Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9967 del 20/04/2017

Cassazione civile, sez. un., 20/04/2017, (ud. 11/04/2017, dep.20/04/2017),  n. 9967

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente aggiunto –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di sez. –

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente di sez. –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

GESTORE DEI SERVIZI ENERGETICI s.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in forza di

procura speciale in calce al ricorso, dall’Avvocato Carlo

Malinconico, con domicilio eletto nel suo studio in Roma, corso

Vittorio Emanuele II, n. 284;

– ricorrente –

contro

PUNTA CUGNO SOLARE s.r.l., in persona dell’amministratore unico e

legale rappresentante nonchè in persona dell’amministratore

giudiziario e legale rappresentante della società FA.MEC. s.r.l.,

rappresentata e difesa, in forza di procura speciale in calce al

controricorso, dagli Avvocati Francesco Saverio Marini ed Ernesto

Sticchi Damiani, con domicilio eletto nello studio del primo in

Roma, via di Villa Sacchetti, n. 9;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Consiglio di Stato n. 2006/16 depositata in

data 18 maggio 2016;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica dell’11

aprile 2017 dal Consigliere Alberto Giusti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale ZENO Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso;

uditi gli Avvocati Carlo Malinconico e Francesco Saverio Marini.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Il Gestore dei Servizi Energetici s.p.a. (d’ora in poi anche GSE) ha disposto la decadenza della società Punta Cugno Solare s.r.l. – titolare di un impianto fotovoltaico sito in (OMISSIS) – dal diritto alle tariffe incentivanti di cui al D.M. 5 maggio 2011 e l’annullamento in autotutela del provvedimento di ammissione agli incentivi, con conseguente recupero delle somme percepite.

Il provvedimento di decadenza e di annullamento in autotutela si fonda sulla non riferibilità delle certificazioni presentate dalla dante causa della società, ai fini del riconoscimento della tariffa incentivante e del premio per la produzione europea dei pannelli, ai moduli effettivamente installati sull’impianto, e dunque sulla falsità delle dichiarazioni rese e sulla non veridicità dei dati forniti per l’ammissione agli incentivi.

2. – Il ricorso giurisdizionale avverso il provvedimento di decadenza è stato rigettato dal TAR del Lazio con sentenza n. 11706 del 15 ottobre 2015, con cui si è rilevato che il D.Lgs. 3 marzo 2011, n. 28, espressamente richiamato dal D.M. 5 maggio 2011, art. 21, comma 2, implica un automatismo tra la presentazione di dati o documenti falsi ovvero non veritieri, da parte del soggetto istante, e la sua decadenza dalle tariffe incentivanti, non rilevando l’elemento soggettivo della condotta posta in essere dal responsabile della violazione.

3. – Con sentenza resa pubblica mediante deposito in segreteria il 18 maggio 2016, il Consiglio di Stato ha accolto l’appello della società Punta Cugno Solare e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, ha annullato il provvedimento emesso dal Gestore, ai sensi e per gli effetti di cui in motivazione.

3.1. – Il Consiglio di Stato evidenzia che tanto il D.M. 5 maggio 2011 quanto il D.Lgs. n. 28 del 2011 richiedono, al fine dell’emanazione dei provvedimenti di decadenza dagli incentivi e di recupero delle somme eventualmente già erogate, che la violazione riscontrata attraverso la procedura di verifica degli impianti debba risultare “rilevante” ai fini del riconoscimento dell’incentivo.

Il giudice amministrativo di ultima istanza sottolinea che, a norma dell’art. 21, comma 2 citato D.M., “l’accertamento della non veridicità di dati e documenti o della falsità di dichiarazioni, resi dai soggetti responsabili” comporta “la decadenza dal diritto alla tariffa incentivante” nei (soli) casi in cui le dichiarazioni siano state fornite “ai fini dell’ottenimento delle tariffe incentivanti” e pertanto non qualora, come nella fattispecie, la non veridicità dei dati sia dipesa da un errore formale – tra l’altro, nemmeno commesso dall’istante – la cui assenza non avrebbe in ogni caso modificato l’esito della procedura di incentivazione dell’impianto; e ricorda che, allo stesso modo, il D.Lgs. n. 28 del 2011, art. 42, comma 3, statuisce espressamente che il GSE possa disporre il rigetto dell’istanza ovvero la decadenza dagli incentivi “nel caso in cui le violazioni riscontrate nell’ambito dei controlli di cui ai commi 1 e 2 siano rilevanti ai fini dell’erogazione degli incentivi”.

