
.> / 77′?1E-S7E-del pari, rigettato dalla CTR t1511WISSIM, con sentenza n.
50/10/2008, depositata il 12.9.2008, con la quale il giudice di seconde cure riteneva che le prestazioni relative all’appalto immobiliare non fossero riconducibili a quelle di cessione di immobili, escluse
dal regime di sospensione dell’IVA, trattandosi di mere prestazioni
di servizi. La medesima decisione accoglieva, per contro, l’appello
incidentale proposto dalla contribuente, reputando sussistere agli
atti la prova che le spese di trasporto rientrassero nei costi per il
noleggio di autovetture con autista, come tali detraibili e, perciò,
suscettibili di essere ricomprese nel plafond di cui all’art. 8 del
d.P.R. n. 633 del 1972.
4. Per la cassazione della sentenza n. 50/10/2008 ha proposto,
quindi, ricorso l’Agenzia delle Entrate nei confronti della Danieli & C.
Officine Meccaniche s.p.a., affidato a due motivi. La resistente ha
replicato con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO

imposta, ai sensi dell’art. 8, co. 1, lett. c) del d.P.R. n. 633 del

,

2

1. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate denuncia la
violazione e falsa applicazione dell’art. 8, co. 1, lett c) del d.P.R. n.
633 del 1972, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.
1.1. Avrebbe, invero, errato la CTR nel ritenere – in relazione al rilievo concernente i costi relativi all’appalto per l’ampliamento di un
capannone industriale preesistente – che per cessione immobiliare,

n. 633 del 1972, dall’applicazione della sospensione di imposta sulle
cessioni effettuate ad esportatori abituali, come la società Danieli &
C. Officine Meccaniche s.p.a., debba intendersi solo il trasferimento
immobiliare realizzato con un atto espressamente rivolto a tale fine.
1.2. In realtà – a parere della ricorrente – ciò che rileverebbe, ai fini
dell’esclusione dell’operazione in parola dal regime di sospensione di
imposta, sarebbe la finalità concretamente realizzata dalla contribuente, consistente nell’acquisto di una porzione immobiliare ulteriore rispetto all’edificio di sua proprietà. Sicchè sarebbe irrilevante il
fatto che a tale acquisto si sia addivenuti, nella specie, mediante un
contratto di appalto finalizzato all’ampliamento del capannone industriale preesistente, atteso che tale strumento negoziale avrebbe
comunque prodotto il risultato, sia pure indiretto, di determinare il
passaggio di proprietà del bene realizzato in capo alla società committente.
1.3. Il motivo è infondato.
1.3.1. Va premesso, al riguardo, che la disciplina nazionale delle
operazioni relative a scambi con Paesi che si trovino fuori del territorio dell’Unione Europea, come configurata dall’art. 8 del d.P.R.
633 del 1972, è ispirata al principio della detassazione dei beni “in
uscita” dal territorio comunitario, e dell’applicazione dell’IVA italiana
a quelli “in entrata”. E tuttavia, al fine di conciliare l’esenzione da
IVA delle operazioni di cessione di beni destinati al consumo
all’estero, e non in territorio nazionale (altrimenti facenti carico

al

cedente, ai sensi degli artt. 7 e 17 del decreto cit.), con il diritto essenziale nel sistema comunitario dell’IVA – alla detrazione

espressamente esclusa, ai sensi dell’art. 8, co., 1, lett. c) dei d.P.R.

dell’imposta sugli acquisti (art. 19 del decreto cit.), il legislatore ha
introdotto talune operazioni concretamente non imponibili, sebbene
astrattamente assoggettabili ad imposta. Ed infatti, benché l’ultimo
comma dell’art. 7 del d.P.R. 633 del 1972 – nella formulazione applicabile alla fattispecie concreta ratione temporis – preveda che
“non si considerano effettuate nel territorio dello Stato le cessioni

