Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9967 del 15/05/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 9967 Anno 2015
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: VALITUTTI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 22205-2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato, in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lickrappresenta e difende;
– ricorrente 2015
1292

contro
FALLIMENTO CEREAL MOLISE SRL in persona del Curatore
fallimentare pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA VIA A. GRAMSCI

34, presso lo studio

dell’avvocato VINCENZO IOFFREDI, rappresentato e
difeso dall’avvocato FRANCESCO MANCINI giusta delega

Data pubblicazione: 15/05/2015

a margine;
controricorrente

avverso la sentenza n. 59/2008 della COMM.TRIB.REG.
di CAMPOBASSO, depositata il 14/07/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
ANTONIO

VALITUTTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato DE BONIS che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato MANCINI che
ha chiesto la chiusura del procedimento per avvenuto
fallimento;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso in via
principaleVngetto del

10 motivo 5R. accoglimento del

resto, in subordineeaccoglimento del controricorso.

udienza del 31/03/2015 dal Consigliere Dott.

RITE N UTO IN FATTO.
1. A seguito di processo verbale di constatazione del 26.3.2001,
venivano notificati al Fallimento Cereal Molise s.r.l. due avvisi di accertamento, con i quali l’Ufficio recuperava a tassazione, per gli anni
1997 e 1998, costi non deducibili, poiché non documentati e non di
competenza degli esercizi in questione, ai fini delle imposte dirette,

registrate e quella indebitamente rimborsata, nonostante l’omessa
presentazione della dichiarazione da parte del curatore, ai sensi degli artt. 30 e 74 bis del d.P.R. n. 633 del 1972.
2. Gli atti impositivi veniva impugnati dal contribuente – con separati ricorsi – dinanzi alla CTP di Campobasso, che li accoglieva, dopo
averli riuniti.
3. L’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate veniva, altresì, rigettato dalla CTR del Molise, con sentenza n. 59/3/2008, depositata
il 14.7.2008, con la quale il giudice di seconde cure riteneva intrasmissibili alla massa dei creditori le sanzioni irrogate per violazioni
fiscali imputabili alla società contribuente, e – dunque – sfornito di
legittimazione passiva il curatore fallimentare con riferimento a dette sanzioni, e reputava infondato il gravame dell’Ufficio in ordine ai
costi ritenuti non deducibili.
4. Per la cassazione della sentenza n. 59/3/2008 ha proposto, quindi, ricorso l’Agenzia delle Entrate, affidato a tre motivi. Il fallimento
resistente ha replicato con controricorso.
5. Con nota del 27.3.2015, il difensore del Fallimento Cereal Molise
s.r.l. ha comunicato a questa Corte l’intervenuta chiusura della procedura fallimentare, disposta dal Tribunale di Campobasso con decreto del 13.6.2013.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. In via pregiudiziale, rileva la Corte che nessuna conseguenza può
annettersi alla comunicazione, effettuata via telefax direttamente a
questa Corte, dell’intervenuta chiusura del fallimento resistente.

nonché !IVA indebitamente detratta su fatture non regolarmente

n

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1.1. E’ bensì vero, infatti, che la chiusura del fallimento, pur privando il curatore della capacità di stare in giudizio, non comporta neppure una successione nel processo, ai sensi dell’art. 110 c.p.c. che, peraltro non è espressamente esclusa per il processo di legittimità, né appare incompatibile con le forme proprie dello stesso
(Cass. S.U. 9692/2013; 21729/2013) – ma il mero riacquisto della
capacità processuale in capo al soggetto già dichiarato fallito, con la
conseguenza che è ben possibile la prosecuzione del processo iniziato dal curatore fallimentare da parte dell’imprenditore tornato

“in

bonis” (Cass. 21729/2013). E tuttavia, il soggetto che ivi intenda
proseguire il procedimento, quale successore a titolo universale di
una delle parti già costituite, deve allegare e documentare, tramite
le produzioni consentite dall’art. 372 c.p.c., tale sua qualità, attraverso un atto che, assumendo la natura sostanziale di un intervento, sia partecipato alla controparte mediante notificazione, al fine di
assicurarle il contraddittorio sulla sopravvenuta innovazione soggettiva, consistente nella sostituzione della legittimazione della parte
originaria, non essendone, invece, sufficiente il semplice deposito
nella cancelleria della Corte, come per le memorie di cui all’art. 378
c.p.c. (Cass.S.U. 9692/2013).
1.2. Nel caso di specie, per contro, la difesa del fallimento resistente
si è addirittura limitata ad una mera comunicazione informale effettuata, peraltro, direttamente ed esclusivamente alla Corte dell’evento sopravvenuto che priverebbe la procedura fallimentare
della legittimazione a stare in giudizio, senza che la società tornata
in bonis si sia neppure costituita, documentando, nelle forme di cui
all’art. 372 c.p.c., l’intervenuta chiusura del fallimento e la propria
legittimazione a proseguire il processo. Ne consegue che siffatta
comunicazione, in difetto di una formale costituzione in giudizio della società fallita, tornata in bonis, è del tutto ininfluente ai fini della
prosecuzione del processo in corso, che non può che continuare,
pertanto, tra le parti originarie.

