Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9960 del 15/05/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 9960 Anno 2015
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: TERRUSI FRANCESCO

SENTENZA

sul ricorso 22524-2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente contro

2015
759

SQUARCINA GUERRINA, AGENZIA DEL TERRITORIO;

– Intimati –

Nonché da:
SQUARCINA GUERRINA, elettivamente domiciliata in ROMA
VIA DEI MONTI PARIOLI 48, presso lo studio

Data pubblicazione: 15/05/2015

UNO

dell’avvocato GIUSEPPE MARINI, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato LORIS TOSI giusta
delega a margine;
controricorrente incidentale contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, AGENZIA DEL TERRITORIO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 31/2008 della COMM.TRIB.REG.
di VENEZIA, depositata il 25/09/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19/02/2015 dal Consigliere Dott.
FRANCESCO TERRUSI;
udito per il ricorrente l’Avvocato PUCCIARIELLO che
ha chiesto l’accoglimento;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI che ha concluso per
raccoglimento del l° motivo, assorbiti altri del
ricorso principale, assorbito o inammissibile il
ricorso incidentale condizionato.

22529-09

Successione —
rettifica e
liquidazione —
valori
immobiliari —
determinazione —
decadenza —
termine decorrenza

Svolgimento del processo
Con sentenza in data 25 settembre 2008, non
notificata, la commissione tributaria regionale del
Veneto, rigettando l’appello dell’agenzia delle entrate,
dichiarava illegittimo, per maturata decadenza, un avviso

di rettifica del valore dichiarato di un immobile caduto
nella successione di Dino Zanuoli, apertasi il 20 febbraio
1998. Riteneva infatti assolto il pagamento dell’imposta
principale fin dal momento della presentazione della
dichiarazione di successione, in data 19 febbraio 1999,
con conseguente decorrenza del termine di decadenza
biennale previsto dall’art. 27, 3 ° co., del d.lgs. n. 34690, essendo l’avviso stato emesso il 17 maggio 2005 e
notificato il 13 giugno dello stesso anno.
Avverso la sentenza l’agenzia delle entrate ha
proposto ricorso per cassazione, articolando cinque
motivi.
L’intimata ha replicato con controricorso e ha
proposto ricorso incidentale condizionato sorretto da
sedici motivi.
Motivi della decisione
I. – Il ricorso principale prospetta censure
articolate come segue.
Col primo motivo, la ricorrente denunzia la nullità
della sentenza per violazione e falsa applicazione
dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992. Evidenzia che la
contribuente aveva impugnato l’avviso di rettifica e di

i

P

liquidazione di imposte di successione, ipotecaria e
catastale, eccependo per tutte la decadenza, e che la
commissione tributaria provinciale aveva dichiarato la
rettifica intempestiva ai fini delle imposte ipotecaria e
catastale e tempestiva ai fini dell’imposta di
successione. La statuizione era stata impugnata da

entrambe le parti. La ricorrente lamenta che la
commissione tributaria regionale non abbia chiarito ai
fini di quale imposta, fra quelle in contestazione, la
rettifica dovesse considerarsi fuori termine, e sostiene
che, “risolvendosi in un dictum incomprensibile”, la
sentenza sarebbe in questo senso affetta da nullità.
Col secondo motivo, deducendo violazione e falsa
applicazione dell’art. 13 del d.lgs. n. 347-90 e degli
artt. 27 e 30 del d.lgs. n. 346-90, la ricorrente ascrive
alla sentenza di avere errato nel ritenere maturata la
decadenza, venendo in questione il tributo relativo a una
successione apertasi il 20 settembre 1998. A suo dire
l’ufficio, ex art. 27, 2 0 co., del d.lgs. n. 346-90, aveva
un termine di tre anni dalla presentazione della
dichiarazione per liquidare l’imposta dovuta in base a
essa e, successivamente, un termine biennale per
notificare l’avviso di rettifica dei valori dichiarati.
La ricorrente formula il quesito “se il termine biennale
di decadenza per rettificare (..) il valore dichiarato
degli immobili caduti in successione (..) decorre dalla
scadenza del termine di tre anni dalla presentazione della
denunzia di successione per liquidare l’imposta principale

