Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9967 del 15/04/2021
Cassazione civile sez. VI, 15/04/2021, (ud. 10/03/2021, dep. 15/04/2021), n.9967
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCCI Mauro – Presidente –
Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –
Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –
Dott. RAGONESI Vittoro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28468/2019 R.G., proposto da:
Roma Capitale, (già Comune di Roma), in persona del Sindaco pro
tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Antonio Ciavarella, con
studio in Roma, ove elettivamente domiciliata, giusta procura in
calce al ricorso introduttivo del presente procedimento;
– ricorrente principale –
contro
l'”Istituto Suore Crocefisse Adoratrici dell’Eucarestia”, con sede in
(OMISSIS) (NA), in persona della Madre Superiora pro tempore,
rappresentato e difeso dall’Avv. Vincenzo Francesco Sbrescia, con
studio in Napoli, elettivamente domiciliato presso l’Avv. Francesco
Attianese, con studio in Roma, giusta procura in calce al
controricorso di costituzione nel presente procedimento;
– controricorrente/ricorrente incidentale –
avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale
del Lazio il 26 febbraio 2019 n. 1083/07/2019, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata (mediante collegamento da remoto, ai sensi del D.L. 28
ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 9, convertito nella L. 18
dicembre 2020, n. 176, con le modalità stabilite dal decreto reso
dal Direttore Generale dei Servizi Informativi ed Automatizzati del
Ministero della Giustizia il 2 novembre 2020) del 10 marzo 2021 dal
Dott. Giuseppe Lo Sardo.
Fatto
RILEVATO
CHE:
Roma Capitale ricorre per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio il 26 febbraio 2019 n. 1083/07/2019, non notificata, la quale, in controversia su impugnazione di avvisi di accertamento per l’I.C.I. relativa all’anno 2010 ed all’anno 2011 in relazione ad un fabbricato destinato a casa per ferie, ha parzialmente accolto l’appello proposto dall'”Istituto Suore Crocefisse Adoratrici dell’Eucarestia” nei suoi confronti avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Roma il 22 marzo 2017 n. 8355/16/2017, con compensazione delle spese giudiziali. Il giudice di appello ha riformato la decisione di prime cure nel senso di escludere l’applicazione delle sanzioni pecuniarie amministrative per l’incertezza degli orientamenti giurisprudenziali in materia, confermando, per il resto, il diniego dell’esenzione da I.C.I.. L'”Istituto Suore Crocefisse Adoratrici dell’Eucarestia” si costituisce con controricorso e propone ricorso in via incidentale avverso la medesima sentenza. Ritenuta la sussistenza delle condizioni per definire il ricorso con il procedimento ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la proposta redatta dal relatore designato è stata notificata ai difensori delle parti con il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte. In vista dell’odierna adunanza non sono state presentate memorie.
Diritto
CONSIDERATO
CHE:
CON RIGUARDO AL RICORSO PRINCIPALE.
Con unico motivo, si denuncia violazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, e del Reg. I.C.I. del Comune di Roma, art. 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente escluso l’irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie in ragione dell’incertezza oggettiva nell’interpretazione della normativa vigente in materia.
CON RIGUARDO AL RICORSO INCIDENTALE.
1. Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente negato l’esenzione da I.C.I., nonostante il requisito soggettivo di ente ecclesiastico, in relazione al presunto esercizio dell’attività ricettiva con modalità commerciali.
2. Con il secondo motivo, si denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e controverso tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver tenuto conto del carattere non commerciale dell’attività ricettiva in ragione dell’irrisorietà dei corrispettivi percepiti rispetto ai prezzi praticati sul mercato di (OMISSIS).
RITENUTO CHE:
CON RIGUARDO AL RICORSO PRINCIPALE.
1. Il motivo è fondato.
1.1 in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, alla stregua della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8, postula una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita non già ad un generico contribuente, nè a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata, nè all’amministrazione finanziaria, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione” (tra le altre: Cass., Sez. 6, 11 febbraio 2013, n. 3254; Cass., Sez. 5, 22 febbraio 2013, n. 4522; Cass., Sez. 5, 23 novembre 2016, n. 23845; Cass., Sez. 5, 4 maggio 2018, n. 10662; Cass., Sez. 5, 1 febbraio 2019, n. 3108; Cass., Sez. 6, 9 dicembre 2019, n. 32082).
Più in particolare, in tema di sanzioni amministrative tributarie, l’incertezza normativa oggettiva – che deve essere distinta dalla ignoranza incolpevole del diritto, come si evince dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, – è caratterizzata dalla impossibilità di individuare con sicurezza ed univocamente la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile e può essere desunta da alcuni “indici”, quali, ad esempio: 1) la difficoltà di individuazione delle disposizioni normative; 2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà; 5) l’assenza di una prassi amministrativa o la contraddittorietà delle circolari; 6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale; 8) il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) il contrasto tra opinioni dottrinali; 10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di una disposizione implicita preesistente (tra le altre: Cass., Sez. 5, 13 giugno 2018, n. 15452; Cass., Sez. 5, 18 gennaio 2021, n. 1893).
