Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9965 del 08/05/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 9965 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: AMBROSIO ANNAMARIA

SENTENZA

sul ricorso 17426-2010 proposto da:
LEOPARDI FERNANDO LPRFNN38P06H5010,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE CASTRENSE 7, presso lo
studio dell’avvocato PORRONE DOMENICO, che lo
rappresenta e difende giusta delega a margine;
– ricorrente 2014
314

contro

REGIONE LAZIO, in persona del Presidente della Giunta
regionale pro tempore, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende

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Data pubblicazione: 08/05/2014

per legge;
– controricorrenti nonchè contro

ONORATI ANTONIO, AZIENDA COMPLESSO OSPEDALIERO SAN
GIOVANNI ADDOLORATA;

avverso la sentenza n. 1964/2009 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 12/05/2009 R.G.N.
7471/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 05/02/2014 dal Consigliere Dott.
ANNAMARIA AMBROSIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per
l’inammissibilita’ del ricorso.

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– intimati –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 12.05.2009 n. 1964, la Corte di
appello di Roma ha rigettato l’appello proposto da Fernando
Leopardi, confermando la sentenza del Tribunale di Roma di
rigetto della domanda proposta dall’appellante nei confronti

Giovanni Addolorata di Roma e della Regione Lazio per il
risarcimento dei danni, in ragione di un miliardo di lire,
asseritamente conseguenti all’errata esecuzione di due
interventi chirurgici cui il Leopardi era stato sottoposto
in data 11.01.1993 e 26.02.1993 nel reparto ortopedia della
suddetta azienda ospedaliera; ha quindi condannato
l’appellante al pagamento delle spese del grado in favore di
ognuno degli appellanti.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione
Fernando Leopardi, svolgendo otto motivi, illustrati anche
da memoria.
Ha resistito la Regione Lazio, depositando controricorso e
deducendo l’inammissibilità del ricorso.
Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte degli
altri intimati.
MOTIVI DELLA DECISIONE

l. La Corte di appello ha confermato le valutazioni
espresse dal primo Giudice, convalidate dalle risultanze
della c.t.u., secondo cui i danni lamentati dall’odierno
ricorrente non erano causalmente riconducibili ai due
interventi chirurgici di cui si discute – peraltro
implicanti la soluzione di problemi tecnici di speciale

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del dott. Antonio Onorato, dell’Azienda Ospedaliera San

difficoltà e correttamente eseguiti al pari della terapia
riabilitativa praticata ritenendo che la menomazione
funzionale lamentata dal Leopardi era conseguita alle
lesioni traumatiche riportate nell’infortunio occorsogli in
data 3 gennaio 1993; ha, inoltre, evidenziato che la

specifici motivi di impugnazione, per la parte che aveva
rigettato la domanda nei confronti dell’Azienda Ospedaliera,
per ragioni diverse da quelle che avevano condotto il
Tribunale al rigetto della pretesa risarcitoria nei
confronti degli altri convenuti, e cioè per difetto di
legittimazione passiva; e ciononostante il Leopardi aveva
concluso nel merito anche nei confronti di detta Azienda,
per cui l’appellante era tenuto al rimborso delle spese
anche in favore di detta appellata.
2. Il ricorso, avuto riguardo alla data della pronuncia
della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e
antecedente al 4 luglio 2009), è soggetto alla disciplina di
cui agli artt. 360 cod. proc. civ. e segg. come risultanti
per effetto del cit. d.Lgs. n. 40 del 2006; si applica, in
particolare, l’art. 366

bis

cod. proc. civ., stante

l’univoca volontà del legislatore di assicurarne l’ultraattività

(ex multis,

cfr. Cass. 27 gennaio 2012, n. 1194),

atteso che la norma resta applicabile in virtù dell’art. 27,
comma 2 del cit. d. Lgs ai ricorsi per cassazione proposti
avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a
decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto,

cioè

dal 2 marzo 2006, senza che rilevi la sua abrogazione, a far

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decisione impugnata era passata in giudicato, in difetto di

tempo dal 4 luglio 2009, ad opera della L. 18 giugno 2009,
n. 69, art. 47, comma l, lett- d), in forza della disciplina
transitoria dell’art. 58 di quest’ultima.
2.1. Con gli otto motivi di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ. omessa, insufficiente o

decisivo per il giudizio.
2.2.

