Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 996 del 20/01/2021

Cassazione civile sez. I, 20/01/2021, (ud. 26/11/2020, dep. 20/01/2021), n.996

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 20232/2015 proposto da:

Regione Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile

della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’Avvocato

Letizia Modesto, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Z.A., elettivamente domiciliata in Roma, Via G. Pisanelli

n. 4, presso lo studio dell’Avvocato Notaio Marco Ciotola,

rappresentata e difesa dall’Avvocato Ugo Maria Chirico, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

nonchè contro

Caere Debt Collection Ltd, Corsair Services Llc;

– intimate –

avverso la sentenza n. 1993/2015 della Corte d’appello di Napoli,

depositata il 4/5/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/11/2020 dal cons. Dott. Alberto Pazzi.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 1735/2012, accoglieva l’opposizione presentata dalla Regione Campania e revocava il decreto ingiuntivo (dell’importo di Euro 92.830) emesso in favore di Caere Debt Collection Limited, quale cessionaria del credito vantato da Consorzio Gest. In, a saldo del finanziamento concesso per la realizzazione di due progetti finalizzati alla creazione di un sistema di e-government per la Regione Campania.

2. A seguito dell’appello presentato da Corsair Services LLC (divenuta titolare del diritto controverso a seguito della cessione del credito da parte di Harold McKenzie Consulting Limited, che a sua volta era cessionaria di Care Debt Collection Limited), compagine intervenuta nel giudizio di primo grado in sede di precisazione delle conclusioni, la Corte d’appello di Napoli rilevava in primo luogo l’efficacia delle cessioni del credito avvenute, non trovando applicazione al caso di specie i requisiti di forma (per atto pubblico o scrittura privata autenticata) richiesti dal R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, comma 3, poichè la norma, di carattere eccezionale, regola la cessione di crediti di pertinenza della sola amministrazione statale e non può essere estesa ad amministrazioni differenti.

La Corte territoriale, una volta rigettata l’eccezione di inammissibilità dell’intervento in primo grado di Corsair Services LLC, stante la possibilità del successore a titolo particolare nel diritto controverso di intervenire nel giudizio in ogni sua fase e grado, con l’unico limite della preclusioni derivanti dal momento del suo intervento, osservava poi che la compagine appellante doveva considerarsi l’attuale titolare del credito, sia perchè il disposto del R.D. n. 2440 del 1923, art. 70, comma 3, non trova applicazione alle amministrazioni non statali, sia perchè il rapporto era ormai definito, sia perchè il credito non aveva natura strettamente personale.

La Corte distrettuale, infine, osservava che i provvedimenti di revoca dei finanziamenti non erano stati formalmente notificati all’appaltatrice e al soggetto titolare dei crediti e potevano ritenersi ancora impugnabili, mentre le contestazioni mosse all’appaltatore apparivano generiche e infondate, di modo che si imponeva la reiezione dell’opposizione proposta dalla Regione Campania e la conferma del decreto ingiuntivo opposto.

3. Per la cassazione di questa sentenza, pubblicata in data 4 maggio 2015, ha proposto ricorso la Regione Campania prospettando nove motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso Z.A., in qualità di ulteriore cessionaria del credito in questione da parte di Corsair Services LLC.

Le intimate Caere Debt Collection Limited e Corsair Services LLC non hanno svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., comma 1, n. 1 e comma 2 e art. 348-bis c.p.c., poichè l’appello proposto non conteneva, a dispetto del tenore della nuova normativa in tema di forma di questo tipo di impugnazione, l’indicazione specifica delle modifiche richieste alla ricostruzione fattuale operata dal primo giudice e delle circostanze di fatto su cui il presunto errore del primo giudice era ricaduto e risultava, invece, formulato in termini generici, alla stregua della vecchia disciplina.

5. Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente infatti, pur deducendo l’irritualità della formulazione dei motivi di appello, non ha riportato alcuna indicazione di elementi e riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale denunciato, onde consentire a questa Corte di apprezzare l’effettiva consistenza dei motivi di appello ed effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo della loro coerenza con il disposto dell’art. 342 c.p.c. applicabile ratione temporis.

Ora la Corte di cassazione, allorquando sia denunciato un error in procedendo, è sì anche giudice del fatto processuale e ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa al fine di valutare la fondatezza del vizio denunciato, purchè però lo stesso sia stato ritualmente indicato e allegato nel rispetto delle disposizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4; è perciò necessario, non essendo tale vizio rilevabile ex officio, che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il fatto processuale di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale (si vedano in questo senso, fra molte, Cass. 2771/2017 e Cass. 19410/2015).

Occorreva, pertanto, che l’odierno ricorrente accompagnasse la denunzia del vizio con la riproduzione, diretta o indiretta, del contenuto dell’atto che sorreggeva la censura, dato che questa Corte non è legittimata a procedere a un’autonoma ricerca degli atti denunciati come viziati, ma solo a una verifica del contenuto degli stessi.

In mancanza di una simile indicazione la doglianza in esame risulta, giocoforza, inammissibile, per violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

6.1 Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 105,111 e 268 c.p.c. in punto di ammissibilità dell’intervento di Corsair Services LLC: in tesi di parte ricorrente questo intervento, facendo valere l’autonomo interesse del cessionario del credito a partecipare al giudizio, aveva natura di intervento adesivo autonomo ex art. 111 c.p.c. e doveva ritenersi inammissibile, in quanto rimetteva in discussione il thema decidendum della causa e ne ostacolava la sua pronta definizione.

6.2 Con il terzo mezzo il ricorrente assume la violazione e falsa applicazione degli artt. 105,111 e 268 c.p.c. in punto di preclusioni istruttorie riguardanti l’interveniente Corsair Services LLC: la Corte d’appello avrebbe erroneamente disapplicato l’art. 268 c.p.c., comma 2, poichè l’interveniente, essendosi costituito al momento della precisazione delle conclusioni, non poteva produrre alcun documento a giustificazione della sua legittimazione, essendo soggetto alle medesime preclusioni oramai maturate fra le altre parti.

7. I motivi, da esaminarsi congiuntamente in ragione della loro connessione, non sono fondati.

Il disposto dell’art. 111 c.p.c., commi 1 e 3, – a norma del quale se nel corso del processo si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie ma il successore a titolo particolare può intervenire o, essere chiamato nel processo – fa sì che l’intervento del successore a titolo particolare possa liberamente avvenire nel corso del giudizio di primo grado e in sede di appello.

Questi, nello spiegare intervento volontario, assume nel processo una posizione coincidente con quella del suo dante causa, essendo succeduto nella titolarità del diritto in contestazione; pertanto il suo intervento – che è regolato dall’art. 111 c.p.c. e non dall’art. 105 c.p.c. e dà luogo, una volta avvenuto, ad una fattispecie di litisconsorzio necessario -, non può essere qualificato come intervento adesivo dipendente (Cass. 18767/2017) o autonomo, come vorrebbe l’odierno ricorrente.

Questa coincidenza di posizione processuale assunta dal successore a titolo particolare e dal suo dante causa comporta che il primo non possa proporre domande nuove, salvo quella diretta all’accertamento del suo diritto di intervenire, qualora venga contestato da una delle parti originarie (Cass. 10490/2001).

Accertamento, questo, che per avvenire deve poter comportare per l’interveniente la possibilità di addurre ogni prova a ciò funzionale (e per le parti originarie la correlata facoltà di addurre ogni prova utile a contestare l’asserita legittimazione).