1.2 Nella specie, la sentenza impugnata ha giustificato l’esenzione dell’ente contribuente dalle sanzioni amministrative pecuniarie del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, ex art. 13, per l’omesso versamento dell’I.C.I. in relazione ad un’incertezza derivante dall’interpretazione del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i, in controversie pendenti dinanzi al medesimo giudice di merito.
Tuttavia, il riferimento a decisioni inerenti la destinazione parziale ad attività ricettiva di edifici appartenenti ad enti ecclesiastici esula dalla fattispecie in questione, in cui la destinazione ad attività ricettiva interessa l’edificio per l’intera consistenza. Inoltre, come si vedrà nell’esame dei motivi del ricorso incidentale, l’interpretazione della disposizione relativa all’esenzione da I.C.I. per gli enti non commerciali è stata tendenzialmente uniforme nella giurisprudenza di legittimità con riguardo alle attività previste dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87, comma 1, lett. c), (ivi compresa l’attività ricettiva).
Per cui, tenendo anche conto della funzione nomofilattica del giudice di legittimità, non si delinea la sussistenza degli estremi dell’incertezza oggettiva per giustificare l’esenzione dalla responsabilità amministrativa tributaria, alla stregua della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8.
CON RIGUARDO AL RICORSO INCIDENTALE.
1. Entrambi i motivi – la cui stretta ed intima connessione suggerisce l’esame congiunto – sono infondati.
1.1 Secondo il costante orientamento di questa Corte (vedansi, in motivazione: Cass., Sez. 5, 27 giugno 2019, n. 17256; Cass., Sez. 5, 11 marzo 2020, n. 6795; Cass., Sez. 5, 15 dicembre 2020, n. 28578), il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i, nel testo vigente dall’1 gennaio 2003 al 3 ottobre 2005, disponeva l’esenzione dall’I.C.I. per “gli immobili utilizzati dai soggetti di cui al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87, comma 1, lett. c), e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive”.
Tale disposizione è stata, in seguito, integrata e modificata dal D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 7, comma 2-bis, convertito, con modificazioni, nella L. 2 dicembre 2005, n. 281, che ha esteso l’esenzione alle attività indicate dalla medesima lettera a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse. Un’ulteriore modifica è, poi, intervenuta con il D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 39, convertito, con modificazioni, nella L. 4 agosto 2006, n. 248, che, sostituendo il D.L. 30 settembre 2005, n. 203, il citato art. 7, comma 2-bis, convertito, con modificazioni, nella L. 2 dicembre 2005, n. 281, ha stabilito che l’esenzione disposta dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i, si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera “che non abbiano esclusivamente natura commerciale”.
Occorre precisare, inoltre, che le condizioni dell’esenzione sono cumulative, nel senso che è richiesta la coesistenza, sia del requisito soggettivo riguardante la natura non commerciale dell’ente, sia del requisito oggettivo in forza del quale l’attività svolta nell’immobile deve rientrare tra quelle previste dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i; deve trattarsi, in particolare, di immobili destinati direttamente ed esclusivamente allo svolgimento di determinate attività, tra le quali quelle dirette all’esercizio del culto ed alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi e all’educazione cristiana (Cass., Sez. 5, 8 luglio 2016, n. 13966). Con riguardo alla verifica del requisito oggettivo è, pertanto, irrilevante, la destinazione degli utili eventualmente ricavati al perseguimento di fini sociali o religiosi; tale elemento, costituendo una fase successiva, non fa, infatti, venir meno l’eventuale carattere commerciale dell’attività (Cass., Sez. 5, 20 novembre 2009, n. 24500). Sotto il profilo della distribuzione degli oneri probatori è stato affermato, ed è un principio del tutto condiviso da questo collegio, che “il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza, in concreto, dei requisiti dell’esenzione, mediante la prova che l’attività cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti non sia svolta con le modalità di un’attività commerciale” (Cass., Sez. 5, 2 aprile 2015, n. 6711).
Sul diverso versante della compatibilità della norma in esame con il diritto dell’Unione Europea, da tempo si è affermato un orientamento di legittimità secondo cui l’esenzione prevista in favore degli enti non commerciali dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i, è compatibile con il divieto di aiuti di Stato sancito dalla normativa dell’Unione Europea solo qualora abbia ad oggetto immobili destinati allo svolgimento di attività non economica nei termini sopra precisati: cioè, quando l’attività sia svolta a titolo gratuito ovvero dietro il versamento di un corrispettivo simbolico (Cass., Sez. 5, 12 febbraio 2019, n. 4066; Cass., Sez. 5, 12 aprile 2019, n. 10288; Cass., Sez. 6, 10 settembre 2020, n. 18831).