Va

innanzitutto

osservato

che

le

doglianze

concernenti pretesi vizi di motivazione dell’impugnata
sentenza non sono state formulate in modo ammissibile,
perchè

nessuno

dei

motivi

risulta

corredato

dall’indispensabile momento di sintesi che valga a
circoscriverne puntualmente i limiti, come prescritto dal
citato art. 366 bis cod. proc. civ..
Invero

«la chiara indicazione»

(c.d. quesito di fatto)

richiesta dalla seconda parte dell’art. 366

bis cod. proc.

civ. in relazione al vizio motivazionale deve consistere in
una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e
riassuntivamente destinata, che ne circoscriva puntualmente
i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di
formulazione del ricorso e di valutazione della sua
ammissibilità (Sez. Unite, 01 ottobre 2007, n.20603).
Occorre, in altri termini, la formulazione conclusiva e
riassuntiva di uno specifico passaggio espositivo del
ricorso, nel quale – e comunque anche nel quale – si indichi
non solo il fatto controverso riguardo al quale si assuma
omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione, ma
anche, se non soprattutto, quali siano le ragioni per cui la

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contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e

motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la
decisione (Cass., ord. 13 luglio 2007, n. 16002). Tale
requisito non può, dunque, ritenersi rispettato quando solo
la completa lettura dell’illustrazione del motivo

all’esito di un’interpretazione svolta dal lettore, anziché

comprendere il contenuto ed il significato delle censure
(Cass., ord. 18 luglio 2007, n. 16002).
3. Ancorchè le considerazioni che precedono conducano
inevitabilmente alla declaratoria di inammissibilità del
ricorso, non si ritiene superfluo aggiungere che sussistono
ulteriori ragioni di inammissibilità. Valga, in particolare,
considerare quanto segue.
3.1. Il primo motivo profila una questione nuova, di cui
non è traccia nella decisione impugnata, lamentando in
termini peraltro generici, la violazione del consenso
informato; orbene – considerato che per quanto emerge dalla
decisione impugnata il Leopardi ha agito per il risarcimento
del danno conseguente all’errata esecuzione di due
interventi chirurgici – la censura deve ritenersi
inammissibile in applicazione del principio costantemente
affermato da questa Corte, secondo cui i motivi di ricorso
per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità,
questioni che abbiano già formato oggetto del
decidendum,

thema

essendo consentito dedurre nuovi tesi giuridiche

e nuovi profili di difesa solo quando esse si fondano su
elementi di fatto già dedotti dinanzi al giudice di merito e
per i quali non sia perciò necessario procedere ad un nuovo

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su indicazione della parte ricorrente – consenta di

accertamento (Cass. 16 dicembre 2010, n. 25510; 2000/5845;
2000/14848; 2004/22154; 2005/19350).
Nel

caso

di

specie

le

questioni

eventualmente

prospettabili in tema di consenso informato non risultano
aver formato oggetto di trattazione nel giudizio d’appello,

nelle sue componenti essenziali, senza che contro la stessa
decisione sia stata formulata specifica censura ex art. 112
cod. proc. civ.; pertanto le questioni stesse, introducendo
temi di dibattito completamente nuovi e implicando decisione
su elementi di giudizio, pure in fatto, che non risultano
aver formato oggetto di contraddittorio nella fase di
merito, si rivelano, in ogni caso, insuscettibili di
valutazione in questa sede.
3.2. I successivi motivi, dal secondo sino al settimo, si
sostanziano in una serie di personali valutazioni e, in
definitiva, esprimono un convincimento contrario a quello
del giudice del merito, così sollecitando un inammissibile
riesame del materiale probatorio e una soluzione della
controversia favorevole alla propria tesi; e ciò esula dal
sindacato di legittimità di cui all’art. 360 cod. proc.
civ., il quale non consiste nella rivalutazione degli
elementi di merito, ma soltanto nel controllo del processo
logico seguito dal giudice in ordine all’esercizio del
potere dovere di esaminare i fatti costitutivi, estintivi o
modificativi del rapporto in contestazione e all’obbligo di
munire la decisione di un’adeguata e logica motivazione.
Gli stessi motivi sono anche generici, non essendo neppure

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secondo quanto emerge dall’esame dell’impugnata sentenza

individuato il preciso vizio motivazionale dedotto e
limitandosi parte ricorrente a richiedere ora di
«riesaminare»

le questioni di volta in volta proposte, ora

di fornire nuove

«risposte in termini tecnici e

scientifici».

violazione dell’art. 366 n.6 cod. proc. civ., dal momento
che la norma, secondo l’interpretazione patrocinata dalle
Sezioni Unite di questa Corte (cfr. sentenze 2 dicembre
2008, n. 28547 e 25 marzo 2010, n. 7161), ponendo come
requisito di ammissibilità
atti processuali,

del

«la specifica indicazione degli

documenti e dei contratti o accordi

collettivi sui quali il ricorso si fonda»

richiede la

specificazione dell’avvenuta produzione in sede di
legittimità, accompagnata dalla doverosa puntualizzazione
del luogo all’interno di tali fascicoli, in cui gli atti o
documenti evocati sono rinvenibile; laddove, nella specie,
parte ricorrente effettua una personale selezione di
“stralci” di documenti, senza precisare se e dove siano
rinvenibili in atti.
3.4. In relazione all’ultimo motivo è errata anche
l’individuazione della tipologia di vizio, perché la
regolazione delle spese non è censurabile sotto il profilo
motivazionale.
In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in
dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 140
del 2012, seguono la soccombenza.

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3.3. Ricorre un’ulteriore ragione di inammissibilità per

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna
parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di
cassazione, liquidate in C 4.000,00 oltre spese prenotate a
debito.

Roma 5 febbraio 2014

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