Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9966 del 15/05/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 9966 Anno 2015
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: VALITUTTI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 22015-2009 proposto da:
TRISTAR SRL in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE G.
MAZZINI 9-11, presso lo studio

dell’avvocato

LIVIA

SALVINI, rappresentato. e difeso,dall’avvocato LAURA
CASTALDI giusta delega a margine;
– ricorrente –

2015
1291

contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del

Direttore

pro

tempore, elettivamente domiciliata. in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende;

Data pubblicazione: 15/05/2015

- controricorrente –

avverso la sentenza n. 59/2008 della COMM.TRIB.REG.
di FIRENZE, depositata il 07/07/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 31/03/2015 dal Consigliere Dott. ANTONIO

udito per il ricorrente l’Avvocato CASTALDI che ha
chiesto raccoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato DE BONIS che
ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

VALITUTTI;

RITENUTO IN FATTO.
1. A seguito di un processo verbale di constatazione elevato dalla
Agenzia delle Dogane di Marina di Carrara, veniva notificato alla
TRISTAR s.r.l. un avviso di accertamento, con il quale l’Ufficio recuperava a tassazione la maggiore IVA dovuta per l’anno 1999, in
conseguenza dell’indebita applicazione, da parte della contribuente,

1995, convertito nella I. n. 85 del 1995, in relazione all’acquisto di
auto dalla ditta tedesca Marco Fiore Car.
2. L’atto impositivo veniva impugnato dalla contribuente dinanzi alla
CTP di Lucca, che accoglieva il ricorso.
3. L’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate veniva, peraltro,
accolto – previa riunione dei procedimenti – dalla CTR della Toscana, con sentenza n. 59/5/2008, depositata il 7.72008, con la quale
il giudice di seconde cure riteneva che l’omesso riscontro, da parte
della contribuente, della mancanza nelle auto dei requisiti necessari
a farle considerare “usate”, ai sensi dell’art. 38 del d.l. n. 331 del
1993, convertito nella l. n. 427 del 1993, ai fini della corretta applicazione del cd. regime del margine, dovesse comportare la legittimità degli atti impositivi in contestazione.
4. Per la cassazione della sentenza n. 59/5/2008 ha proposto, quindi, ricorso la TRISTAR s.r.l. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate,
affidato a sette motivi, illustrati anche con memoria ex art, 378
c.p.c. L’Amministrazione intimata ha replicato con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo di ricorso, la TRISTAR s.r.l. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 22, co. 3 e 53, co. 2 del d.lgs.
n. 546 del 1992 e 324 c.p.c., in relazione all’art. 360, co, 1, nn. 3 e
4 c.p.c.
1.1. Si duole la ricorrente del fatto che la CTR abbia omesso di rilevare d’ufficio l’inammissibilità dell’appello proposto dall’Agenzia delle
Entrate per intervenuta formazione del giudicato interno che, a parere della ricorrente, sarebbe stata determinata dal fatto che l’atto

del cd. regime del margine, di cui agli artt. 36 e 37 del d.l. n. 41 del

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di appello depositato presso la segreteria della CTR della Toscana
non sarebbe stato conforme alla copia notificata alla TRISTAR s.r.l.
1.2. Il motivo è infondato.
1.2.1. Va rilevato, infatti, che – al di là del riferimento anche alla
violazione delle norme di legge suindicate – la ricorrente si duole,
nella sostanza, di un’omessa pronuncia, nella quale sarebbe incorsa

sto dall’Agenzia delle Entrate. Tanto si evince, oltre che dal quesito
di diritto formulato dalla TRISTAR s.r.l., dall’inequivoco riferimento,
contenuto nella censura in esame, al fatto che “tale questione, attinente alla rilevazione del giudicato interno, non è stata dibattuta
davanti al giudice di secondo grado e non è stata oggetto di alcuna
sua pronuncia”.
1.2.2. Orbene, deve osservarsi, al riguardo, che non è configurabile
il vizio di omesso esame di una questione processuale, ritualmente
sollevata o rilevabile d’ufficio, quando debba ritenersi che tale questione od eccezione sia stata esaminata e decisa – sia pure con una
pronuncia implicita della sua irrilevanza o di infondatezza – in quanto superata e travolta, anche se non espressamente trattata, dalla
incompatibile soluzione di altra questione, il cui solo esame comporti
e presupponga, come necessario antecedente logico-giuridico, la
detta irrilevanza o infondatezza. Peraltro, va soggiunto che il mancato esame da parte del giudice, ancorchè sollecitatone dalla parte,
di una questione puramente processuale, non può dar luogo al vizio
di omessa pronunzia, il quale è configurabile con riferimento alle
sole domande di merito, e non può assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, ai sensi degli artt. 112 e 360, co. 1,
n. 4 c.p.c. (cfr. Cass. 13649/2005; 11844/2006; 7406/2014).
1.2.3. Deve ritenersi, pertanto, che – nel caso concreto – la questione relativa all’inammissibilità dell’appello sta stata implicitamente decisa dalla CTR – come, del resto, riconosciuto dalla stessa ricorrente (p. 10 del ricorso) – avendo l’organo giudicante di seconde