2

,.:

di successione e le imposte ipotecarie e catastali
risultanti dalla correzione di errori od omissioni
commesse dagli eredi .e legatari nell’autoliquidazione
delle ridette imposte (..), oppure (..) dal sessantesimo
giorno dalla data in cui sia stato notificato l’avviso di
liquidazione dell’imposta principale (..) oppure dal

precedente giorno di effettivo pagamento di quanto
richiesto con detto avviso (..)”.
Col terzo motivo la ricorrente denunzia violazione e
falsa applicazione dell’art. 27 del d.lgs. n. 346-90.
Attesa l’apertura della successione il 20 settembre 1998,
con dichiarazione presentata il 19 febbraio 1999, si
sostiene che l’ufficio poteva rettificare i valori
dichiarati “entro il termine biennale di decadenza
decorrente dalla scadenza del termine di tre anni dalla
presentazione della dichiarazione (..) o da giorno
successivo di 60 giorni alla data in cui ha notificato
l’avviso di liquidazione del’imposta principale, oppure
dal precedente giorno di effettivo pagamento di questa
(..)”.
Col quarto motivo è dedotta la nullità della sentenza
per violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 53 del
d.lgs. n. 546-92 e 112 c.p.c. In tal caso la ricorrente movendo dal presupposto che la commissione tributaria
provinciale aveva ritenuto nullo l’avviso di rettifica e
di liquidazione per omessa allegazione di alcuni atti
(l’attribuzione della consistenza e della rendita, la
perizia di stima dell’agenzia del territorio, il parere

3

i

dell’O.m.i. e via seguitando), e che l’ufficio aveva
proposto appello sul punto, deducendo che non era
necessaria l’allegazione di questi atti – lamenta che
l’impugnata sentenza non abbia deciso su tali questioni.
Infine col quinto motivo la ricorrente ulteriormente
denunzia, in relazione a quanto rappresentato, la nullità

della sentenza per violazione e falsa applicazione
dell’art. 36 del d.lgs. n. 546-92, lamentando che la
commissione tributaria regionale abbia respinto la censura
dell’ufficio senza spendere una sola parola in proposito e
senza spiegare minimamente la decisione assunta.
IL – Vanno esaminate prioritariamente le censure di
cui ai motivi primo, quarto e quinto, che denunziano vizi
processuali incidenti sull’atto-sentenza.
III. – Il primo motivo è infondato.
Per quanto l’impugnata sentenza,

nella parte

dispositiva, si sia limitata a respingere l’appello
dell’ufficio e a confermare la sentenza di primo grado, va
osservato che la motivazione si presenta orientata a
rappresentare l’effettivo tenore della decisione siccome
involgente l’avviso di rettifica in tutta la sua portata;
ivi compreso, quindi, il tributo successorio; al quale,
del resto, è dedicata l’unica argomentazione in effetti
spesa dalla commissione tributaria regionale, facente leva
sulla decorrenza del termine biennale di decadenza dalla

/

presentazione della dichiarazione.

P

Nel giudizio di cognizione l’esatto contenuto della
pronuncia va individuato non alla stregua del solo

4

dispositivo, bensì integrando questo con la motivazione,
nella parte in cui la medesima rivela l’effettiva volontà
del giudice (v.

ex allis Cass. n. 23826-10). Nella specie

è da ritenere prevalente la motivazione, nel senso che il
tenore della decisione assunta dal giudice d’appello va
interpretato in base all’unica argomentazione che in