A ,

s.,

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2. Premesso quanto precede, va rilevato che, con il primo motivo di
ricorso, l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 ed 11 del d.igs. n. 472 dei 1997, in relazione
all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.
2.1. Si duole la ricorrente del fatto che la CTR abbia ritenuto che il
principio cd. della personalizzazione delle sanzioni incida sulla legit-

della potestà sanzionatoria dell’Ufficio, laddove il fallimento – a parere dell’Amministrazione istante – non costituirebbe una causa di
non trasmissibilità delle sanzioni fiscali conseguenti a condotte poste
in essere dall’imprenditore, poi sottoposto a procedura concorsuale.
2.2. Il motivo è fondato.
2.2.1. Va osservato, infatti, che, in tema di sanzioni pecuniarie per
violazioni delle leggi tributarie, qualora il contribuente sia stato dichiarato fallito, l’avvenuta irrogazione della sanzione per il mancato
pagamento di un debito d’imposta, sorto in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento, esclude la rilevanza di qualsiasi considerazione attinente all’elemento soggettivo della violazione ed all’impossibilità per il curatore di effettuare il pagamento a favore di singoli
creditori in lesione della “par condicio creditorum”. Deve considerarsi, infatti, che, la sanzione trova il suo presupposto in una violazione
commessa quando l’imprenditore era ancora

“in bonis”, e che la

soddisfazione del relativo credito deve, comunque, avere luogo secondo le regole del concorso (Cass. 25606/2006; 21078/2011).
2.2.2. Ne discende che, nel caso concreto, ha errato la CTR
nell’escludere – sulla base di un’errata applicazione del principio di
personalizzazione delle sanzioni – la legittimazione passiva della curateia in ordine alle sanzioni irrogate dall’Ufficio, non potendo queste ultime “essere sopportate dalla massa dei creditori incolpevoli”.
Ed invero, il regime sanzionatorio in discussione trova innegabilmente il presupposto in violazioni commesse della società quando
era ancora in bonis, atteso che si tratta di violazioni commesse negli
anni di imposta 1997 e 1998, mentre il fallimento della Cerea! Moli-

timazione passiva della curatela, escludendola, rispetto all’esercizio

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se s.r.l. è stato dichiarato – come si evince dalla stessa decisione
impugnata – con sentenza n. 6/2001 del 26.1.2001. Sicchè è del
tutto fuori luogo il riferimento, operato dalla decisione di appello,
alla mancanza di una colpevolezza imputabile alla massa dei creditori.
2.2.3. Né può ritenersi, che, in tal modo, venga posto in discussione

rum”, posto che – come dianzi detto – la soddisfazione del credito in
questione può avvenire, pendente la procedura fallimentare, solo
secondo le regole che disciplinano il concorso dei creditori, fatta salva la possibilità, nei caso – che sembra ricorrere nella specie – di
intervenuta chiusura della procedura, di farlo valere nei confronti
della contribuente ritornata in bonis.
2.3. La censura in esame va, pertanto, accolta.
3. Con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate denuncia
la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione
all’art. 360, co. 1, n. 4 c.p.c.
3.1. L’impugnata sentenza avrebbe, invero, del tutto omesso di
pronunciarsi sul motivo di appello, proposto dall’Agenzia delle Entrate, concernente il disconoscimento del rimborso dell’IVA per l’anno
1998 – riconosciuto, invece, in prime cure – per l’inottemperanza
del curatore all’obbligo di cui all’art. 74 bis del d.P.R. n. 633 del
1972.
3.2. Il motivo è fondato.
3.2.1. Va osservato, infatti, che – affinché possa utilmente dedursi
in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia – è necessario,
da un lato, che ai giudice di merito fossero state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, e, dall’altro, che tali
domande o eccezioni siano state riportate puntualmente, nei loro
esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell’autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o
del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte. Tanto al fine di consentire al giudice di legittimità di verificarne,

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il fondamentale principio del rispetto della “par condicio credito-