Depone in questo senso il disposto dell’art. 372 c.p.c., secondo cui in sede di legittimità possono e debbono essere prodotti i documenti diretti a fornire la prova della legittimazione a proporre ricorso da parte di chi si assuma successore del soccombente in tempi anche successivi a quello del deposito del ricorso, purchè precedenti la discussione del medesimo (Cass. 6238/2006); tale possibilità, se è data all’interno del processo di legittimità, a maggior ragione non può che essere riconosciuta anche nei gradi di merito, caratterizzati da preclusioni meno rigide in tema di nuove produzioni documentali.

Il riconoscimento della preclusione di un simile accertamento in correlazione con lo sviluppo del processo comporterebbe, per contro, non solo la negazione del diritto di intervento che invece l’art. 111 c.p.c., comma 3, espressamente riconosce, ma anche l’obbligo per il successore nel diritto controverso di soggiacere agli effetti di merito della sentenza pronunciata, ai sensi del successivo capoverso, senza avere la possibilità di prendere parte alla lite per l’impossibilità di far valere la propria legittimazione.

La sentenza impugnata non si presta perciò a censure laddove riconosce la legittimazione del successore a titolo particolare nel diritto controverso a costituirsi in giudizio in sede di precisazione delle conclusioni e valuta, onde verificare l’effettiva sussistenza della legittimazione addotta, la documentazione a tal fine prodotta dall’interveniente.

8. Il quarto motivo si duole dell’omessa, contraddittoria ed inidonea motivazione sull’eccepita carenza di interesse ad agire di Corsair Services LLC, da cui deriverebbe la nullità della decisione impugnata: in tesi di parte ricorrente la decisione impugnata avrebbe travisato i fatti di causa, laddove aveva ritenuto che l’appellante fosse il titolare del diritto di credito senza pronunciarsi sull’eccezione di carenza di interesse ad agire formulata dalla Regione.

La Corte di merito – prosegue la ricorrente – avrebbe dovuto invece accertare tale carenza di interesse, sia perchè l’intervento di Corsair Services LLC era avvenuto dopo la revoca dei finanziamenti, mai impugnata e divenuta definitiva, sia perchè l’amministrazione regionale si era opposta, in ragione della revoca, tanto alla seconda che alla terza cessione, che andavano quindi considerate nulle o inefficaci.

L’inadeguata motivazione sulle eccezioni preliminari di rito comportava – conclude la ricorrente – la nullità della decisione di appello.

9. Il motivo risulta in parte infondato, in parte inammissibile.

La Corte di merito ha ben spiegato che Corsair Services LLC traeva la propria legittimazione dalla cessione del diritto di credito controverso da Harold McKenzie Consulting Limited, cessionaria di Care Debt Collection Limited, a sua volta cessionaria di Consorzio Gest. In ed ha osservato, nel prosieguo, che i provvedimenti di revoca del finanziamento, ancora impugnabili, si fondavano su contestazioni generiche ed infondate.

Queste considerazioni, implicitamente, ritengono di nessun pregio gli assunti della Regione circa la carenza di interesse ad agire della compagine intervenuta, sollevati dall’amministrazione appellata proprio sulla base della definitività della revoca dei finanziamenti che la Corte di merito ha invece escluso.

Nessuna carenza di motivazione può quindi essere prospettata, dato che secondo la giurisprudenza di questa Corte non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (v. Cass. 24155/2017).

Gli assunti in merito al travisamento dei fatti di causa e all’adeguatezza della motivazione si risolvono poi in un mero dissenso motivazionale rispetto alla valutazione della congerie istruttoria compiuta dal giudice di merito, le cui valutazioni non sono rivedibili in questa sede di legittimità.

10. Il quinto motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione del R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, comma 3 e art. 70: la Corte d’appello avrebbe ritenuto che la prima di tali norme non trovasse applicazione ad amministrazioni pubbliche non statali, pur in presenza di una consistente giurisprudenza di segno contrario e malgrado la L.R. 30 aprile 2002, n. 7, art. 32 faccia espresso rinvio, per quanto da essa non espressamente previsto, alle disposizioni di contabilità generale dello Stato, in quanto applicabili.