realtà essa contiene.
IV. – Il quarto e il quinto motivo sono a loro volta
infondati per una comune ragione. L’impugnata sentenza ha
infatti deciso l’appello in funzione sostitutiva della
sentenza di primo grado, sulla base di una questione
(l’avvenuta decadenza dall’azione accertativa) ritenuta
assorbente. Ciò esclude l’omissione di pronuncia, e men
che meno l’omissione motivazionale, sulle questioni
assorbite.
V. – Le censure di cui al secondo e al terzo motivo,
in verità sovrapponibili in quanto ripetitive del medesimo
concetto, sono invece fondate nel senso che segue.
La fattispecie oggetto di giudizio è caratterizzata
dai seguenti dati di fatto, accertati dal giudice di
merito: (a) la successione si è aperta il 20 settembre
1998; (b) la dichiarazione di successione è stata
presentata il 19 febbraio 1999; (c) l’imposta principale
di successione è stata liquidata dall’ufficio il 5 giugno
2001 ed è stata pagata il 3 agosto 2001. Peraltro, sempre
in base alla sentenza d’appello, l’erede provvide a
effettuare un pagamento dell’imposta principale di
successione, in autoliquidazione, 1’11 febbraio 1999.

5

Su questo fa leva la parte contribuente per
sottolineare, nel controricorso, il correlato adempimento
previsto dall’art. 11 del d.l. n. 79 del 1997, conv. in 1.
n. 140 del 1997. Siffatta norma ha inserito nell’art. 33
del d.lgs. n. 346-90 il coma 1-bis a tenore del quale “se
nella dichiarazione di successione e nella dichiarazione

sostitutiva o integrativa, sono indicati beni immobili e
diritti reali sugli stessi, gli eredi e i legatari devono
provvedere nei termini indicati nell’art. 31, alla
liquidazione ed al versamento delle imposte ipotecaria e
catastale, di bollo, delle tasse ipotecarie e dell’imposta
sostitutiva di quella comunale sull’incremento di valore
degli immobili (..)”.
Secondo la parte contribuente, la sottolineatura
giustificherebbe la statuizione della commissione
tributaria, per la quale, ai sensi dell’art. 27, 3 0 co.,
del d.lgs. n. 346-90, il termine per l’esercizio del
potere di rettifica della dichiarazione scadeva il 19
febbraio 2001, vale a dire al biennio dalla dichiarazione
di successione. Giustificherebbe la statuizione in quanto
l’adempimento dell’imposta principale, cioè dell’imposta
liquidata in base alla dichiarazione presentata (art. 27,
70 co.), doveva ritenersi assolto fin dal momento della
presentazione della dichiarazione detta.
La tesi è errata in diritto.
Sussunta la fattispecie sotto la norma ex art. 27, 3 °
co., del d.lgs. n. 346-90, rileva il testo conseguente
all’art. 10, 10 ° co., del d.l. n. 323 del 1996, conv. in

6

1. n. 425 del 1996, in base al quale “successivamente
l’ufficio, se ritiene che la dichiarazione, o la
dichiarazione sostitutiva.o integrativa, sia incompleta o
infedele ai sensi dell’art. 32, commi 2 e 3, procede alla
rettifica e alla liquidazione della maggiore imposta a
norma dell’art. 34. La rettifica deve essere notificata,

mediante avviso, entro il termine di decadenza di due anni
dal pagamento dell’imposta principale”.
Tale pagamento, diversamente da quanto ritenuto dalla
contribuente, non è quello in autoliquidazione, sebbene
quello, che solo interessa ai fini dell’assolvimento
dell’imposta principale, sostanziato in conseguenza della
liquidazione operata dall’ufficio.
Difatti, per decidere sulla dichiarazione tributaria
di successione, l’ufficio competente è fornito di due
poteri. Il primo si concretizza nella liquidazione
dell’imposta in base alla dichiarazione, vale a dire nel
potere di determinare l’imposta principale e l’imposta
suppletiva di successione, e il suo esercizio è
manifestato da un’attività di accertamento liquidatori°
formale da effettuarsi entro il termine di tre anni dalla
data di presentazione della dichiarazione di successione
(art. 27, 2° co.). Il secondo si concretizza nella
eventuale rettifica della dichiarazione del contribuente
e, conseguentemente, nella determinazione dell’imposta
complementare di successione, e il suo esercizio è
manifestato da un accertamento tributario sostanziale
regolato, quanto ai tempi, dal ripetuto art. 27, 3 0 co.