cure valutato nei merito i motivi di gravame proposti dall’Ufficia, in

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la CTR nel non rilevare di ufficio l’inammissibilità dell’appello propo-

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tal modo disattendendo implicitamente la suindicata questione pregiudiziale.
1.3. La censura in esame va, pertanto, disattesa.
2. Con il secondo motivo di ricorso, la TRISTAR s.r.l. denuncia la
violazione e falsa applicazione dell’art. 53, co. 1, del d.lgs. n. 546
del 1992, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.

dell’Ufficio non fosse inammissibile per difetto di specificità dei motivi di gravame, in violazione dell’art. 53, co. 1, del d.lgs. n. 546 del
1992, con conseguente, evidente,

vulnus del diritto di

difesa

dell’appellato il quale, in forza della disposizione succitata, avrebbe
dovuto essere in grado di evincere, dall’esame dell’atto di gravame
notificatogli, i motivi di impugnazione proposti dalla controparte.
L’atto di appello notificato alla contribuente dall’Ufficio, nel caso
concreto, si sarebbe presentato, per converso, “scritturato su entrambe le facciate”, ed inoltre mancante della “numerazione delle
pagine” ed “incoerente nella sua sequenza tra una pagina e l’altra”.
Il gravame dell’Amministrazione finanziaria avrebbe, pertanto, dovuto essere dichiarato inammissibile dalla CTR, per assoluta incertezza sugli specifici motivi di impugnazione proposti dall’appellante.
2.2. Il motivo è inammissibile.
2.2.1. Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – che
trova la propria ragion d’essere nella necessità di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza dei motivo senza dover
procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte – vale, invero,
anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali si denuncino
errori da parte del giudice di merito. Ne consegue che, ove il ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., o
dell’art. 53 d.lgs. n. 546 del 1992, conseguente alla mancata declaratoria di nullità dell’atto di appello per genericità dei motivi, deve
riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi
formulati dalla controparte (Cass. 86/2012; 12664/2012).

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2.1. Avrebbe, invero, errato la CTR nel ritenere che l’appello

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2.2.2. Nel caso concreto la ricorrente riproduce, invece, nel ricorso
soltanto alcune frasi che evidenzierebbero la mancanza di conseguenzialità logica tra una pagina e l’altro dell’atto di gravame, ma
omette di riportare il contenuto essenziale dei motivi di appello proposti dall’Ufficio, al fine di consentire alla Corte di dedurre,
dall’esame del solo ricorso per cassazione, l’eventuale loro generici-

2.3. La censura in esame non può, di conseguenza, essere accolta.
3. Con il terzo motivo di ricorso, la TRISTAR s.r.l. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 6 del d.lgs. n. 218 del 1997, 2
quater della l. n. 656 del 1994, 18, lett. d) del d.lgs. n. 546 del
1992, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.
3.1. Osserva la ricorrente che, a seguito di presentazione di istanza
di accertamento con adesione, ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. n. 218
del 1997, veniva redatto il verbale di contraddittorio, in data
9.4.2005, nel quale l’Ufficio formulava alcune proposte di definizione
transattiva della vicenda fiscale (annullamento in via di autotutela
dell’imposta applicata due volte sulla stessa base imponibile, recupero delle imposte e degli interessi sulle vendite delle autovetture in
contestazione, abbandono delle sanzioni), che non venivano, dipoi,
accettate dalla contribuente (pp. 2, 3 e 14 del ricorso). La CTR decidendo nel merito la causa, con la conferma dell’atto impositivo
impugnato – avrebbe implicitamente ed erroneamente disatteso
l’eccezione della contribuente, riproposta anche nel giudizio di appello, di riduzione della materia del contendere per effetto di quanto
riconosciuto annullabile, in via di autotutela, dall’Ufficio nel predetto
verbale del 9.4.2005.
3.2. Il motivo è infondato.
3.2.1. Ed invero, nel caso in cui l’accertamento con adesione non si
perfezioni, né intervenga la definizione dell’avviso di accertamento,
permane, nella sua integrità, l’originaria pretesa tributaria (Cass.
22510/2013), ed il contribuente non può che impugnare l’atto im-

tà o non intelligibilità.