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in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la
decisività (Cass.S.U. 15781/2005; Cass. 1732/2006; 2138/2006;
5344/2013).
3.2.2. Entrambi i presupposti suindicati devono ritenersi sussistenti
nei caso di specie. Ed infatti, la ricorrente, nel rispetto del principio
di autosufficienza, ha trascritto nel ricorso l’atto di appello, nella

sione di primo grado, per avere la CTP ritenuto di riconoscere il diritto della contribuente al rimborso, nonostante il mancato adempimento, da parte del curatore, degli obblighi di cui all’art. 74 bis del
d.P.R. n. 633 del 1972. E tuttavia, in ordine a tale domanda
dell’Ufficio l’impugnata sentenza non spende una parola, neppure
per disattenderla.
3.3. La censura va, di conseguenza, accolta.
4. Con il terzo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate denuncia la
violazione e falsa applicazione degli artt. 132 c.p.c. e 36 del d.lgs. n.
546 del 1992, in relazione all’art. 360, cc. 1, n. 4 c.p.c.
4.1. rn ordine al rilievo concernente i costi considerati dall’Ufficio
non deducibili, poiché non documentati o non di competenza degli
esercizi in contestazione, riproposto come motivo di appello a fronte
dell’omessa pronuncia del giudice di prime. cure sul punto, la decisione della CTR – a parere della ricorrente – sarebbe affetta da nullità, per carenza assoluta di motivazione.
4.2. La censura è fondata.
4.2.1. Il difetto di motivazione su questioni di fatto rientra, invero,
nella violazione di legge, che legittima la proposizione del ricorso
per cassazione ex art. 111, co. 6, Cost., quando si traduca nella radicale carenza della motivazione, ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la “rado decidendi” (motivazione
apparente), o fra di loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente incomprensibili, e sempre che i relativi vizi
emergano dal provvedimento stesso (Cass.S.U. 5888/1992; S.U.
319/1999; Cass. 26426/2008). Né può sottacersi l’incidenza che

parte in cui l’Amministrazione appellante aveva censurato la deci-

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siffatta carenza motivazionale dispiega, altresì, sulla concreta possibilità di un pieno e consapevole esercizio del diritto di difesa (art. 24
Cost.), nei diversi gradi nei quali si articola il giudizio, essendo di
tutta evidenza che una motivazione poco chiara rende ardua anche
la possibilità di proporre un gravame adeguato alla tutela dei diritti
della parte rimasta soccombente.
4.2.2. Orbene, nel caso concreto, la motivazione dell’impugnata
sentenza, sul punto controverso relativo ai rilievi attinenti ai costi
non riconosciuti, si riduce alla laconica ed apodittica affermazione
secondo cui, “pur dovendosi convenire con l’appellante che alcuna
pronuncia è stata resa dal primo giudice” in relazione a tale questione, “tuttavia nel merito non può trovare accoglimento quanto dedotto dall’Ufficio”. Ebbene, non è revocabile in dubbio che la totale
carenza di un coerente ed autonomo iter motivazionale, che tenga
conto, nella decisione di rigetto del gravame, delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello proposti
dall’Amministrazione finanziaria, e che si risolve unicamente in una
acritica adesione alla tesi della contribuente, non può che integrare
una radicale carenza di motivazione, censurabile anche sotto il profilo della violazione delle disposizioni normative succitate.
4.3. Il motivo va, di conseguenza accolto.
5. L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione dell’impugnata
sentenza, con rinvio ad altra sezione della CTR del Molise, che procederà a nuovo esame della controversia, pronunciando su tutti i
motivi di appello dell’Agenzia delle Entrate e motivando adeguatamente in ordine a tutte le questioni suesposte. Il giudice di rinvio si
atterrà, inoltre, al seguente principio di diritto: “in tema di sanzioni
pecuniarie per violazioni delle leggi tributarie, qualora il contribuente
sia stato dichiarato fallito, l’avvenuta irrogazione della sanzione per
il mancato pagamento di un debito d’imposta, sorto in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento, esclude la rilevanza di qualsiasi
considerazione attinente all’elemento soggettivo della violazione ed
all’impossibilità per il curatore di effettuare il pagamento a favore di

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singoli creditori in lesione della “par candido creditorum”, trovando
la sanzione il suo presupposto in una violazione commessa quando
l’imprenditore era ancora “in bonis”, e dovendo la soddisfazione del
relativo credito avere luogo secondo le regole del concorso”.
6. Il medesimo giudicante provvederà, infine, alla liquidazione delle
spese del presente giudizio di legittimità.

La Corte Suprema di Cassazione;
accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza con rinvio ad altra
sezione della Commissione Tributaria Regionale del Moiise, che
provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria il 31.3.2015.

P.Q.M.

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