Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9959 del 08/05/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 9959 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: D’ANTONIO ENRICA

SENTENZA
sul ricorso 1270-2012 proposto da:
A2A

S.P.A.

(già

ASM

S.P.A.)

C.F.

11957540153,

incorporante di ASM BRESCIA S.P.A. in persona del
legale rappresentante 2ro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA ARCHIMEDE 112, presso lo
studio dell’avvocato MAGRINI SERGIO, che la
2014
758

rappresenta e difende unitemente agli avvocati ANDREA
DELL’OMARINO, CANTONE LORtNZO, GILDA PISA, DAMOLI
CLAUDIO, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

Data pubblicazione: 08/05/2014

- I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE C.F. 80078750587 in persona del suo Presidente
e legale rappresentante pro tempore, in proprio e
quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. – Società di
Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., C.F.

CESARE BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura Centrale
dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati
D’ALOISIO CARLA, SGROI ANTONINO, MARITATO LELIO,
giusta delega in atti;
– controri correnti. nonchè contro

EQUITALIA ESATRI S.P.A.;
– intimata –

avverso la sentenza n. 400/2011 della CORTE D’APPELLO
di BRESCIA, depositata il 08/10/2011 R.G.N. 140/2011-Ntgxe•
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/02/2014 dal Consigliere Dott. ENRICA
D’ANTONIO;
udito l’Avvocato MAGRINI SERGIO;
udito l’Avvocato DAMOLI CLAUDIO;
udito l’Avvocato D’ALOISIO CARLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI ,che ha concluso per
l’accoglimento del sesto motivo del ricorso, rigetto
nel resto.

05870001004, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

RG n 1270/2012

A2A spa / INPS, SCCI, Equitalia Esatri

n 15

Svolgimento del processo
Con sentenza del 18/10/2011 la Corte d’appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale
di rigetto delle opposizioni proposte dalla soc A2A spa, società a prevalente capitale pubblico , già
ASM Brescia — Azienda Servizi Municipalizzati di Brescia, avverso le cartelle esattoriali emesse
da Equitalia Esatri su istanza dell’Inps per il recupero dei contributi dovuti dalla Società per cig,

La Corte d’appello ha ritenuto che la società opponente, costituita dall’ente locale titolare del
pubblico servizio ed a prevalente capitale pubblico, non godeva dell’esenzione contributiva
riservata dalla legge alle imprese pubbliche, essendo assoggettata alla comune disciplina delle
società per azioni. Pertanto, essa non rientrava fra le imprese esonerate dall’applicazione della cassa
integrazione guadagni (art. 3 del d.l.C.P.S. 12.08.47 n. 869 ed artt. 2 della 1. 5.11.68 n. 1115 e 16
della 1. 23.07.91 n. 223) ed era tenuta al pagamento della contribuzione relativa e di quella di
mobilità.
Con riferimento alla richiesta di pagamento dei contributi per assegni familiari e indennità di
maternità in misura ridotta la Corte territoriale ha rilevato che tale riduzione delle aliquote
contributive per i dipendenti trasferiti dalla ASM e che avevano optato per rimanere iscritti presso
l’Inpdap non poteva trovare fondamento nell’articolo 3, comma 23, della legge n. 335 del 1995.
Ha osservato infatti che la riduzione delle aliquote prevista da detta norma era correlata all’aumento
contributivo stabilito per il fondo pensioni lavoratori dipendenti con la conseguenza che era del
tutto legittimo il decreto ministeriale del 21 febbraio 1996, emanato in attuazione di detta norma,
secondo cui le riduzioni delle aliquote non trovavano applicazione per le categorie iscritte a regimi
pensionistici obbligatori diversi dal fondo pensioni lavoratori dipendenti.
La Corte ha poi ritenuto , con riferimento all’articolo 41 della legge n. 488 del 1999,1a quale a far
data dal 1 gennaio 2000 aveva soppresso il Fondo elettrici già gestito dall’Inps e con la medesima
data gli iscritti erano transitati al FPLD e sempre con la medesima data era prevista la riduzione
delle aliquote di finanziamento della contribuzione di maternità e per gli assegni familiari, che detta
riduzione era applicabile limitatamente a quei lavoratori prima iscritti ai fondi soppressi e che
successivamente alla soppressione erano transitati al fondo di previdenza dei lavoratori privati
gestito dall’Inps , circostanza non verificatasi nel caso in esame avendo i lavoratori dell’ASM
optato per l’iscrizione all’Inpdap ben prima della soppressione.
La Corte territoriale ha escluso,altresì, con riferimento alla contribuzione di maternità (per gli
assegni di famiglia la riduzione era stata già prevista e riconosciuta dall’Inps a decorrere dal
1/1/2001 in base all’art 120 della L n 388/2000, legge finanziaria 2001) l’applicabilità della
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cigs ,mobilità, indennità di maternità ed assegni familiari.

riduzione prevista dall’articolo 78, comma 2, del decreto legislativo n. 151 del 2001, per quei
lavoratori il cui rapporto previdenziale era instaurato con l’Inpdap. Ha ritenuto , infatti, che una
lettura sistematica della normativa imponeva di porre in relazione l’art 78 con il successivo art 79
dal quale emergeva che la riduzione era correlata all’aumento della contribuzione diretta ai fini
pensionistici che non poteva essere che quella gestita dall’INPS.
La Corte, infine ha affermato la correttezza del calcolo delle sanzioni applicate.