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positivo, nel termine di legge, nel suo contenuto originario (Cass.
16347/2013).
3.2.2. Pertanto, una volta che – nel caso di specie – le proposte
formulate in via transattiva dall’Amministrazione finanziaria non sono state accettate dalla contribuente, il mancato perfezionamento
della transazione fiscale ha comportato la reviviscenza dell’originaria

dalla TRISTAR s.r.l. nel presente giudizio.
3.3. Il motivo in esame va, pertanto, rigettato.
4. Con il quarto motivo di ricorso, la TRISTAR s.r.l. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 37 del di. n. 41 del
1995, convertito nella 1. n. 85 del 1995, 38, 46 e 47 del d.l. n. 331
del 1993, convertito nella I n. 427 del 1993 e 2697 c.c., in relazione
all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.
4.1. La ricorrente censura la conclusione cui è pervenuta la CTR con “affermazioni apodittiche oltre che generiche” – circa il fatto
che, nel caso di specie, non sia stata posta in essere una vendita di
beni usati, dal fornitore tedesco Marco Fiore Car in favore della thieff
TRISTAR s.r.I., bensì una cessione di autovetture nuove, ad onta dei
riscontri documentali acquisiti agli atti di causa.
4.2. La censura è inammissibile.
4.2.1. Costituisce, infatti, causa di inammissibilità del ricorso per
cassazione l’erronea sussunzione del vizio, che il ricorrente intende
far valere in sede di legittimità, nell’una o nell’altra fattispecie di cui
all’art. 360 c.p.c. (cfr. Cass. 85885/2012; 21099/2013;
21165/2013; 19959/2014).
4.2.2. Ebbene, nel caso concreto, è del tutto evidente che la ricorrente ha denunciato come violazione delle disposizioni di legge succitate un vizio di motivazione dell’impugnata sentenza. Tanto si
evince, infatti, con chiarezza dal riferimento, operato nel ricorso (p.
21), al fatto che la CTR avrebbe, a fronte dell'”apparato documentale” prodotto dalla contribuente, addotto a sostegno del proprio convincimento “affermazioni (…) apodittiche oltre che generiche”, poi-

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pretesa tributaria, peraltro integralmente impugnata, nel merito,

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ché fondate su di una “valutazione di apparente verosimiglianza, del
tutto contraddetta dalla documentazione in atti” (p.22); sicchè – a
parere della ricorrente – si sarebbe in presenza di una “mancata o
inadeguata valutazione, da parte del giudice di merito, delle prove
documentali” versate in atti.
4.2.3. Ne consegue, pertanto, che il vizio in parola – concernente

appello, e non quello di diritto – avrebbe dovuto essere denunciato
esclusivamente sub specie del difetto di motivazione, ai sensi
dell’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c.
4.3. Il motivo non può, pertanto, trovare accoglimento.
5. Con il quinto e sesto motivo di ricorso – che, per la loro evidente
connessione vanno esaminati congiuntamente – la TRISTAR s.r.l.
denuncia la la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 37 del
d.l. n. 41 del 1995, convertito nella I. n. 85 del 1995, 38, 46 e 47
del d.l. n. 331 del 1993, convertito nella I n. 427 del 1993 e 2697
c.c., in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., nonché l’insufficiente
motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione
all’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c.
5.1. A fronte delle risultanze documentali provenienti dal cedente
estero (fatture, libretti di circolazione ed autocertificazione del venditore), che comprovavano che le autovetture acquistate dalla contribuente nell’anno 1999 erano state immatricolate da più di sei mesi, e che le medesime avevano percorso oltre 6000 km., ai sensi
dell’art. 38 del d.i. n. 331 del 1993, avrebbe errato la CTR nel ritenere – peraltro in base a valutazioni di “apparente inverosimiglianza” – non applicabile, nella fattispecie concreta, il cd. regime del
margine, in relazione all’acquisto intracomunitario di autovetture
usate effettuato dalla ricorrente.
5.2. Le censure sono infondate.
5.2.1. Ed invero, va osservato che, in tema di IVA, l’applicazione del
regime del margine di utile di cui all’art. 36 del d.l. n. 41 del 1995,
convertito nella 1. n. 85 del 1995, in relazione agli acquisiti intraco-

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com’è del tutto evidente , il giudizio di fatto operato dal giudice di

