Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9962 del 08/05/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 9962 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso 15363-2012 proposto da:
MqZTECHIARELLO

COSIMO

C.F.

MNTCSM32R07C355C,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OTTAVIANO 91,
presso lo studio dell’avvocato D’OTTAVIO GABRIELE, che
ifrS
1eg7n atti;
io rappres
rappresenta
enta e difende giusta
– ricorrente contro

2014
1150

CARTISANO

SANTINA

HEDJ

C.F.

CRTSTN49P44H2241,

CARTISANO EMMA MARIA C.F. CRTMMR52R61H224T, CARTISANO
MARIA ANTONIA C.F. CRTMNT18D66H224Q, nella qualità di
eredi di Cartisano Augusto, elettivamente domiciliati

Data pubblicazione: 08/05/2014

in ROMA,

VIALE MAZZINI

6,

presso

lo

studio

dell’avvocato SCRIVO PASQUALE, rappresentati e difesi
dall’avvocato MODAFFERI ANTONINO, giusta delega in
atti;
– con troricorrenti. –

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE
C.F. 80078750587, in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CESARE BECCARIA 29, presso l’ Avvocatura Centrale
dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati
SGROI ANTONINO, GRAZIUSO SALVATORE, MAGGIO GIUSEPPE,
giusta delega in calce alla copia notificata del
ricorso;
– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 780/2011 della CORTE D’APPELLO
di REGGIO CALABRIA, depositata il 06/06/2011 r.g.n.
263/05;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 28/03/2014 dal Consigliere Dott. FABRIZIO
AMENDOLA;
udito l’Avvocato D’OTTAVIO GABRIELE;
udito l’Avvocato MATANO GIUSEPPE per delega SGROI
ANTONINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso

contro

per il rigetto del ricorso.

Corte Suprema di Cassazione
Sezione lavoro
Pubblica udienza del 28 marzo 2014
n. 16 del ruolo – R.G. n. 15363/2012
Presidente Lamorgese – Relatore Amendola

1.— Cosimo Montechiarello ha impugnato la sentenza del 6 giugno
2011 della Corte di Appello di Reggio Calabria, confermativa della pronuncia
di primo grado, che ha rigettato la domanda che aveva proposto nei confronti
di Augusto Cartisano, convenendo anche l’INPS, avente ad oggetto il
pagamento di differenze retributive. A sostegno della domanda il
Montechiarello aveva dedotto di aver prestato attività di lavoro subordinato
in agricoltura alle dipendenze del Cartisano tra il 1966 ed il 1994.
La Corte di merito ha ritenuto che, sulla base dell’istruttoria svolta in
primo grado, l’attore non avesse fornito la prova di aver prestato un’attività
lavorativa, qualificabile come rapporto di lavoro subordinato, in favore della
parte convenuta in giudizio.
2.— Il ricorso del Montechiarello ha domandato la cassazione della
sentenza per tre motivi, illustrati da memoria.
Hanno resistito con controricorso Cartisano Santina Hedj, Cartisano
Emma Maria e Cartisano Maria Antonia, nella qualità di eredi di Cartisano
Augusto. L’Inps ha conferito procura mediante delega in calce al ricorso per
cassazione notificato.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1.— Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa
applicazione degli artt. 10 e 11 del d.l. n. 7 del 1970 e dell’art. 8 della legge
n. 457 del 1972, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.
La Corte territoriale avrebbe travisato le norme indicate, ritenendo che,
mancando la richiesta di avviamento al lavoro in agricoltura, diretta
all’assunzione del dipendente senza determinazione di tempo, dovrebbe

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Corte Suprema di Cassazione
Sezione lavoro
escludersi la natura a tempo indeterminato del rapporto.
Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 360,
co. 1, nn. 3 e 5, c.p.c., in relazione agli artt. 116 c.p.c. e 2697 c.c. nonché
per omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e
Si sostiene che la Corte di Appello non avrebbe proceduto alla verifica
del contenuto delle dichiarazioni testimoniali, al fine di individuare, per
mezzo di un esame comparato, i punti di contrasto e verificare, sulla base
degli altri riscontri intrinseci ed estrinseci, quali delle dichiarazioni fossero
più attendibili e verosimiglianti, e quali no.
Con l’ultimo motivo si sostiene la violazione e falsa applicazione dell’art.
360, co. 1, n. 3, c.p.c., in relazione agli artt. 2095 e 2138 c.c..
La sentenza impugnata avrebbe riconosciuto al Montechiarello la
qualifica di “fattore di campagna”, avendo questi il potere di apporto di
iniziative e di vigilanza su altri operai, per cui avrebbe dovuto concludere che
il rapporto che lo legava al Cartisano era quello di impiego che, per sua
natura, si intende a tempo indeterminato.
2.- I tre mezzi di gravame, che per la loro connessione, possono essere
valutati congiuntamente, non meritano accoglimento.
2.1.- In particolare il primo ed il terzo motivo di ricorso si radicano su di
una inadeguata individuazione della