In ogni caso – secondo la ricorrente – solo ove il contratto di durata abbia esaurito i suoi effetti con l’esecuzione corretta e integrale della prestazione del contraente privato troverebbe applicazione la disciplina del codice civile, mentre nel caso di specie la prestazione oggetto del protocollo d’intesa non era stata completamente eseguita. La cessione, inoltre, non sarebbe stata ritualmente comunicata al debitore ceduto.

11. Il motivo risulta in parte inammissibile, in parte infondato. La costante giurisprudenza di questa Corte ritiene che il R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 69, comma 3, che richiede la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata e la notificazione alla P.A. della cessione del credito, riguardi la sola Amministrazione statale e sia insuscettibile di trovare applicazione analogica o estensiva con riguardo ad amministrazioni diverse (si vedano in questo senso Cass. 32788/2019, Cass. 30658/2017, Cass. 21747/2016, Cass. 20739/2015, Cass. 2760/2015 e Cass. 23273/2014).

La pretesa di applicare la norma in via analogica o estensiva anche ad amministrazioni non statali risulta quindi inammissibile, a mente dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1).

Nè vale ad un’applicazione in via indiretta la L.R. campana n. 7 del 2002, la quale fa rinvio residuale alle norme di contabilità generale dello Stato (intesa come organizzazione finanziario-contabile dello Stato presieduta da un complesso di norme che ne regolano la gestione amministrativa, il sistema dei controlli e la formazione dei bilanci).

Queste norme contabili infatti hanno una rilevanza meramente interna e non è riconducibile nel loro ambito la disciplina concernente i rapporti dell’amministrazione con i terzi.

Quanto all’esaurimento della prestazione oggetto del protocollo d’intesa (e alla conseguente applicabilità della disciplina dell’art. 1260 c.c.) e alla ritualità delle notifiche effettuate, la censura, ancora una volta, non evidenzia alcuna criticità in punto di diritto in capo alla decisione impugnata, ma è espressione di un mero dissenso motivazionale rispetto a un apprezzamento di fatto che, essendo frutto di una determinazione riservata al giudice di merito, non è sindacabile da questa Corte.

In questo modo il ricorso ha chiaramente allegato un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, ponendosi al di fuori dei limiti propri del mezzo di impugnazione utilizzato.

12. Il sesto motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1260 c.c., in relazione agli artt. 34 e 38 Reg. CE n. 1260/1999 e all’art. 1 del Protocollo sui privilegi e sulle immunità delle Comunità Europee: in tesi di parte ricorrente il credito in questione era di natura strettamente personale, essendo relativo al saldo di due finanziamenti nell’ambito del POR 2000-2006, alla cui realizzazione concorrevano le risorse dei fondi strutturali Europei; questi fondi erano vincolati alla realizzazione del programma operativo regionale e dei progetti presentati e ammessi al finanziamento nel suo ambito, senza possibilità di essere distratti attraverso cessioni del relativo credito a soggetti diversi dai beneficiari del finanziamento.

13. Il motivo è inammissibile.

La censura presuppone una circostanza di fatto (vale a dire che la spesa fosse coperta da fondi strutturali Europei) che non è stata presa in considerazione all’interno della sentenza impugnata; i ricorrenti avrebbero quindi dovuto preliminarmente chiarire se tale questione fosse stata effettivamente e tempestivamente devoluta alla cognizione del giudice del gravame (cfr., fra molte, Cass. 23675/2013).

Peraltro, la Corte d’appello, laddove ritiene che non risulti dimostrata la natura strettamente personale del credito “in una fattispecie in cui la prestazione svolta dall’appaltatore può invece dirsi esaurita”, lascia intendere che l’esigenza di garantire la regolare esecuzione della prestazione contrattuale, evitando che durante la medesima potessero esaurirsi le risorse finanziarie del soggetto obbligato verso l’amministrazione e risultasse così compromessa la regolare prosecuzione del rapporto, non era più ravvisabile nel momento in cui l’opera fosse stata integralmente portata a compimento, con il conseguente venir meno delle caratteristiche del credito rappresentate.