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munitari di beni d’occasione, costituisce – secondo la giurisprudenza
comunitaria e quella di questa Corte – un regime impositivo speciale
e derogatorio rispetto a quello ordinario (cfr. C. Giust. 8.12.2005, C280/04, Jyske Finans; C. Giust. 3.3.2011, C- 203/10, Auto Nikolovi;
Cass. 15219/2012; Cass. 17232/2013; 24604/2014; 26852/2014).
La norma succitata, in relazione al “commercio di beni mobili usati,
suscettibili di reimpiego nello stato originario o previa riparazione”,
prevede, infatti, che l’IVA relativa alla rivendita di tali beni sia
“commisurata alla differenza tra il prezzo dovuto dal cessionario del
bene e quello relativo all’acquisto, aumentato delle spese di riparazione e di quelle accessorie”. Sempre che i beni in parola siano stati
acquistati presso soggetti che abbiano assolto l’imposta in via definitiva, come nel caso di acquisto da privato consumatore (nel territorio dello Sto o in quello di altro Stato membro), o da soggetto
che non abbia potuto detrarre l’imposta per avere destinato i beni
ad attività esente, o che agisca in regime di franchigia nel proprio
Stato membro, o ancora che abbia a sua volta assoggettato il proprio acquisto al regime del margine di utile.
Siffatta soluzione normativa trova, del resto, una chiara conferma
nei principi enunciati dal diritto comunitario cogente, avendo la Corte Europea, per vero, affermato – in forza della direttiva
2006/112/CE – che il rivenditore non può avvalersi del regime di
imposizione del margine di utile, in caso di vendita di veicoli usati
acquistati da soggetto che ha beneficiato di un diritto alla detrazione
– quand’anche parziale – dell’IVA assolta al momento dell’acquisto
(C. Giust. 19.7.2012, C-160/11, Bawaia Motors).
5.2.2. Tanto premesso, va osservato che, ai sensi dell’art. 38 del
di. n. 331 del 1993, convertito nella I. n. 427 del 1993, la qualità di
autovettura usata può essere attribuita ai veicoli con motore di cilindrata superiore a 48 cc o potenza superiore a 7,2 Kw, esclusivamente alla seguente, duplice, condizione: 1) che abbiano percorso
oltre seimila Km; 2) che la cessione sia stata effettuata decorso il
termine di sei mesi dalla data del provvedimento di prima immatri-

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.

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colazione, o di iscrizione in pubblici registri, o di altri provvedimenti
equipollenti. Dal quadro normativo di riferimento suesposto, deriva,
pertanto, che la mera regolarità formale della fattura emessa dal
cedente, o dell’altra documentazione da questi allegata, non costituisce l’unica condizione per l’applicabilità dei regime speciale, posto
che – in tal modo – si finirebbe con l’attribuire a tale documentazio-

ne un’efficacia probatoria, in realtà non prevista dalla norma in relazione ai presupposti del beneficio in questione.
5.2.3. In particolare, la fruibilità del regime del margine postula, al
di là delle annotazioni formali desumibili dalla fattura o dagli altri
documenti forniti dal cedente estero, la dimostrazione, ricavabile
dal riscontro dei requisiti soggettivi suindicati, della circostanza essenziale che il cedente abbia assolto l’imposta in modo definitivo, e
che ricorrano tutte le altre condizioni, ivi compresa la natura di vei-

f

colo usato, attribuibile su

base degli elementi suindicati, ai fini del-

la fruizione del regime in parola. Per il che, tutte le volte in cui la
contestazione dell’Amministrazione trovi fondamento in elementi
oggettivi, che privino di attendibilità le indicazioni contenute nella
fattura emessa nei confronti del cessionario, o nella ulteriore documentazione fornita dal cedente, l’onere di provare la sussistenza dei
presupposti di fatto che giustificano l’operatività di tale regime di
deroga incombe al contribuente-cessionario.
Quest’ultimo è, invero, tenuto a verificare preventivamente la regolarità sostanziale dell’operazione, nei limiti imposti dal dovere di agire con la diligenza richiesta in base alle concrete circostanze; e ciò
anche in relazione alla sua qualità professionale, ove trattasi di operatore commerciale del settore, ed alla stregua dei documenti negoziali in suo possesso, conformemente al principio di vicinanza al fatto oggetto di prova ed al sistema del diritto comunitario (cfr. Cass.
15219/2012, 8828/2012; 17232/2013; 658/2014; 24604/2014;
25755/2014; 26852/2014).
In senso conforme, anche la Corte di Giustizia ha, del resto, affermato – con riferimento generale al tema dell’onere della prova in

