Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9959 del 23/04/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 23/04/2018, (ud. 24/01/2018, dep.23/04/2018),  n. 9959

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

1. la Corte di Appello di Milano, con sentenza in data 1 agosto 2014, confermava la decisione del locale Tribunale che aveva respinto la domanda proposta da D.L. intesa ad ottenere la declaratoria di illegittimità del termine apposto al contratto stipulato inter partes per il periodo 1.9.2011-31.10.2011 ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 “per ragioni di carattere organizzativo e produttivo rappresentate dalla necessità di fronteggiare la presenza temporanea presso i Centri Servizi Integrati della funzione servizi postali (Centro Servizi Integrati di Notifica – c.d. SIN – e Centri Emersione Lavoro Irregolare – c.d. ELI) di giacenze di lavorazione che non è possibile soddisfare con il personale in servizio delle unità produttive interessate ed il cui smaltimento sarà realizzato attraverso attività di data entry che vengono organizzativamente accentrate presso le sedi di (OMISSIS) e (OMISSIS)”;

– la Corte territoriale, condividendo i motivi della decisione del Tribunale riteneva in sintesi che: a) le esigenze di specificazione del contratto erano state rispettate; b) l’appellante non aveva riproposto le eccezioni relative alla mancata sottoposizione del D. a visita medica e all’omessa effettuazione delle comunicazioni sindacali (respinte dal Tribunale sulla base del dimostrato adempimento dei relativi oneri da parte della società); c) i motivi relativi al ritenuto rispetto da parte della società della percentuale di contingentamento erano privi di specificità ed in ogni caso inammissibili contenendo eccezioni circa il contenuto di documenti prodotti dalla società giammai contestati prima; d) nel merito la sussistenza delle ragioni organizzative e produttive richiamate nel contratto era stata dimostrata dalla società a mezzo della documentazione prodotta (anche in questo caso i rilievi del D. erano del tutto generici e comunque le ragioni giustificative dell’assunzione, avvenuta nel periodo post feriale nel quale notoriamente l’effetto assenze influiva sulla giacenze di lavorazione più di ogni altro periodo dell’anno, sussistevano tutte);

2. avverso tale sentenza D.L. propone ricorso con cinque motivi;

3. la società resiste con controricorso;

4. non solo state depositate memorie.

Considerato che:

1.1. con il primo motivo parte ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto specifica la causale indicata nel contratto nonostante non fossero stati indicati l’ammontare dell’ipotetica giacenza, da cosa questa fosse dipesa, la ragione della non fronteggiabilità di tale esigenza con il personale normalmente in servizio;

1.2. con il secondo motivo parte ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c. come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012, n. 134, dell’art. 420, degli artt. 115 e 116 c.p.c.., dell’art. 2697 c.c., sostiene che erroneamente la Corte territoriale ha dichiarato inammissibili i rilievi del D. sul punto relativo al rispetto della clausola di contingentamento laddove le censure erano state puntuali e chiare e ribadisce che la documentazione prodotta dal datore di lavoro era inidonea a dare la dimostrazione del mancato superamento del limite di contingentamento;

1.3. con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 434 c.p. in relazione alla pronuncia di inammissibilità del motivo relativo alla effettiva sussistenza delle ragioni organizzative e produttive;

1.4. con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 e 116 c.p.c., art. 2697 c.c. in relazione alla pronuncia di sussistenza delle ragioni organizzative e produttive;

1.5. con il quinto motivo il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione alla mancata valutazione di alcuni documenti che avrebbero potuto indurre ad una valutazione e statuizione opposta;

2.1. il primo motivo è infondato;

questa Corte ha più volte affermato (cfr. Cass. 1 febbraio 2010 n 2279; Cass. 27 aprile 2010, n. 10033; Cass. 25 maggio 2012, n. 8286; Cass. 12 gennaio 2015, n. 208) che, in tema di apposizione del termine al contratto di lavoro, il legislatore, richiedendo l’indicazione da parte del datore di lavoro delle “specificate ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”, ha inteso stabilire, in consonanza con la direttiva 1999/70/CE, come interpretata dalla Corte di Giustizia (cfr. sentenza del 23 aprile 2000, in causa C-378/07 ed altre; sentenza del 22 novembre 2005, in causa C-144/04), un onere di specificazione delle ragioni oggettive del termine finale, vale a dire di indicazione sufficientemente dettagliata della causale nelle sue componenti identificative essenziali, sia quanto al contenuto, che con riguardo alla sua portata spazio-temporale e più in generale circostanziale, perseguendo in tal modo la finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto;