unanime non ha mancato di evidenziare l’improprietà della disposizione, atteso che le operazioni fuori del campo di applicazione
dell’IVA per difetto di territorialità non devono essere confuse con le
operazioni non imponibili in concreto – come, per l’appunto, le cessioni all’esportazione – per le quali il presupposto territoriale, a differenza delle prime, si realizza, come conferma il loro assoggettamento agli obblighi formali di fatturazione, dichiarazione, ecc.
1.3.2. A tal riguardo, il menzionato art. 8 d.P.R. 633/72 individua
come cessioni all’esportazione, come tali non imponibili, le cessioni
– anche tramite commissionario – di beni che siano trasportati o
spediti fuori del territorio comunitario, a cura o in nome del cedente
o del suo commissionario (lett. a), oppure a cura o per conto del
cessionario, purchè questi non sia residente e l’invio avvenga entro
90 giorni dalla consegna (lett. b). Tali disposizioni trovano, peraltro,
la loro fonte diretta, a livello comunitario, nel combinato disposto
degli artt. 15, co. 1 e 3, cc. 1 della VI Direttiva 77/388/CEE del
17.5.1977 (applicabile al caso di specie ratione temporis), a norma
dei quali gli Stati membri esentano dall’IVA le cessioni di beni spediti
o trasportati dal venditore o per suo conto fuori del territorio della
Comunità Europea (ora Unione Europea). E l’obiettivo dell’esenzione
in parola risiede nella volontà comunitaria – di cui è applicazione il
suindicato sistema italiano di detassazione dei beni in uscita – di
non assoggettare ad IVA i consumatori degli Stati terzi, essendo
detta imposta destinata a gravare esclusivamente sui consumatori
della Comunità Europea (cfr. C. Giust. 2.8.1993, C-111/92, Lange).
Tale esenzione – ma sempre senza limitare il diritto alla detrazione

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all’esportazione (…) di cui ai successivi artt. 8, 8 bis e 9”, la dottrina

dell’IVA – è, inoltre, attualmente prevista anche dagli artt. 146-165
della successiva Direttiva 2006/112/CE.
1.3.3. Ma la norma succitata – ed è questa la previsione che rileva
nel presente giudizio – considera, altresì, non imponibili (lett. c),
sebbene si tratti, in tale ipotesi, di acquisti di merci o prestazioni di
servizi destinati ad entrare nel territorio comunitario, anche le ces-

di servizi fatte a soggetti che abbiano effettuato abitualmente cessioni all’esportazione od operazioni intracomunitarie, e chiedano al
loro fornitore di non applicare l’imposta sull’operazione di acquisto
e/o di importazione. La rado di tale previsione è di agevole comprensione, ove si consideri che – come dianzi detto – le suindicate
operazioni non imponibili (cessioni all’esportazione ed operazioni
intracomunitarie) non limitano la detrazione dell’imposta sugli acquisti. Sicchè i soggetti che effettuino solo, o prevalentemente
(esportatori abituali), operazioni di tal fatta, finirebbero per trovarsi
costantemente in credito con l’Erario, giacchè l’esiguità delle operazioni imponibili compiute (a debito, ai sensi dell’art. 17, cc. 1 del
d.P.R. n. 633 del 1972) non varrebbe a compensare quella sugli
acquisti (a credito, ai sensi dell’art. 19, co. 1 del decreto cit.).
Pertanto, per limitare l’inconveniente che deriverebbe – sul piano
dell’economia nazionale – dal porre taluni operatori in permanente
attesa del rimborso dell’ eccedenza di imposta, il legislatore consente loro di effettuare acquisti senza applicazione dell’IVA, includendo
tra le operazioni non imponibili anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi compiute nei loro confronti, sia pure subordinatamente al riscontro, da parte dell’Ufficio, della sussistenza dei rigorosi presupposti previsti dal co. 2 dell’art. 8 del d.P.R. n. 633 del
1972.
1.3.4. Tutto ciò premesso in via di principio, va rilevato che la non
estensibilità del regime di sospensione di imposta, sopra descritto,
alle cessioni di “fabbricati” e di “aree edificabili”, si spiega agevol-

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sioni di beni (tranne i fabbricati e le aree edificabili) e le prestazioni

a

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_

mente, ove si consideri che si tratta, com’è del tutto evidente, di
beni estranei alle esportazioni, cui si riferisce la norma succitata.
Il punto controverso nel presente giudizio si incentra, tuttavia, sul
concetto di “cessione” immobiliare, richiamato dalla norma succitata, ritenendosi dall’Amministrazione finanziaria che in essa rientri
qualsiasi operazione negoziale che determini comunque, come nel

