Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9960 del 08/05/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 9960 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: BANDINI GIANFRANCO

SENTENZA

sul ricorso 3719-2013 proposto da:
OLIVASTRI ENRICO C.F. LVSNRC41C12L3631, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA L. MANTEGAZZA 24, presso lo
studio del Dott. GARDIN MARCO, rappresentato e difeso
dall’avvocato DE LAURETIS VINCENZO, giusta delega in
0

atti;
– ricorrente –

2014
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contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio

Data pubblicazione: 08/05/2014

dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e
difende, giusta delega in atti;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 815/2012 della CORTE D’APPELLO
di L’AQUILA, depositata il 14/09/2012 R.G.N.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/03/2014 dal Consigliere Dott.
GIANFRANCO BANDINI;
udito l’Avvocato DE LAURENTIS VINCENZO;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega PESSI
ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI,che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.

1070/2011;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Olivastri Enrico propose impugnazione avverso il licenziamento per
giustificato motivo soggettivo irrogatogli dalla datrice di lavoro Poste

malattia dedotta dal ricorrente non era idonea a giustificare il
comportamento contestatogli.
La Corte d’Appello dell’Aquila, accogliendo parzialmente il gravame
dell’Olivastri, condannò la parte datoriale alla corresponsione della
retribuzione maturata sino al 26 novembre 2002, con gli accessori di
legge; in particolare rilevò che, poiché lo stesso lavoratore aveva
dedotto di essersi trovato, all’epoca, in una condizione patologica
grave e cronica, doveva ritenersi sussistente non un motivo
soggettivo, ma un motivo oggettivo, essendo oggettiva la condizione
di malattia; non vi erano inoltre elementi da cui desumere che le
reazioni del datore di lavoro fossero state causa sufficiente della
malattia del dipendente, anziché effetto della stessa e neppure per
escludere che l’oggettiva inidoneità allo svolgimento dell’attività
lavorativa fosse addebitabile anziché alla malattia ad un illegittimo
comportamento del datore di lavoro; peraltro, non essendo stato il
licenziamento irrogato “per giusta causa” e quindi “in tronco”, ma per
giustificato motivo, i relativi effetti decorrevano dal termine del
periodo di sospensione del rapporto per malattia e, quindi, sul punto
l’appello doveva essere accolto.
Questa Corte di legittimità, con sentenza n. 17405/2011, accolse il
ricorso del lavoratore, cassò la sentenza impugnata e rinviò alla

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Italiane spa; il Giudice adito rigettò il ricorso, ritenendo che la

Corte d’Appello dell’Aquila, in diversa composizione; con tale
pronuncia, alla luce del principio dell’immutabilità della causa del

confuso tra licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo
soggettivo (entrambi rientranti nella categoria del licenziamento
disciplinare, sia pure a diverso titolo) e quello per giustificato motivo
oggettivo, invece assimilabile al licenziamento per superamento del
periodo di comporto e, come tale, di natura profondamente diversa
rispetto al licenziamento disciplinare; tale considerazione era da
ritenersi assorbente, visto che l’intero ragionamento sviluppato nella
sentenza impugnata muoveva dalla erronea premessa della
possibilità per il giudice di qualificare in termini di licenziamento per
giustificato motivo oggettivo un recesso contestato come recesso
disciplinare.
Riassunto il giudizio, la Corte d’Appello dell’Aquila, con sentenza del
21.6-14.9.2012, rigettò l’appello.
Il Giudice del rinvio, a sostegno del decisum, osservò quanto segue:
– lo stesso lavoratore aveva riconosciuto l’accadimento dei fatti
contestati e la loro spiccata idoneità lesiva del vincolo fiduciario
(essendo consistiti in reiterati atteggiamento di rifiuto di eseguire
ordini di servizio e in comportamenti lesivi della dignità della persona,
in quanto estrinsecatisi in rovistamento di cassetti riservati, insulti,
bestemmie, parolacce, ingiurie, ecc), tanto che le sue difese si erano
sostanziate nell’assumere l’incompatibilità del licenziamento

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licenziamento, venne rilevato che il Giudice del gravame aveva

disciplinare con il proprio stato di salute, che avrebbe determinato
l’impossibilità di attribuire soggettivamente i comportamenti