Sul punto, questa Corte ha verificato se il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i, in tema di esenzione I.C.I., nelle sue diverse formulazioni succedutesi nel tempo, concretizzasse una forma di aiuto di Stato in violazione del diritto dell’Unione Europea, in particolare con il Trattato, art. 107, paragrafo 1, secondo il quale: “sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”.
E’ stato, poi, precisato che anche un ente senza fine di lucro può svolgere attività economica, cioè offrire beni o servizi sul mercato. La finalità sociale dell’attività svolta non è, dunque, di per sè sufficiente ad escluderne la classificazione in termini di attività economica. Per escludere la natura economica dell’attività è necessario che essa sia svolta a titolo gratuito o dietro il versamento di un importo simbolico.
Nè può tenersi conto della circolare emessa dalla Direzione Federalismo Fiscale presso il Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia e delle Finanze 26 gennaio 2009, n. 2/F, nella parte esplicativa dei criteri utili per stabilire quando le attività di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i, debbano essere considerate di natura “non esclusivamente commerciale”.
La Commissione dell’Unione Europea ha ritenuto, infatti, che l’applicazione dei criteri di cui alla citata circolare non vale ad escludere la natura economica delle attività interessate ed ha concluso nel senso che l’esenzione di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i, costituisce aiuto di Stato. In quella ipotesi, tuttavia, non è stato ritenuto possibile ordinare il recupero delle somme.
Tale ultimo aspetto è stato di recente affrontato e risolto dalla sentenza resa dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea il 6 novembre 2018, cause riunite C-622/16 P – C-623/16 P, C624/16. E’ stato chiarito, infatti, che l’ordine di recupero di un aiuto illegale è la logica e normale conseguenza dell’accertamento della sua illegalità e che diversamente si farebbero perdurare gli effetti anticoncorrenziali della misura. In questo senso è stato precisato che le decisioni della Commissione dell’Unione Europea volte ad autorizzare o vietare un regime nazionale hanno portata generale.
Se ne è concluso, quindi, dando seguito al più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. 5″, 12 febbraio 2019, n. 4066; Cass., Sez. 5″, 12 aprile 2019, n. 10288; Cass., Sez. 6″, 10 settembre 2020, n. 18831), che l’esenzione prevista in favore degli enti non commerciali dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i, è compatibile con il divieto di aiuti di Stato sancito dalla normativa dell’Unione Europea solo qualora abbia ad oggetto immobili destinati allo svolgimento di attività non economica nei termini sopra precisati: cioè, quando l’attività sia svolta a titolo gratuito ovvero dietro il versamento di un corrispettivo simbolico.
Ed è questa la disposizione normativa (nell’interpretazione “Europeisticamente” orientata di questa Corte) da applicare ratione temporis alla fattispecie concernente il pagamento dell’I.C.I. per gli anni 2010 e 2011, prima delle modifiche apportate dal D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 91-bis, convertito – con modificazioni – nella L. 24 marzo 2012, n. 27, e dal D.L. 28 dicembre 2013, n. 149, art. 11-bis, convertito – con modificazioni – nella L. 21 febbraio 2014, n. 13.
1.2 Nella specie, il giudice di appello ha fatto corretta applicazione del principio enunciato, valutando che l’accertata realizzazione di un cospicuo volume d’affari da parte dell’ente ecclesiastico negli anni di imposta 2010 e 2011 (precisamente: Euro 221.908,00, nell’anno 2010, ed Euro 230.442,00, nell’anno 2011) escludesse, a monte, l’irrisorietà o la simbolicità dei corrispettivi ricavati dall’esercizio dell’attività ricettiva e giustificasse il diniego dell’esenzione da I.C.I.
2. Pertanto, alla stregua delle precedenti argomentazioni, si deve accogliere il ricorso principale, rigettare il ricorso incidentale e cassare la sentenza impugnata; non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, si deve decidere nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, u.p., con pronuncia di rigetto del ricorso originario del contribuente.
3. Possono essere compensate tra le parti le spese del doppio grado del giudizio del merito, tenuto conto dell’andamento del medesimo, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.
4. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, in relazione al tenore della pronunzia adottata, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
La Corte accoglie il ricorso principale di Roma Capitale, rigetta il ricorso incidentale dell'”Istituto Suore Crocefisse Adoratrici dell’Eucarestia”, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario dell'”Istituto Suore Crocefisse Adoratrici dell’Eucarestia”; compensa le spese dei giudizi di merito; condanna l'”Istituto suore crocefisse Adoratrici dell’Eucarestia” alla rifusione delle spese del giudizio di legittimita in favore di Roma Capitale, che liquida nella somma complessiva di Euro 1.400,00 per compensi, oltre spese forfettarie ed altri accessori di legge; da atto dell’obbligo, a carico dell'”Istituto Suore Crocefisse Adoratrici dell’Eucarestia”, di pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 10 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2021