ratio decidendi posta dalla Corte

territoriale a fondamento del rigetto delle pretese del Montechiarello.
Innanzitutto non corrisponde al vero che il giudice di merito avrebbe
escluso nella specie la ricorrenza di un rapporto di lavoro subordinato a
tempo indeterminato perché mancherebbe la richiesta di avviamento al
lavoro in agricoltura.
E’ chiaro, invece, dalla lettura integrale della sentenza che la stessa ha
confermato la pronuncia di primo grado di rigetto della domanda attorea
perché la espletata istruttoria non ha fornito la prova della sussistenza di un
rapporto di lavoro subordinato, emergendo piuttosto una collaborazione del

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decisivo per il giudizio.

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Sezione lavoro
Montechiarello al defunto Cartisano dal carattere “occasionale”, “autonomo”
e “saltuario”.
Il riferimento alla disciplina sull’avviamento al lavoro in agricoltura è
esclusivamente da intendersi come constatazione che nella fattispecie

ad instaurare un rapporto di lavoro agricolo a tempo indeterminato.
Parimenti non è vero che la Corte del merito avrebbe attribuito al
Montechiarello la “qualifica di fattore di campagna”, che non ricorre in alcun
punto della sentenza impugnata, la quale si limita a negare la
subordinazione, argomentando che dal quadro istruttorio risulta, appunto,
che l’attore, in modo occasionale, autonomo e saltuario, “eseguiva
prestazioni agricole ovvero controllava che esse venissero eseguite da altri
allo scopo precipuo di estinguere con tale attività di lavoro autonomo il
debito derivante dalla disponibilità in uso di immobile concessogli dal
defunto Cartisano”.
Sicché la conclusione tratta dal ricorrente si traduce nell’esito indebito
di premesse mal poste.
2.2.- In realtà il ricorso si fonda tutto sull’assunto che la Corte
territoriale, nel ritenere non provata la sussistenza di un rapporto di lavoro
subordinato tra le parti del giudizio, non avrebbe apprezzato tutti gli
elementi probatori acquisiti, considerati nel loro complesso, denunciando
così inequivocamente un vizio di motivazione.
2.2.1.— Orbene il vizio di motivazione concerne esclusivamente la
motivazione in fatto, in quanto la norma che lo regola, il punto n. 5) dell’art.
360, co.1, c.p.c., nella versione di testo applicabile al presente giudizio,
consente il ricorso per cassazione solo per “omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio”.
Per consolidato orientamento di questa Corte la motivazione omessa o
insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di

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concreta manca anche la prova di una specifica volontà contrattuale diretta

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Sezione lavoro
merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale
obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione,
ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della
medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base
sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul
valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi,
altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle
valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una
nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del
giudizio di cassazione (in termini, da ultimo, Cass. SS.UU. n. 24148 del
2013).
Invero il motivo di ricorso ex art. 360, co. 1, n. 5, c. p. c., non conferisce
alla Corte di cassazione il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda
processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo quello di controllare, sul piano
della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la
valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di
individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l’attendibilità e la
concludenza nonché scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute
maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti in discussione,
dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova
acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (tra numerose altre:
Cass. SS.UU. n. 5802 del 1998 nonché Cass. n. 1892 del 2002, n. 15355 del
2004, n. 1014 del 2006; n. 18119 del 2008,).
In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice
di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano
prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni
svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio
convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte
le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (tra le tante: Cass. n.