d’altro canto il venir meno del sistema delle fattispecie legittimanti impone che il concetto di specificità sia collegato a situazioni aziendali non più standardizzate ma obiettive, con riferimento alle realtà in cui il contratto viene ad essere calato;

così devono essere specificate le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa;

l’integrazione apportata all’originario testo del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 dalla L. n. 133 del 2008, art. 21, con la precisazione che la clausola di durata è apponibile anche quando le ragioni che ne costituiscono fondamento sono “riferibili all’ordinaria attività del datore di lavoro”, vale altresì ad escludere che l’apposizione del termine sia consentita solo in presenza di circostanze connotate da eccezionalità ed imprevedibilità, e non anche di ragioni riferibili all’ordinaria e fisiologica attività dell’impresa, fermo restando la necessità che queste ultime evidenzino esigenze aziendali, puntualmente specificate nel contratto di assunzione, che possono essere soddisfatte, sulla base di criteri di normalità tecnico organizzativa, con il ricorso alla clausola di durata, piuttosto che con l’ordinario contratto di lavoro;

spetta al giudice di merito accertare – con valutazione che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità – la sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, verificando la rispondenza delle ragioni indicate ai suddetti requisiti di specificità ed operando la verifica della rispondenza delle ragioni indicate ai suddetti requisiti di specificità e la sussistenza del collegamento eziologico tra le ragioni specificate e l’apposizione del termine al contratto di lavoro (cfr. Cass. 16 marzo 2010, n. 6328, nonchè Cass. 10033/2010, cit. Cass. 22 novembre 2012,n. 20604);

nella specie la Corte territoriale ha evidenziato che nel contratto in questione le indicazioni circa l’ambito territoriale di espletamento dell’attività lavorativa (presso le sedi di (OMISSIS) e (OMISSIS) nella Regione Lombardia), l’ufficio presso cui il D. avrebbe prestato lavoro (Centri Sevizi Integrati della funzione Servizi Postali c.d. SIN), le mansioni da svolgere (addetto alla produzione per l’esercizio di data-entry per fronteggiare la temporanea presenza di giacenze di lavorazione che non era possibile soddisfare con il personale in servizio), il periodo per il quale era previsto l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione produttiva (1.9.2011-31.10.2011) consentissero di ritenere sufficientemente dettagliata la causale nelle sue componenti identificative essenziali ed evidenziassero, delimitandola temporalmente e territorialmente, la specifica connessione tra la durata solo limitata della prestazione e le indicate esigenze produttive ed organizzative;

ha, poi, ritenuto, valutando la sussistenza in concreto delle esigenze suddette, che l’appellante non avesse adeguatamente contrastato la valutazione del primo giudice circa la prova, evincibile dalla documentazione prodotta dalla società, dell’effettività delle giacenze a fine agosto 2011 (prima dell’assunzione del ricorrente) ed all’effettivo smaltimento di questo arretrato a fine settembre 2011 (dopo tale assunzione) ed in ogni caso ritenuto che il periodo di cui al contratto concluso con il D. fosse “caratterizzato (come notorio) dall’impossibilità di fronteggiare le giacenze lavorative, come era ricorrente e prevedibile (secondo anche il criterio dell’id quod plerumque accidit) in ragione della turnazione del personale assunto con contratto di lavoro a tempo indeterminato nel periodo tipicamente destinato al soddisfacimento del diritto alle ferie, ove l’effetto delle giacenze interferiva in termini più apprezzabili rispetto agli altri periodi dell’anno;

trattasi di argomentazione esente da vizi giuridici e come tale sottratta al sindacato di legittimità;

2.2. Il secondo e terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente in ragione dell’intrinseca connessione, presentano profili di inammissibilità e sono comunque infondati;

le censure relative alla ritenuta mancanza di specificità dei motivi di appello non sono formulate come errores in procedendo;

i rilevi, inoltre, sono espressi attraverso il richiamo alle osservazioni di cui all’atto di appello e con la tecnica del rinvio senza una puntuale e chiara evidenziazione dei punti che avrebbero integrato gli specifici motivi di gravame con riguardo alla valutazione dei documenti posti dal Tribunale a fondamento della ritenuta osservanza delle percentuali contrattuali (si veda il primo capoverso di pag. 12 della sentenza impugnata);

si rileva, del resto, dallo stesso contenuto dell’atto di appello trascritto dal ricorrente (si veda tale contenuto dall’ultimo capoverso di pag. 21 del ricorso per cassazione fino a pag. 25) che le censure avevano essenzialmente riguardato il presunto mancato rispetto dell’onere della prova e la necessità di una prova rigorosa sul punto, non specificamente il contenuto dei documenti (contrassegnati con il numero 6) posti dal Tribunale a sostegno dell’adempimento da parte della società di tale onere;