– per accessione ed incorporazione – di un’ulteriore porzione immobiliare, che vada ad aggiungersi ad un bene che già gli apparteneva.
E ciò, ad avviso della ricorrente, anche se l’acquisto non avvenga
mediante un atto direttamente finalizzato al trasferimento immobiliare.
1.3.5. La tesi non può essere condivisa.
1.3.6. Deve, invero, osservarsi, al riguardo, che, nel sistema comunitario dell’IVA, l’art. 2, paragrafo 1, della VI Direttiva n.
388/77/CEE – applicabile alla fattispecie concreta ratione temporis stabilisce che “sono soggette alli imposta sul valore aggiunto : 1. le
cessioni di beni e le prestazioni di servizi , effettuate a titolo oneroso
all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto
tale”. Inoltre, l’art. 5, paragrafo 1, della medesima Direttiva prevede
che “si considera « cessione di bene» il trasferimento del potere di
disporre di un bene materiale come proprietario”. Infine, a norma
dell’art. 11, A, paragrafo 1, sempre della Direttiva in esame, 1 . La
base imponibile, per le forniture di beni e le prestazioni di servizi, è
costituita : “(…) da tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o
da versare al fornitore o al prestatore per tali operazioni da parte
dell’acquirente, del destinatario o di un terzo, comprese le sovvenzioni direttamente connesse con il prezzo di tali operazioni”.
1.3.6.1. Dal combinato disposto delle disposizioni succitate deve,
pertanto, inferirsi che nel sistema del diritto comunitario – fatte salve talune previsioni derogatorie, delle quali si dirà – la nozione di
“cessione di beni”, ai fini IVA, ricomprende qualsiasi operazione di
“trasferimento” di un bene materiale effettuata da una parte, che

caso dell’appalto, il passaggio della proprietà in capo al committente

,

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autorizza l’altra parte a disporre di tale bene come se ne fosse il
proprietario (cfr. C. Giust. 14.7.2005, C- 435/03, British American
Tobacco e Newman Shipping; C. Giust. 12.1.2006, C- 354/03,
355/03 e 484/03, Optigen; C. Giust. 21.2.2006, C- 255/02, Halifax;
C. Giust. 3.6.2010, C- 237/09, De Fruytier; C. Giust. 18.7.2013, C78/12, Evita-K; C. Giust. 21.11.2013, C- 494/12, Dixons Retail plc).

re effettuato “a titolo oneroso” evidenzia che, nel sistema sovranazionale, la cessione di beni postula – ai sensi del combinato disposto
degli artt. 2 ed 11 della VI Direttiva – un titolo attizio, costituito da
un negozio giuridico tra le parti implicante la stipulazione di un prezzo o di un controvalore, di guisa che il compenso ricevuto dal cedente costituisca il controvalore effettivo del bene ceduto al cessionatio (cfr. C. Giust. 21.11.2013, cit.). Con la conseguenza che devono intendersi fuori dal concetto di cessione quelle pattuizioni nelle
quali il prezzo corrisposto costituisca il corrispettivo del lavoro espletato, come nei casi dell’appalto e della prestazione d’opera.
Ed infatti, ai sensi dell’art. 5, paragrafo 5, della VI Direttiva, è rimessa esclusivamente alla discrezionalità degli Stati membri la possibilità di considerare cessioni di beni, equiparabili a quelle aventi un
titolo attizio, anche “a) la consegna di un lavoro eseguito in base ad
un contratto d’opera”, nonché “b) la consegna di taluni lavori immobiliari”.
1.3.7. L’ordinamento italiano non ha inteso effettuare tale equiparazione.
1.3.7.1. Va osservato, infatti, che l’art. 2 del d.P.R. n. 633 del 1972
definisce le cessioni di beni come “atti a titolo oneroso che importano trasferimento della proprietà ovvero costituzione o trasferimento
di diritti reali di godimento su beni di ogni genere”. Gli elementi essenziali della “cessione di beni” – così come prefigurata dalla normativa in tema di ‘IVA – sonò costituiti, dunque, dalla presenza di un
atto, dagli effetti giuridici traslativi o costitutivi di diritti, e dalla sua
onerosità. Se ne deve, pertanto, necessariamente inferire che non

1.3.6.2. Orbene, il riferimento ad un “trasferimento” che deve esse-

possono considerarsi “cessioni”, ai fini della normativa fiscale in
esame, gli acquisti a titolo originario di beni, come nel caso
dell’occupazione, usucapione, accessione o invenzione, attesa la
mancanza dell’atto traslativo a titolo oneroso, previsto dalla disposizione succitata.
1.3.7.2. Per converso, l’art. 3 del d.P.R.. n. 633 del 1972 definisce

dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di
fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte”.
Orbene, tale ultima previsione – con il riferimento espresso alle “obbligazioni di fare, di non fare e di permettere” – vale ad evidenziare
inequivocabilmente come l’essenza dei concetto di prestazione di
servizi si incentri sull’esecuzione di un obbligo che non sia di dare.
Sicché la specifica indicazione di taluni contratti tipici tra i quali
quello di appalto – che viene in considerazione nei caso di specie pur avendo certamente un valore esemplificativo, consente , tuttavia, se letta in combinato disposto con il riferimento alle obbligazioni
suindicate, di superare i dubbi sulla qualificazione proprio dei contratti d’opera e di appalto, il cui risultato può, in concreto, essere
l’acquisizione di un bene. L’elemento comune a tutte le figure contrattuali in questione, invero, sulla scorta dei dati testuali desumibili
dal citato art. 3, è da individuarsi – e, sul punto, l’opinione della
dottrina è unanime – nel conseguimento di un risultato riconducibile
ad un’attività di lavoro.
1.3.7.3. Da quanto suesposto consegue, dunque, che il riferimento,
operato dall’art. 8 del d.P.R. n. 633 del 1972, alle “cessioni” di beni
non può essere in alcun modo inteso – non essendosi l’ordinamento
nazionale avvalso della più ampia nozione di “cessione” autorizzata,
ai fini della disciplina dell’IVA, dal diritto comunitario – come riferibile anche agli acquisti a titolo originario, che prescindano dalla sussistenza di un atto negoziale specificamente destinato al passaggio di
proprietà del bene. La nozione di “cessione” recepita dal sistema

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le “prestazioni di servizi” come “le prestazioni verso corrispettivo

:

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nazionale dell’IVA (art. 2 del decreto cit.) è, invero, quella più ristretta, che intende, cioè, la cessione come un “trasferimento” operato in forza di un atto traslativo a titolo oneroso, nel quale il corrispettivo dell’alienazione rappresenti – come stabilito dal diritto comunitario – il controvalore effettivo del bene ceduto, e non il compenso per il lavoro effettuato, come nei contratti di appalto e di ope-

creto cit.).
1.4. Per tutte le ragioni esposte, il motivo in esame non può, di conseguenza, essere accolto.
2. Con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate denuncia
l’insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, in
relazione all’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c.
2.1. In relazione ai diverso rilievo concernente l’errata applicazione
del regime di sospensione di imposta, ai sensi dell’art. 8, co. 1, lett.
c) del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione alle spese per il trasporto
di persone, non detraibili ai sensi dell’art. 19 bis1, co. 1, lett. e) del
decreto cit., la motivazione dell’impugnata sentenza sarebbe, invero, del tutto incongrua ed anapodittica.
2.2. Il motivo è fondato.
2.2.1. Ed infatti, la motivazione omessa o insufficiente è configurabile in ogni caso in cui dal ragionamento del giudice di merito, come
risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione
di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della
medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla
base degli elementi acquisiti, al suo convincimento (Cass.S.U.
24148/2013).
2.2.2. Nel caso concreto, in relazione alla ripresa a tassazione in
parola, va rilevato che la sentenza di primo grado – trascritta nel
ricorso nelle sue parti essenziali, ai fini del rispetto del principio di
autosufficienza – aveva considerato, sulla base dell’esame del contratto in atti, le spese relative al trasporto di persone come effet-

ra, non a caso ricompresi tra le prestazioni di servizi (art. 3 del de-

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tuate, non nell’adempimento di un contratto di autonoleggio, con
conseguente loro detraibilità, bensì come spese di trasporto o di
rappresentanza, non detraibili ai sensi dell’art. 19 bis1, co. 1, lett.
e) del d.P.R. n. 633 del 1972, e perciò non ammesse all’applicazione
della sospensione di imposta ex art. 8 del medesimo decreto.
2.2.3. Ebbene, la CTR ha ritenuto “sufficientemente provato” che il

bilità delle relative spese. E tuttavia, la sentenza di appello non ha
indicato in alcun modo quale fosse la “documentazione probante”
che le aveva consentito di formulare tale conclusione, superando le
risultanze del contratto in atti.
2.3. La censura va, di conseguenza, accolta.
3. L’accoglimento del secondo motivo di ricorso comporta la cassazione dell’impugnata sentenza, con rinvio ad altra sezione della CTR
del Friuli Venezia Giulia, che procederà a nuovo esame della controversia, motivando adeguatamente in ordine alla questione suesposta.
4. Il medesimo giudicante provvederà, infine, alla liquidazione delle
spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il primo; cassa
l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto, con rinvio ad
altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del
presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 31.3.2015.

servizio in questione fosse di autonoleggio, con conseguente detrai-

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