Ne deriva, secondo il Consiglio di Stato, con ragionamento a contrario, che qualora le violazioni rilevate dal Gestore non risultino rilevanti ai fini dell’ottenimento delle tariffe incentivanti, le stesse non possano essere oggetto di procedura repressiva.

Secondo il giudice amministrativo d’appello, il Gestore per i Servizi Energetici, qualora riscontri, in sede di verifica ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2011, art. 42inesattezze dei dati forniti dai soggetti partecipanti alle procedure per riconoscimento di incentivi per la produzione di energia, deve procedere ad una apposita valutazione – nel caso di specie, non svolta – sulla rilevanza di tali violazioni, e non procedere direttamente e automaticamente al rigetto della relativa istanza (ovvero, alla decadenza del soggetto dagli incentivi e al recupero delle somme eventualmente già erogate).

D’altra parte – prosegue il Consiglio di Stato – l’appellante aveva già prodotto in primo grado una perizia tecnica di parte, a firma dell’ing. F., comprovante la conformità dei moduli installati nell’impianto di proprietà della Punta Cugno con la normativa CEI/EN 61215, e pertanto il rispetto dei parametri tecnici richiesti dal D.M. 5 maggio 2011 per l’accesso agli incentivi. Tale perizia, rimasta incontestata dall’appellato, risulta, ad avviso del giudice amministrativo, sufficientemente chiara nel senso della “non rilevanza” delle violazioni commesse dalla Punta Cugno nell’ambito della procedura di riconoscimento degli incentivi.

Di qui l’annullamento, appunto, del provvedimento emesso dal GSE, esclusa la (non contestata) decadenza da parte di Punta Cugno Solare s.r.l. dalla maggiorazione della tariffa incentivante (10%), prevista dal D.M. 5 maggio 2011, art. 14, comma 1, lett. d).

4. – Per la cassazione della sentenza del Consiglio di Stato il Gestore dei Servizi Energetici ha proposto ricorso, con atto notificato il 12 settembre 2016, sulla base di due motivi.

L’intimata società Punta Cugno Solare ha resistito con controricorso.

In prossimità dell’udienza il Gestore ha presentato una memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il Gestore ha denunciato difetto di giurisdizione (art. 360 c.p.c., n. 1, e art. 110 cod. proc. amm.) per violazione dei limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo con riferimento al D.Lgs. n. 28 del 2011, art. 42 al D.M. 5 maggio 2011, art. 21, agli artt. 1, 11 e all’Allegato 1 del D.M. 31 gennaio 2014 (c.d. decreto controlli), nonchè violazione dell’art. 81 Cost., comma 3, ed eccesso di potere giurisdizionale. Ad avviso del ricorrente, la rilevanza della violazione non è affidata alla qualificazione del giudice: la presentazione al GSE di dati non veritieri o di documenti falsi, mendaci o contraffatti, in relazione alla richiesta di incentivi sarebbe di per sè rilevante come violazione che impone al Gestore, a norma dell’art. 11, comma 1, del decreto controlli, il rigetto della domanda o la declaratoria di decadenza dall’incentivazione. Si tratterebbe di conseguenza legale del tutto proporzionata. Per il ricorrente, il giudice non potrebbe sostituire la sua qualificazione a quella definita dall’ordinamento, neppure sub specie di un’operazione interpretativa che trasmoda, invece, nella creazione di una regula iuris diversa da quella codificata dalla legge. Ad avviso del Gestore, il testo costituisce un limite all’attività interpretativa. Sarebbe evidente la gravità delle conseguenze di una diversa configurazione dei poteri amministrativi.