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Per quanto allora non sia dalla legge specificato il
fatto rispetto al quale il provvedimento amministrativo
tributario di determinazione dell’imposta complementare
abbia a collocarsi “successivamente” (come risulta
dall’incipit del 3 0 coma dell’art. 27), appare abbastanza
evidente, finanche in base alla collocazione del comma in

sequenza rispetto a quanto previsto in quello precedente,
che tale fatto sia costituito dal pagamento conseguente
alla liquidazione d’ufficio

dell’imposta principale.

Simile conclusione è confortata dalla stessa logica del
procedimento liquidatorio, in quanto, come questa corte ha
già osservato (v. Cass. n. 24578-10), l’autoliquidazione
che, in base al d.l. n. 79 del

1997,

accompagna la

dichiarazione di successione — e quindi precede la
liquidazione vera e propria dell’imposta da parte
dell’ufficio — costituisce solo una modalità di pagamento
anticipato rispetto al momento ordinario. Essa non può
essere considerata un’autonoma e diversa imposta
principale, essendo concettualmente possibile una sola
imposta principale di successione.
VI. – Va dunque fissato il seguente principio di
diritto: in tema di imposta sulle successioni, il termine
di decadenza entro il quale l’ufficio può procedere alla
liquidazione dell’imposta complementare decorre sempre dal
pagamento dell’imposta principale di successione, che
consegue alla liquidazione operata in base alla
dichiarazione ai sensi dell’art. 27, 2 0 co., del d.lgs. n.
346-90 anche nel caso in cui il contribuente abbia

8

v

proceduto a effettuare un pagamento in autoliquidazione,
posto che l’autoliquidazione, che accompagna la
dichiarazione di successione ed eventualmente precede la
liquidazione vera e propria dell’imposta da parte
dell’ufficio, costituisce una semplice modalità di
pagamento anticipato rispetto al momento ordinario, e come

dies a quo

del termine di

tale non interessa quale

decadenza di cui all’art. 27, 3 ° co.
Al lume di tale principio, il potere di rettifica
sostanziale era stato nella specie esercitato
tempestivamente in quanto l’atto, in base alla sentenza,
era stato notificato il 13 giugno 2005. Vero è che
l’imposta principale conseguente alla liquidazione
dell’ufficio era stata pagata il 3 agosto 2001. Ma il
termine di decadenza biennale era ancora pendente alla
data di entrata in vigore della sopravvenuta 1. n. 289 del
2002, sicché da questa era stato prorogato (art. 11) di un
biennio ulteriore.
L’impugnata sentenza va quindi cassata.
Segue il rinvio essendo nella sentenza rappresentate
ulteriori questioni di merito, ritenute assorbite.
VII. – Dev’essere considerato a questo punto il
ricorso incidentale condizionato della parte contribuente.
I sedici motivi del ricorso incidentale condizionato
si risolvono nella riedizione di questioni asseritamente
già prospettate nell’ambito del giudizio d’appello.
Trattasi però di questioni processuali e di merito, che
l’impugnata sentenza ha implicitamente considerato


9

assorbite, avendo attinto la

ratio decidendi

da quella

sulla decadenza dell’ufficio, di carattere decisivo.
Consegue che il ricorso incidentale condizionato resta
inammissibile in base alla consolidata regola per la quale
la parte vittoriosa nel giudizio di merito non può
sollevare direttamente in cassazione le questioni che

siano rimaste assorbite, essendo tali questioni, in caso
di accoglimento del ricorso principale, riproponibili
davanti al giudice di rinvio (v. tra le tantissime Cass.
n. 27157-11, n. 12728-10, n. 9907-10, n. 3796-08; n.
22501-06).
VIII. – Conclusivamente, va accolto il ricorso
principale in relazione al secondo e al terzo motivo.
L’impugnata sentenza va cassata con rinvio alla medesima
commissione tributaria regionale del Veneto, diversa
sezione. Resta assorbito l’incidentale.
Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del
giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.
p.q.m.
La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo del
ricorso principale e rigetta i motivi primo, quarto e
quinto del medesimo; cassa l’impugnata sentenza in
relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese
del giudizio di cassazione, alla commissione tributaria
regionale del Veneto; dichiara inammissibile il ricorso
incidentale condizionato.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della
quinta sezione civile, addì 19 febbraio 2015.

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