La critica non coglie la ratio posta a fondamento della statuizione impugnata e/o cerca il sovvertire il giudizio espresso dalla Corte di merito circa la perdita del carattere personale del credito a seguito dell’esaurimento della prestazione contrattuale, rientrante nei compiti istituzionali del giudice di merito e non rivedibile in questa sede di legittimità.

14. Il settimo motivo rappresenta l’esistenza di una motivazione contraddittoria e incoerente per effetto dell’erronea valutazione del quadro probatorio emergente dagli atti di causa”, vizio da cui deriverebbe la nullità della sentenza impugnata.

La Corte di merito, in particolare, pur avendo riconosciuto che il credito in discorso era condizionato al completamento del progetto, alla verifica delle attività programmate e finanziate e al collaudo delle stesse, non avrebbe accertato se Corsair Services LLC (e prima di lei le cedenti) avesse dimostrato la sussistenza dei presupposti del preteso credito.

Le risultanze istruttorie in tesi di parte ricorrente – non dimostravano affatto che l’opera fosse stata terminata e consegnata, attestavano che la fase di verifica si era conclusa non in termini positivi, ma con la revoca dei finanziamenti poi regolarmente notificata e davano conto che nessun collaudo poteva essere eseguito da parte della Regione se l’opera non risultava completata e in mancanza di alcuna verifica delle attività programmate.

La motivazione sarebbe, inoltre, assurda o apparente, in quanto in pratica si limiterebbe a sostenere che “l’appellante Corsair ha ragione perchè lo dice – non lo prova, si badi – la Gest. In (il primo cedente) o meglio il suo legale”.

15. Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.

A seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale (consistente nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”) che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. U, 8053/2014).

Ne discende l’inammissibilità della doglianza in esame, che lamenta un vizio di motivazione – in termini di contraddittorietà o apparenza dovuto non a un contrasto emergente dal tenore della stessa decisione impugnata, ma dall’inesatta valutazione del quadro probatorio risultante dagli atti di causa e, così facendo, finisce per denunciare un errore di valutazione delle prove, che non può essere addotto in sede di legittimità, non essendo previsto dalla tassonomia dei vizi denunciabili con il ricorso per cassazione di cui all’art. 360 c.p.c. (Cass. 9356/2017).

Nessun contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili è poi ravvisabile rispetto alle affermazioni contenute negli ultimi due periodi riportati a pag. 5 della decisione impugnata, laddove la Corte prima registra la mancanza di contestazioni sulle circostanze poco prima rappresentate e subito dopo dà conto delle reiterate difese dell’amministrazione appellata.

La prima affermazione, infatti, fa riferimento alla natura di enti consorziati di due società (ATI Systems s.r.l. e Formass) incaricate della realizzazione del progetto e dell’esigua entità (Euro 12.000) dell’importo dell’appalto affidato a Schiattarella & Serena s.r.l., mentre la seconda riguarda invece le contestazioni sollevate dalla Regione Campania in merito non ai legami consortili o all’entità dell’appalto, ma al contenuto del complemento di programmazione del POR Campania 2000 – 2006 rispetto alle procedure di individuazione dei soggetti attuatori-beneficiari (che comunque sarebbero dovute avvenire tramite procedura di evidenza pubblica sia per la selezione dei soci privati del consorzio, sia per l’individuazione del consorzio quale soggetto attuatore).

16. L’ottavo motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 157 del 1995, emanato in attuazione della direttiva 92/50/CE in materia di appalti pubblici, così come modificato dal D.Lgs. n. 65 del 2000: secondo l’amministrazione ricorrente solo se le procedure di evidenza pubblica per l’affidamento dei lavori fossero state rispettate, alla luce del D.Lgs. n. 175 del 1995, anche il successivo affidamento alle consorziate sarebbe stato possibile.