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materia di IVA – che se l’Amministrazione finanziaria dimostra, alla
luce di elementi oggettivi, che le irregolarità commesse
dall’emittente della fattura, erano a conoscenza del soggetto passivo – o avrebbero potuto esserlo con l’uso dell’ordinaria diligenza – è
quest’ultimo a dover provare la sua estraneità alle suddette irregolarità (C. Giust. 21.6.2012, C-80/11).

rimento al caso di specie, che non giova alla ricorrente invocare i
dati formali emergenti dalle tre fatture contestate dalli Amministrazione finanziaria, nonché dai libretti di circolazione e
dall’autocertificazione del venditore estero, dai quali si sarebbe desunta la sussistenza dei presupposti per l’applicazione del cd. regime del margine ed, in particolare, la percorrenza di oltre seimila
km, da parte dei veicoli in questione, e la loro immatricolazione da
più di sei mesi. Tali dati non valgono, invero, di per sé – per le ragioni suindicate – a legittimare il ricorso al regime impositivo speciale in discussione, a fronte degli elementi probatori forniti
dall’Amministrazione finanziaria, fondati sul processo verbale di constatazione, e dai quali era emerso – come bene evidenziato
dall’impugnata sentenza – che, pur mancando la prova del chilometraggio al momento della cessione delle autovetture alla società ricorrente, vi era, tuttavia, la prova in atti, desunta dall’esame della
documentazione in possesso del rivenditore tedesco, del chilometraggio – inferiore ai seimila chilometri richiesti – al momento del
precedente acquisto da parte del fornitore estero.
Sicchè, i pochi giorni trascorsi prima della vendita alla Tristar s.r.I.,
durante i quali le autovetture erano rimaste presso l’esportatore
tedesco, prevalentemente in esposizione per la vendita – come accertato dall’impugnata sentenza, sulla base dell’attività di importexport svolta dal cedente Marco Fiore Car – non avrebbero, di certo,
potuto consentire di ritenere che in siffatto breve lasso di tempo
fossero stati raggiunti i seimila km di percorrenza, come, invece,

5.2.4. Tutto ciò premesso in via di principio, ne discende, con rife-

■~…primouR

,

– lo –

.,

risultava dalle dichiarazioni rese, al riguardo, dalla cessionaria
TRISTAR s.r.l.
5.3. Per tali ragioni, pertanto, le censure suesposte non possono
che essere rigettate.
6: Con il settimo motivo di ricorso, la TRISTAR s.r.l. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 471 del

1, n. 3 c.p.c.
6.1. Si duole la ricorrente del fatto che la CTR non abbia ritenuto di
escludere, quanto meno, la punibilità della contribuente per le relative sanzioni, essendo stata la mancanza del requisito del chilometraggio minimo di percorrenza desunta dal giudicante sulla base d
documentazione riferibile al cedente estero, e del tutto estranea alla
sfera di conoscibilità della società cessionaria. Tanto più che lo stesso Ufficio aveva rilevato – nel predetto verbale di contraddittorio del
9.4.2005 – che “dalla documentazione in possesso dell’Ufficio non
emerge un accordo, finalizzato all’evasione di imposta, tra il soggetto tedesco e la verificata italiana”.
6.2. Il motivo è infondato.
6.2.1. Dall’accertata non applicabilità del regime del margine, per
violazione dell’obbligo di diligenza incombente sulla contribuente,
discende, infatti, anche la piena legittimità dell’irrogazione delle relative sanzioni (Cass. 17232/2013).
6.2.2. Né rileva che, ai fini del perfezionamento dell’accertamento
con adesione, l’Amministrazione abbia ritenuto di escludere le sanzioni, per difetto di “un accordo finalizzato all’evasione dell”imposta
tra il soggetto tedesco e la verificata italiana”. E ciò, sia in quanto
anche in assenza di un preventivo accordo fraudolento, l’omissione
degli adempimenti dovuti a carico della contribuente è di per sé giustificativa dell’applicazione delle sanzioni, sia in quanto il mancato
perfezionamento dell’accordo – come dianzi detto – comporta il
permanere dell’originaria pretesa tributaria con il relativo carico
sanzionatorio.

lo

1997 e 5 e 6 del d.lgs. n. 472 del 1997, in relazione all’art. 360, co.

6.3. La censura va, di conseguenza, disattesa.
7. Per tutte le ragioni esposte, pertanto, il ricorso della TRISTAR
s.r.l. non può che essere integralmente rigettato.
8. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, nella
misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio, che liquida in C 5.500,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 31.3.2015.

La Corte Suprema di Cassazione;

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