Essa porterebbe inevitabilmente alla mancanza di copertura finanziaria della legge.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che l’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore, denunciabile ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8, e dell’art. 362 c.p.c., è configurabile solo qualora il Consiglio di Stato abbia applicato, non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete. L’ipotesi non ricorre quando il giudice amministrativo si sia attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la voluntas legis applicabile nel caso concreto, anche se questa abbia desunto non dal tenore letterale delle singole disposizioni, ma dalla ratio che il loro coordinamento sistematico disvela, tale operazione ermeneutica potendo dar luogo, tutt’al più, ad un error in iudicando, non alla violazione dei limiti esterni del giudice speciale (Cass., Sez. U., 1 febbraio 2016, n. 1840; Cass., Sez. U., 21 marzo 2017, n. 7157; Cass., Sez. U., 27 marzo 2017, n. 7758; Cass., Sez. U., 10 aprile 2017, n. 9147).

Nella specie il Consiglio di Stato si è limitato a interpretare sistematicamente il D.Lgs. n. 28 del 2011, art. 42 (il cui comma 3 subordina il rigetto dell’istanza o la decadenza dagli incentivi alla circostanza che “le violazioni riscontrate nell’ambito dei controlli… siano rilevanti ai fini dell’erogazione degli incentivi”) e il D.M. 5 maggio 2011, art. 21 (che stabilisce la decadenza dal diritto alla tariffa incentivante nell’ipotesi di “accertamento della non veridicità di dati e documenti o della falsità di dichiarazione, resi dai soggetti responsabili ai fini dell’ottenimento delle tariffe incentivanti di cui al presente decreto”); e ne ha tratto la conclusione che tali disposizioni richiedono, al fine dell’emanazione del provvedimento di decadenza del Gestore, che il controllo non si fermi al mero riscontro della inesattezza, non veridicità o falsità di dichiarazioni e documenti forniti, ma si estenda all’accertamento che tali inesattezze o non veridicità abbiano comportato l’indebito accesso al regime di incentivazione, dovendo la violazione riscontrata attraverso la procedura di verifica degli impianti risultare “rilevante” ai fini del riconoscimento del beneficio.

Il principio affermato dal Consiglio di Stato – il non potersi avere decadenza dal diritto alla tariffa incentivante là dove la non veridicità dei dati sia dipesa da un errore formale la cui assenza non avrebbe in ogni caso modificato l’esito della procedura di incentivazione dell’impianto – è frutto di un’attività ermeneutica tutta interna al raggio di azione assegnato al giudice amministrativo: come tale, non concretizza l’assunta violazione dei limiti esterni della giurisdizione per invasione della competenza legislativa.

Non spetta a questa Corte sindacare l’esattezza o meno dell’interpretazione seguita dal Consiglio di Stato nell’impugnata sentenza e quindi stabilire se una corretta lettura delle norme di riferimento non imponga piuttosto di propendere per la non applicabilità dell’istituto del falso innocuo nelle procedure amministrative finalizzate all’erogazione degli incentivi per la produzione di energia rinnovabile, nelle quali l’esattezza e la veridicità delle dichiarazioni e l’autoresponsabilità nella presentazione di documenti sono già di per sè un valore da perseguire in relazione al principio di buon andamento della pubblica amministrazione.

Invero, un controllo di questa portata, sollecitato dal ricorrente sotto la formale deduzione del motivo inerente alla giurisdizione, eccede dall’ambito del sindacato delle Sezioni Unite, che – fatti salvi i casi del radicale stravolgimento delle disposizioni o dell’applicazione di una norma creata ad hoc (Cass., Sez. U., 31 maggio 2016, n. 11380) – non si estende al modo in cui la giurisdizione del giudice amministrativo è stata esercitata e non include, pertanto, una verifica delle scelte ermeneutiche del Consiglio di Stato suscettibili di comportare errores in iudicando (Cass., Sez. U., 17 gennaio 2017, n. 953; Cass., Sez. U., 30 marzo 2017, n. 8282).