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degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi

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Sezione lavoro
2272 del 2007, n. 14084 del 2007, n. 3668 del 2013).
Inoltre con la riforma del giudizio di cassazione operata con la legge n.
40 del 2006, che ha sostituito il concetto di “punto decisivo della
controversia” con quello di “fatto controverso e decisivo” il legislatore ha

venga impropriamente trasformato in un terzo grado di merito (così Cass. n.
18368 del 2013).
Prendendo atto di tale volontà legislativa questa S.C. ha sovente
applicato il seguente principio di diritto: “Il motivo di ricorso con il quale – ai
sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. così come modificato dall’art. 2 del d.lgs. 2
febbraio 2006, n. 40 – si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione, deve specificamente indicare il ‘fatto’ controverso o decisivo in
relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per
‘fatto’ non una ‘questione’ o un ‘punto’ della sentenza, ma un fatto vero e
proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto
costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche, secondo parte
della dottrina e giurisprudenza, un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in
funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo” (cfr.
Cass. n. 2805 del 2011; Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 13457 del 2012;
Cass. n. 12990 del 2009).
2.2.2.— Alla stregua dei consolidati e condivisi principi esposti i motivi
in esame non possono essere accolti.
Infatti parte ricorrente non individua il “fatto controverso e decisivo” che
sarebbe stato trascurato dalla Corte territoriale, in rapporto di causalità tale
con la soluzione giuridica della controversia da far ritenere, con giudizio di
certezza e non di mera probabilità, che la sua corretta considerazione
avrebbe comportato una decisione diversa.
Piuttosto si dilunga nella trascrizione dei capitoli di prova e delle
risposte fornite dai testi escussi – i quali sovente riferiscono su circostanze
secondarie, marginali, sicuramente non dirimenti se non addirittura

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mirato ad evitare che il giudizio di cassazione, che è giudizio di legittimità,

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irrilevanti – al solo fine di indurre il convincimento del giudice di legittimità
che l’adeguata valutazione di tali fonti probatorie avrebbe giustificato
l’accoglimento della domanda.
Sostiene poi che la Corte reggina avrebbe dovuto procedere alla verifica

mezzo di un esame comparato, i punti di contrasto e verificare, sulla base
degli altri riscontri intrinseci ed estrinseci, quali delle dichiarazioni fossero
più attendibili e verosimiglianti, e quali no.
Invece le testimonianze in controversia erano liberamente apprezzabili
dalla Corte territoriale, con conseguente applicabilità del consolidato
principio secondo cui l’esame delle risultanze della prova testimoniale, il
giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di
altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più
idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati
al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione
una fonte di prova, con esclusione di altre, non incontra altro limite che
quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a
discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (tra
le molte: Cass. n. 17097 del 2010, n. 27464 del 2006, n. 1554 del 2004, n.
11933 del 2003, n. 13910 del 2001).
Nella sentenza impugnata i giudici espongono chiaramente le ragioni del
loro convincimento fondato sulla valutazione di tutte le prove testimoniali
assunte nel giudizio, sulle discordanze nella ricostruzione della vicenda
storica tra i fatti allegati nell’atto introduttivo del giudizio e le risultanze
dell’interrogatorio formale reso dal Montechiarello, sulla mancata conferma
ad opera dei testi indotti dalla stessa parte attrice di siffatta ricostruzione
postuma, sulla prova logica rappresentata dall’incompatibilità di una pretesa
attività lavorativa di zappatura, irrigazione, potatura, concimazione, raccolta
di frutti e allevamento di animali da cortile condotta per otto-dieci ore al
giorno, per quasi tutti i giorni dell’anno, con uno stato di salute precario che

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del contenuto delle dichiarazioni testimoniali al fine di individuare, per

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ha consentito al Montechiarello di conseguire la pensione di invalidità
dell’INPS.
In definitiva parte ricorrente, lungi dal denunciare una totale
obliterazione di fatti decisivi che potrebbero condurre ad una diversa
giudizio un significato fuori dal senso comune od ancora un difetto di
coerenza tra le ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli
argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi, si limita a far valere la non
rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito al
diverso convincimento soggettivo patrocinato dalla parte, proponendo un
preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti.
Tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di
valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono
al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di
tale convincimento rilevanti ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c..
Sicché le censure si traducono nell’invocata revisione delle valutazioni e
dei convincimenti espressi dal giudice di merito, tesa a conseguire una
nuova pronuncia sul fatto, non concessa perché estranea alla natura ed alla
finalità del giudizio di legittimità.
3.— Pertanto il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza liquidate come in dispositivo.
P. Q . M .
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 100 per esborsi ed euro
3.000,00 per compensi nei confronti dei resistenti Cartisano ed in euro
1.500,00 per compensi professionali in favore dell’Inps.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 2 L marzo 2014
Il Presidente

Il Consi liere estensore

decisione ovvero una manifesta illogicità nell’attribuire agli elementi di

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