è vero che in tale atto si faceva riferimento ai documenti 6b e 6c ed anche all’inclusione, nel computo rilevante ai fini dell’osservanza della percentuale di contingentamento, delle somministrazioni a tempo determinato ma la motivazione del Tribunale (per quel che si rileva dal contenuto riportato alle pagg. 3 e 4 del ricorso per cassazione), per fugare ogni dubbio anche relativamente all’osservanza delle misure indicate nel c.c.n.l., aveva richiamato anche altri documenti – modd. 70p (doc 4b e 4c) del fascicolo della convenuta – e l’impiego di “risorse a tempo determinato” di guisa che il motivo, per non risultare meramente oppositivo, avrebbe richiesto una maggiore specificazione;

in ogni caso la Corte ha fondato il giudizio di inammissibilità dei rilievi anche svolgendo un articolato ragionamento in ordine alla ritenuta non contestazione in primo grado delle circostanze indicate dalla società (e tra queste di quella relativa alla mancanza di assunzioni con contratto di somministrazione nell’anno 2011) e sostenendo la rilevanza di tale non contestazione “ai fini del controllo degli adempimenti inderogabili a cui era tenuto l’appellante”, ragionamento che non ha formato oggetto di adeguato rilievo da parte del ricorrente in cassazione;

quanto, infine, alle censure concernenti la ritenuta inammissibilità dei rilievi di cui all’atto di appello concernenti l’effettiva sussistenza delle ragioni organizzative e produttive, si osserva che la Corte territoriale, come sopra evidenziato, ha comunque valutato, nel merito, l’effettività delle giacenze;

2.3. il quarto motivo va disatteso perchè, ad onta dei richiami normativi in esso contenuti, sostanzialmente sollecita una rivisitazione nel merito della vicenda e delle risultanze processuali affinchè se ne fornisca un diverso apprezzamento;

si tratta di operazione non consentita in sede di legittimità, ancor più ove si consideri che in tal modo il ricorso finisce con il riprodurre (peraltro in maniera irrituale: cfr. Cass. S.U. n. 8053/14) sostanziali censure ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (nel nuovo testo applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3, convertito in L. n. 134 del 2012, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, cioè alle sentenze pubblicate dal 12.9.12 e, quindi, anche alla pronuncia in questa sede impugnata);

nè può dirsi sussistente la violazione dell’art. 116 c.p.c. che è configurabile solo allorchè il giudice apprezzi liberamente una prova legale, oppure si ritenga vincolato da una prova liberamente apprezzabile (Cass. n. 11892/2016, n. 13960/2014, n. 20119/2009, n. 26965/2007), circostanze, queste, insussistenti nel caso di specie;

il motivo, inoltre, pur deducendo la violazione dell’art. 2697 c.c., non censura l’erronea applicazione da parte del giudice di merito della regola di giudizio fondata sull’onere della prova, per avere attribuito l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata, ma si limita a criticare l’esito della valutazione delle risultanze probatorie; esso è quindi inammissibile come motivo in iure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, (Cass., sez. un., n. 8053 e 8054 del 2014, sez. un. n. 16598/2016, n. 11892 del 2016);

nè infine – è appena il caso di notare – sussiste violazione alcuna dell’art. 112 c.p.c., ravvisabile soltanto per omessa pronuncià su domande od eccezioni non anche per omesso esame di un elemento di prova ovvero di mere difese o ancora di istanze istruttorie (cfr. ex multis Cass. 23 febbraio 1995, n. 2085; Cass., Sez. U., 18 dicembre 2001, n. 15982);

2.4 Il quinto motivo è infondato;

ricordato che la sentenza impugnata soggiace, come sopra evidenziato, al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, il quale sottrae ogni rilievo al requisito di sufficienza motivazionale contemplato dal testo precedente (cfr. Cass. S.U. n. 8053/14 cit.), va osservato che la Corte distrettuale non ha per nulla omesso l’indagine sul fatto che parte ricorrente assume non esaminato;

al contrario, ha vagliato le prove offerte dalla società convenuta a mezzo della documentazione prodotta ed ha offerto di quest’ultima, sulla base di una complessiva valutazione passata anche attraverso l’applicazione del principio di non contestazione, un’interpretazione di segno opposto a quella auspicata dall’odierna ricorrente;

3. conclusivamente, il ricorso deve essere respinto;

4. la regolamentazione delle spese segue la soccombenza;

5. va dato atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2018

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