– anche la sentenza cassata, che aveva fatto propria la tesi
difensiva dell’appellante, al punto da individuare nello stato di
malattia la legittimità del licenziamento, aveva escluso che il disagio
psichico fosse stato aggravato dai provvedimenti adottati nei
confronti del lavoratore di asserita natura persecutoria, difettando
elementi che potessero indurre a ritenere che le reazioni al datore di
lavoro fossero state causa sufficiente della grave malattia psichica
del dipendente, anziché effetto della stessa, come, del resto,
dimostrava il fatto che la condotta scorretta ed ingiuriosa si era
estrinsecata in una pluralità di occasioni diverse, non riferibili a
particolari sollecitazioni nei suoi confronti e, segnatamente, a danno
di una pluralità di colleghi di lavoro;
– la documentazione sanitaria prodotta non consentiva di
apprezzare una effettiva o anche solo probabile incidenza delle
condizioni di salute del lavoratore, sotto l’aspetto ideativo e volitivo,
nella commissione dei comportamenti contestati, tale da poterne
escludere l’attribuibilità soggettiva allo stesso; al riguardo era
sufficiente evidenziare come le sue condizioni di salute erano state
monitorate dalla competente Commissione Medica dell’Ausl di
Pescara che, in data 13.02.2002, lo aveva ritenuto idoneo alle sue
mansioni di addetto all’area operativa, mentre, in precedenza (il

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sanzionati alla sua sfera di volontà;

17.02.2001), lo aveva ritenuto idoneo a mansioni che non avessero
richiesto un particolare impegno psicofisico e il contatto con il

superare la tesi della “malattia esimente” allegata dall’appellante per
sottrarsi alla responsabilità delle proprie azioni, non emergendo da
alcun documento sanitario acquisito la sussistenza di una patologia
psichica di tale imponenza da poter portate a ritenere condivisibile la
conclusione che l’Olivastri non fosse responsabile delle proprie
azioni; trattavasi, infatti, di documenti generici, dai quali non era
possibile inferire nulla sulla dedotta incapacità naturale, in quanto
non confermata da indagini che si sarebbero dovute esperire in sede
giudiziale e che non risultavano richieste, e neppure avvalorata da
altri elementi attestanti la natura e l’importanza della sindrome
lamentata, tali da dimostrare l’ esistenza di uno stato di incapacità
naturale, sicché, non pareva dubbio che detta documentazione, al
più, costituisse solo semplice indizio, bisognevole di ulteriori elementi
di riscontro, per fondare la tesi propugnata dal lavoratore;
– solo per completezza, sul punto, doveva evidenziarsi che lo stato
di malattia dedotto a sostegno dell’incapacità naturale allegata in
grado di appello, nel giudizio di primo grado era stato riferito al solo
fine “di sminuire la portata e di giustificare il proprio comportamento
in relazione al disagio determinato dalla sue condizioni di salute in
quanto affetto da sindrome ansioso depressiva” e, nel contempo,
che il riferimento alla sequela di asserite ingiustificate sanzioni

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pubblico, escludendo anche il lavoro notturno; ciò consentiva di

disciplinari (che avrebbe inciso negativamente sul suo stato di
salute, inducendolo senza sua colpa in una condizione patologica di

qualche modo idonee a provocare le sue reazioni ansiose) era stato
funzionale alla tesi della

“impossibilità sopravvenuta della

prestazione per inidoneità al servizio ed in ultima analisi di
giustificato motivo oggettivo” e, comunque, alla censura in ordine alla

dedotta inversione dell’onere della prova, in relazione alla quale
doveva, per contro, evidenziarsi che, in tema di licenziamento
disciplinare, incombe al lavoratore dimostrare che l’inadempimento
accertato non è imputabile ad una sua volontà di sottrarsi
ingiustamente alla prestazione o al comportamento dovuto;
in relazione al secondo motivo di censura (relativo all’inefficacia
del licenziamento fino al decorso della malattia), l’affermata natura
disciplinare del licenziamento escludeva l’obbligo per il datore di
lavoro di mantenere in vita un contratto di durata con un dipendente
la cui condotta era stata tale da ledere irrimediabilmente la fiducia
nel dipendente medesimo, comportando così il venir meno dei
presupposti per la prosecuzione del rapporto di lavoro.
Avverso l’anzidetta sentenza resa dal Giudice del rinvio, Olivastri
Enrico ha proposto ricorso per cassazione fondato su cinque motivi e
illustrato con memoria..
La Poste Italiane spa ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE

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abnorme reattività nei confronti di situazioni e sollecitazioni in

eit

1. Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione di
plurime disposizioni di legge e di contratto collettivo nazionale di
lavoro, deduce l’avvenuta formazione del giudicato interno sulla

parte datoriale limitata a richiedere il rigetto del ricorso per
cassazione avverso la pronuncia d’appello; per conseguenza,
erroneamente la sentenza impugnata aveva fatto applicazione delle
clausole contrattuali collettive richiamate nella lettera di
licenziamento.
Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione di
plurime norme di legge, si duole che la Corte territoriale non abbia
dato corso alle indagini peritali che pure aveva riconosciuto si
sarebbero dovute esperire, e ciò benché la richiesta di CTU fosse
stata svolta nel ricorso di prime cure e riproposta nel ricorso
d’appello.
Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente, denunciando vizio di
motivazione, si duole che la Corte territoriale, pur in presenza della
documentazione prodotta e delle sommarie informazioni acquisite in
sede penale, abbia negato il nesso di causalità tra le malattie e le
situazioni di conflitto lavorativo.
Con il quarto motivo il ricorrente, denunciando violazione di plurime
norme di legge, si duole che la Corte territoriale, stante
l’incontrovertibile incapacità naturale, non abbia tenuto conto

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natura di giustificato motivo oggettivo della fattispecie, essendosi la

dell’obbligo di inversione dell’onere della prova circa l’esistenza di un
lucido intervallo nel momento della commissione dei fatti addebitati.
Con il quinto motivo il ricorrente, denunciando violazione di plurime

deduce che il Giudice del rinvio aveva negli effetti mutato d’ufficio il
titolo del licenziamento da giustificato motivo soggettivo a giusta
causa, posto che, decorrendo il preavviso, la cessazione del
rapporto di lavoro avrebbe dovuto essere collocata al termine del
periodo di malattia.
2. In ordine al primo motivo, deve rilevarsi che la sussistenza di una
situazione di giustificato motivo oggettivo ha costituito il precedente
logico giuridico su cui si è fondata la sentenza resa in grado
d’appello per ritenere la legittimità del recesso datoriale.
L’avvenuta cassazione di tale statuizione comporta quindi che non
può essersi formato il giudicato interno sul ridetto precedente della
decisione cassata.
Correttamente quindi la Corte territoriale ha rilevato che l’esame che
era chiamata a svolgere sui motivi di gravame avverso la sentenza di
primo grado doveva partire dal presupposto che “le censure vanno
riferite al licenziamento disciplinare intimato”;

donde, altresì,

l’infondatezza della dedotta violazione delle clausole contrattuali
regolanti la fattispecie (di licenziamento disciplinare, appunto)
dedotta in giudizio.

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disposizioni di legge e di contratto collettivo nazionale di lavoro,

3. Secondo la giurisprudenza di questa Corte la consulenza tecnica
di ufficio è un mezzo istruttorio, non una prova vera e propria, ed è
pertanto, sottratta alla disponibilità delle parti, restando affidato al

necessità ed utilità di farvi ricorso, il cui esercizio si sottrae al
sindacato di legittimità anche quando difetti un’espressa motivazione
al riguardo (cfr, ex plurimis, Cass, n. 10589/2001; 27002/2005),
salva la presenza di una istanza di ammissione di tale mezzo
formulata dalla parte, sempre che in essa siano state indicate le
ragioni dell’indispensabilità delle indagini tecniche per la decisione
(cfr, Cass., n. 14979/2000); tale ultima ipotesi non ricorre tuttavia nel
caso di specie, non avendo il ricorrente indicato, in ossequio al
principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, se e in che
termini tale istanza sarebbe stata riproposta al Giudice del rinvio.
Il secondo motivo non può pertanto essere accolto.
4.

In ordine al terzo motivo deve considerarsi che, secondo la

costante giurisprudenza di questa Corte, la deduzione con il ricorso
per cassazione di un vizio di motivazione non conferisce al giudice di
legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale
sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il
profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale,
delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, essendo del tutto
estranea all’ambito del vizio in parola la possibilità, per la Corte di

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prudente apprezzamento del giudice del merito il giudizio circa la

legittimità, di procedere ad una nuova valutazione di merito
attraverso l’autonoma disamina delle emergenze probatorie.
Per conseguenza il vizio di motivazione, sotto il profilo della

sussistente solo qualora, nel ragionamento del giudice di merito,
siano rinvenibile tracce evidenti del mancato o insufficiente esame di
punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili
d’ufficio, owero qualora esista un insanabile contrasto tra le
argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire
l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della
decisione; per conseguenza le censure concernenti i vizi di
motivazione devono indicare quali siano gli elementi di
contraddittorietà o illogicità che rendano del tutto irrazionali le
argomentazioni del giudice del merito e non possono risolversi nella
richiesta di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella
operata nella sentenza impugnata (cfr, ex plurimis, Cass., nn.
824/2011; 13783/2006; 11034/2006; 4842/2006; 8718/2005;
15693/2004; 2357/2004; 12467/2003; 16063/2003; 3163/2002).
Al contempo va considerato che, affinché la motivazione adottata dal
giudice di merito possa essere considerata adeguata e sufficiente,
non è necessario che essa prenda in esame, al fine di confutarle o
condividerle, tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è
sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento,
dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le