2. – Il secondo mezzo lamenta difetto di giurisdizione sotto altro profilo per violazione dei limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo con riferimento al D.Lgs. n. 28 del 2011, art. 42, D.M. 5 maggio 2011, art. 21 agli artt. 1, 11 e all’Allegato 1 del D.M. 31 gennaio 2014 (c.d. decreto controlli), per eccesso di potere giurisdizionale con riferimento alla competenza tecnica riservata dalle norme al GSE in materia di verifica dei requisiti dell’incentivazione, nonchè violazione degli artt. 81 Cost., comma 3, e art. 97 Cost. Ad avviso del ricorrente, il Consiglio di Stato non sarebbe rimasto nei limiti della sua giurisdizione di legittimità, ma avrebbe censurato l’illegittimo esercizio di un controllo operato dal GSE sulla base degli elementi fornitigli dalla parte, sostituendo la valutazione del Gestore con quella di un tecnico privato (prodotta, oltre tutto, in giudizio), e così aggirando la competenza del GSE, che si esprime con atti formali e non attraverso le difese in giudizio.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

Occorre premettere che l’eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile sotto il profilo dello sconfinamento nella sfera del merito, è configurabile solo quando l’indagine svolta non sia rimasta nei limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato, ma sia stata strumentale a una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, esprima una volontà dell’organo giudicante che si sostituisce a quella dell’amministrazione, nel senso che, procedendo ad un sindacato di merito, si estrinsechi in una pronunzia autoesecutiva, intendendosi per tale quella che abbia il contenuto sostanziale e l’esecutorietà stessa del provvedimento sostituito, senza salvezza degli ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa. Le decisioni del giudice amministrativo, dunque, sono sindacabili per motivi inerenti alla giurisdizione quando detto giudice, eccedendo i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato e sconfinando nella sfera del merito riservato all’amministrazione, compia una diretta e concreta valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, esprima la volontà dell’organo giudicante di sostituirsi a quella dell’amministrazione, così esercitando una giurisdizione di merito in situazioni che avrebbero potuto dare ingresso soltanto a una giurisdizione di legittimità (dunque, all’esercizio di poteri cognitivi e non anche esecutivi) o che comunque ad essa non avrebbero potuto dare ingresso (Cass., Sez. U., 9 maggio 2011, n. 10065; Cass., Sez. U., 20 gennaio 2014, n. 1013; Cass., Sez. U., 23 dicembre 2014, n. 27341; Cass., Sez. U., 21 marzo 2017, n. 7156).

Nella specie deve escludersi che il Consiglio di Stato abbia sconfinato nella sfera del merito riservata al GSE: lungi dal compiere una valutazione in ordine all’opportunità o alla convenienza del provvedimento di decadenza adottato dal Gestore, il Consiglio di Stato ha esercitato il proprio sindacato di legittimità sull’atto impugnato in sede giurisdizionale, verificando, anche attraverso la valutazione delle risultanze processuali, la conformità di esso alla normativa di riferimento.

Il giudice amministrativo ha infatti affermato che il Gestore aveva adottato direttamente ed automaticamente il provvedimento di decadenza del soggetto dall’incentivo, sul mero riscontro, in sede di verifica ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2011, art. 42 delle inesattezze dei dati forniti dal soggetto partecipante alla procedura per il riconoscimento dell’incentivo, senza procedere, come invece avrebbe dovuto, all’apposita valutazione sulla rilevanza di tale violazione. Nell’aggiungere, poi, che la non rilevanza delle violazioni commesse dalla Punta Cugno risultava in concreto dalla consulenza tecnica di parte, non contestata dal Gestore, comprovante la conformità dei moduli installati con la normativa CEI/EN 61215, il Consiglio di Stato, senza esprimere un’attività dell’organo giudicante sostitutiva di quella dell’amministrazione, è rimasto entro i confini dell’effettuazione di un sindacato giurisdizionale di mera legittimità, ancorato al riscontro del rispetto dei parametri tecnici richiesti dal D.M. 5 maggio 2011 per l’accesso agli incentivi (cfr. Cass., Sez. U., 28 maggio 2012, n. 8412; Cass., Sez. U., 16 luglio 2014, n. 16239).

Anche sotto questo profilo, il ricorrente contesta in realtà la legittimità del concreto esercizio delle funzioni giurisdizionali attribuite al giudice amministrativo, e quindi finisce con il sollecitare, al di là della prospettazione formale, un sindacato per violazione di legge.

3. – Il ricorso è dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

4. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

dichiara il ricorso inammissibile;

condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 5.200, di cui Euro 5.000 per compensi, oltre a spese generali nella misura del 15% e ad accessori di legge;

dichiara – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2017

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