Questo affidamento, invece, non poteva trovare giustificazione nell’art. 3 del protocollo d’intesa, perchè una norma pattizia non può derogare alla cogente normativa statale e comunitaria in materia di appalti di pubblici servizi, e la Corte d’appello avrebbe dovuto ravvisare la nullità della medesima per contrasto con norme imperative.

17. Il motivo è inammissibile.

L’assunto del ricorrente si fonda sul presupposto, in fatto, che le procedure di evidenza pubblica per l’individuazione del soggetto incaricato di svolgere i progetti finanziati non si siano svolte tramite una procedura ad evidenza pubblica per l’individuazione del consorzio come soggetto attuatore.

La tesi, tuttavia, non fa altro che riproporre gli argomenti già illustrati in grado di appello e non condivisi dalla Corte distrettuale, a parere della quale la sottoscrizione dei protocolli di intesa fra la Regione e il Consorzio Gest. In lasciava presumere lo svolgimento della “dovuta attività istruttoria” e la sussistenza di “tutti i requisiti per poter partecipare e aggiudicarsi l’appalto”.

La censura in esame non tiene in alcuna considerazione questo accertamento e torna a riproporre la tesi già disattesa dalla Corte di merito.

Ne discende, inevitabilmente, l’inammissibilità del mezzo, non solo perchè non è dato a questa Corte di rivedere accertamenti in fatto di esclusiva pertinenza del giudice di merito, ma anche perchè l’impugnazione deve necessariamente riferirsi alla decisione impugnata e da essa non può prescindere.

Infatti la parte nel ricorso per cassazione non può limitarsi alla mera riproposizione delle tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, operando così una mera contrapposizione del suo giudizio e della sua valutazione a quella espressa dalla sentenza impugnata senza considerare le ragioni offerte da quest’ultima e criticarle adeguatamente (Cass. 11098/2000).

18. Il nono motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c. e del principio di non contestazione ivi sancito, perchè la Corte d’appello, malgrado nè Corsair Services LLC nè prima di lei Caere Debt Collection Limited avessero mai contestato la circostanza della revoca dei finanziamenti nè chiesto la disapplicazione di tali provvedimenti, si sarebbe comunque occupata della questione; in questo modo i giudici distrettuali si sarebbero sostituiti alla parte appellante nel contestare tale circostanza, piuttosto che decidere la causa tenendo conto del suo contegno.

19. Il motivo non è fondato.

Il principio di non contestazione stabilito dall’art. 115 c.p.c. è una tecnica di semplificazione del procedimento sul versante della prova e riguarda i fatti non specificamente contestati ex adverso.

Il fatto concernente l’avvenuta revoca del finanziamento è stato, in sè, espressamente considerato dalla Corte di merito, di modo che sul punto non può essere affatto predicata alcuna violazione del principio di non contestazione.

Il che, tuttavia, non significa che questo fatto, pacifico, fosse anche rilevante, posto che, a dire dei giudici distrettuali, i provvedimenti di revoca non erano stati notificati al consorzio appaltatore e al soggetto titolare del credito e dovevano ritenersi ancora impugnabili.

Non è poi possibile sostenere che Corsair e prima di lei Caere Debt Collection Limited non avessero contestato il contenuto dei provvedimenti di revoca dei finanziamenti chiedendone la disapplicazione (tesi che, per il vero, implicherebbe una violazione del principio di necessaria corrispondenza fra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. piuttosto che la violazione del principio di non contestazione previsto dall’art. 115 c.p.c.).

In vero la domanda presentata in sede monitoria e l’appello proposto avverso la statuizione di revoca del decreto ingiuntivo altro non sono che la richiesta di ravvisare la sussistenza del credito reclamato, richiesta che implica – all’evidenza – la contestazione di ogni argomento contrario e la sollecitazione alla disapplicazione della revoca dei finanziamenti.

20. In conclusione, in forza delle ragioni sopra illustrate, il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2021

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