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omissione, insufficienza e contraddittorietà della medesima, può dirsi

argomentazioni logicamente incompatibili con esse (cfr, ex plurimis,
Cass., n. 12121/2004).
Nel caso all’esame la sentenza impugnata, nei termini diffusamente

fini della decisione, svolgendo un iter argomentativo esaustivo,
coerente con le emergenze istruttorie acquisite e immune da
contraddizioni e vizi logici; le valutazioni svolte e le coerenti
conclusioni che ne sono state tratte configurano quindi un’opzione
interpretativa del materiale probatorio del tutto ragionevole e che, pur
non escludendo la possibilità di altre scelte interpretative anch’esse
ragionevoli, è espressione di una potestà propria del giudice del
merito che non può essere sindacata nel suo esercizio (cfr,

ex

plurimis, Cass., nn. 14212/2010; 14911/2010).

In definitiva, quindi, le doglianze del ricorrente si sostanziano nella
esposizione di una lettura delle risultanze probatorie diversa da
quella data dal giudice del gravame e nella richiesta di un riesame di
merito del materiale probatorio, inammissibile in questa sede di
legittimità.
5.

Il rigetto del terzo motivo comporta l’assorbimento del secondo,

siccome presupponente l’avvenuto accertamento di una condizione
di incapacità naturale del lavoratore.
6.

Il licenziamento, com’è pacifico, è stato intimato per giustificato

motivo soggettivo con preavviso.

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esposti nello storico di lite, ha esaminato le circostanze rilevanti ai

Trova quindi applicazione il principio secondo cui l’inosservanza del
divieto di licenziamento del lavoratore in malattia, fino a quando non
sia decorso il cosiddetto periodo di comporto (art. 2110, comma 2,

cc), non determina di per sé la nullità della dichiarazione di recesso
del datore di lavoro, ma implica, in applicazione del principio della
conservazione degli atti giuridici (art. 1367 cc), la temporanea
inefficacia del recesso stesso fino alla scadenza della situazione
ostativa (cfr,

ex plutimis,

Cass., nn. 9037/2001; 9896/2003;

17334/2004; 7369/2005).
La Corte territoriale, rigettando il secondo motivo di censura, volto
alla declaratoria dell’inefficacia del licenziamento fino al decorso
della malattia, con il ritenere che l’affermata natura disciplinare del
licenziamento escludeva l’obbligo per il datore di lavoro di mantenere
in vita un contratto di durata con un dipendente la cui condotta era
stata tale da ledere irrimediabilmente la fiducia nel dipendente
medesimo, comportando così il venir meno dei presupposti per la
prosecuzione del rapporto di lavoro, si è discostata da tale principio,
evidentemente non considerando che il licenziamento era sì di
natura disciplinare, ma con preavviso (art. 2118 cc).
Il quinto motivo di ricorso è dunque fondato.
7.

In definitiva soltanto il quinto motivo di ricorso, testé esaminato,

merita accoglimento, mentre gli altri vanno disattesi.
Per l’effetto la sentenza impugnata va cassata in relazione alla
censura accolta.

13

/

Poiché non è necessario alcun ulteriore accertamento di fatto,
essendo stato già riconosciuto nei precedenti gradi che lo stato di
malattia si era protratto sino al 26 novembre 2002, la controversia

dell’efficacia del licenziamento fino alla suddetta data e con la
conseguente condanna della parte datoriale al pagamento della
retribuzione, sempre fino alla stessa data, oltre rivalutazione
monetaria ed interessi legali.
La peculiarità della situazione fattuale, l’esito complessivo del
giudizio e le decisioni tra loro divergenti adottate nei gradi di merito
consigliano la compensazione delle spese per l’intero processo.

P. Q. M.
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la
sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e, decidendo
nel merito, dichiara la sospensione dell’efficacia del licenziamento
sino al 26 novembre 2002 e condanna la controricorrente al
pagamento delle retribuzioni dovute fino a tale data, oltre
rivalutazione monetaria ed interessi legali; compensa le spese
dell’intero processo.
Così deciso in Roma il 27 marzo 2014.

può essere decisa nel merito con la declaratoria della sospensione

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