378 cpc.
Resiste l’INPS con controricorso . Equitalia Esatri è rimasta intimata.
Motivi della decisione
1) Con il primo motivo, denunciando violazione di norme di diritto, la ricorrente, premesso
che nella specie si era in presenza di un unico verbale ispettivo e di reiterate opposizioni avverso
cartelle esattoriali relative alle medesime contribuzioni riferite a periodi precedenti, tutte traenti
origine dal medesimo verbale ispettivo, deduce che gli artt. 24 e 25 dl.vo n. 46/99 dovrebbero essere
interpretati nel senso che, nella descritta fattispecie, non si sarebbe potuto dar corso all’iscrizione a
ruolo di crediti traenti origine dal medesimo originario accertamento, prima di una pronuncia
giudiziale che lo convalidasse in tutto o in parte.
2) Con il secondo motivo, denunciando violazione di norme di diritto, la ricorrente si duole
che la Corte territoriale non abbia tenuto conto del disposto dell’art. 2, comma 28, legge n. 662/96 e
del relativo decreto di attuazione n. 477 del 27.11.1997, assumendo che, da tale normativa, deve
ricavarsi l’esistenza di uno speciale sistema di ammortizzatori sociali, diverso dalla cassa
integrazione guadagni, per le società a maggioranza pubblica costituite per erogare servizi.
3) Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando violazione di plurime norme di diritto,
deduce che, alla luce della disciplina comunitaria e della disciplina nazionale, il riferimento alle
imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate, e dello Stato, contenuto nell’art. 3,
comma 1, dl.vo cps n. 869/47, non può essere inteso come riferentesi solo alle società esercenti
servizi pubblici a capitale totalmente pubblico e non anche a quelle a capitale maggioritario
pubblico o influenza dominante pubblica; in particolare, nell’articolata deduzione, richiama la
nozione di influenza dominante quale tratto distintivo dell’impresa pubblica, secondo quanto
previsto, nei rispettivi ambiti, dalle direttive comunitarie n. 50 del 1992 e n. 52 del 2000 e ripreso
nelle direttive comunitarie nn. 17 e 18 del 2004.
1 motivi di cui sopra , esaminati congiuntamente in quanto connessi,non possono essere
accolti. Il primo motivo è inammissibile per carenza di interesse, atteso che, secondo il condiviso
orientamento della giurisprudenza di questa Corte (cfr, Cass., n. 14149/2012), in tema di riscossione
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Avverso la sentenza ricorre la soc A2A spa formulando otto motivi poi illustrati con memoria ex art

di contributi e premi assicurativi, il giudice dell’opposizione alla cartella esattoriale, che ritenga
illegittima l’iscrizione a ruolo (nella specie, ai sensi dell’art. 24, comma 3, del dl.vo n. 46/99, per
difetto di un provvedimento giudiziale esecutivo sull’impugnazione dell’accertamento), non può
limitarsi a dichiarare tale illegittimità, ma deve esaminare nel merito la fondatezza della domanda di
pagamento dell’istituto previdenziale, valendo gli stessi principi che governano l’opposizione a
decreto ingiuntivo.
Peraltro, per completezza di motivazione, deve rilevarsi che la doglianza risulta altresì palesemente

dell’avvenuta impugnazione davanti all’autorità giudiziaria dell’accertamento d’ufficio, e non già
quella, ricorrente nel caso all’esame, della previa opposizione a distinte cartelle esattoriale traenti
origine da un unico verbale di accertamento, onde non può ritenersi consentito all’interprete
attribuire alla norma un significato assolutamente diverso da quello inequivocabilmente ricavabile
dal significato proprio delle parole usate secondo la loro connessione (art. 12 preleggi).
Quanto al secondo motivo deve rilevarsi che l’art. 2, comma 28, legge n. 662/96
testualmente recita: “In attesa di un’organica riforma del sistema degli ammortizzatori sociali,
entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con uno o più decreti
del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, del
bilancio e della programmazione economica, adottati ai sensi dell’art. 17, comma 13, della legge
23 agosto 1988, n. 400, sentite le organizzazioni sindacali ed acquisito il parere delle competenti
Commissioni parlamentari, sono definite, in via sperimentale, misure per il perseguimento di
politiche attive di sostegno del reddito e dell’occupazione nell’ambito dei processi di
ristrutturazione aziendali e per fronteggiare situazioni di crisi di enti ed aziende pubblici e privati
erogatori di servizi di pubblica utilità, nonché delle categorie e settori di impresa sprovvisti del
sistema di ammortizzatori sociali. (…)”.
Dal che pianamente si ricava che le misure di che trattasi sono applicabili in presenza di processi di
ristrutturazione aziendali e per fronteggiare situazioni di crisi dei soggetti ivi indicati; poiché non
risulta che tali eventi siano stati dedotti dall’odierna ricorrente, ne discende l’inapplicabilità della
normativa invocata (e, ovviamente, del relativo decreto ministeriale di attuazione), onde il secondo
motivo è manifestamente infondato.
In ordine al terzo motivo deve rilevarsi che questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi
al riguardo (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 14847/2009; 5816/2010; 11417/2013; 19087/2013;
20818/2013; 20819/2013; 22318/2013; 27444/2013; 27513/2013), rilevando, con articolate
motivazioni, che la società partecipata non può identificarsi con le imprese industriali degli enti
pubblici, trattandosi di società di natura essenzialmente privata nella quale l’amministrazione
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infondata, posto che l’art. 24, comma 3, legge n. 46/99 contempla espressamente l’ipotesi

pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, dovendosi
altresì escludere, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema
societario, che la mera partecipazione da parte dell’ente pubblico sia idonea a determinare la natura
dell’organismo attraverso cui la gestione del servizio pubblico viene attuata; poiché la forma
societaria di diritto privato è per l’ente locale la modalità di gestione degli impianti consentita dalla
legge e prescelta dall’ente stesso per la duttilità dello strumento giuridico, in cui il perseguimento
dell’obiettivo pubblico è caratterizzato dall’accettazione delle regole del diritto privato, le società a

A tale consolidato orientamento ermeneutico il Collegio intende qui dare continuità, non ravvisando
nelle motivazioni della ricorrente argomentazioni che già non siano state esaminate nei ricordati
precedenti.
Deve infatti rilevarsi come una prima definizione giurisprudenziale della figura della cosiddetta in
house, è fornita dalla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 18 novembre
1999, causa C-107/98 -Teckal; in quella sede si è affermato che non è necessario rispettare le regole
della gara in materia di appalti nell’ipotesi in cui concorrano i seguenti elementi: a)
l’amministrazione aggiudicatrice esercita sul soggetto aggiudicatario un “controllo analogo” a quello
esercitato sui propri servizi; b) il soggetto aggiudicatario svolge la maggior parte della propria
attività in favore dell’ente pubblico di appartenenza.
Con la sentenza n. 50 del 2013, la Corte costituzionale ha, poi, affermato che la Corte di giustizia
dell’Unione europea ha riconosciuto che rientra nel potere organizzativo delle autorità pubbliche
degli Stati membri “auto produrre” beni, servizi o lavori, mediante il ricorso a soggetti che,
ancorché giuridicamente distinti dall’ente conferente, siano legati a quest’ultimo da una “relazione
organica” (il cd. affidamento in house). Allo scopo di evitare che l’affidamento diretto a soggetti in
house si risolva in una violazione dei principi del libero mercato e quindi delle regole
concorrenziali, che impongono sia garantito il pari trattamento tra imprese pubbliche e private, la
stessa Corte ha affermato che è possibile non osservare le regole della concorrenza a due
condizioni: la prima è che l’ente pubblico svolga sulla società in house un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi; la seconda è che il soggetto affidatario realizzi la parte più importante
della propria attività con l’ente pubblico.
Pertanto la finalizzazione della società di capitali alla gestione in house di un servizio pubblico
locale non muta la natura giuridica privata della società con riguardo alle ricadute previdenziali dei
rapporti di lavoro, ma assume rilievo nell’ordinamento nazionale e comunitario con riguardo al
mercato e alla tutela della concorrenza. Né argomenti contrari possono desumersi dal richiamo della
nozione di impresa pubblica, che costituisce anch’essa categoria all’attenzione del legislatore
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partecipazione pubblica vanno escluse dal concetto di imprese pubbliche.

comunitario, il quale se ne occupa all’art. 86 del Trattato e poi negli artt. 101, 102 e 103 sul divieto
di facilitazioni finanziarie; il legislatore comunitario ha, infatti, previsto, e sotto questo aspetto l’ha
disciplinata, che essa non fosse sottratta, in virtù dei rapporti con i pubblici poteri, alle regole del
mercato imposte, indipendentemente dalla loro appartenenza, a tutte le imprese, regole che valgono
per tutti gli operatori economici e non ammettono deroghe per le imprese pubbliche.
Non è senza significato, in proposito, che i caratteri distintivi dell’impresa pubblica devono essere
ricercati nelle direttive sulla trasparenza delle relazioni finanziarie fra gli Stati membri e le loro

2000/52 e 2005/81, ora codificate nella direttiva 2006/111), che hanno posto l’accento sull’esigenza
di assicurare la parità di trattamento tra imprese pubbliche e private e, a questi fini, sulla necessità
di una compiuta trasparenza circa le relazioni finanziarie intercorrenti tra poteri pubblici nazionali e
imprese pubbliche, in modo da distinguere chiaramente il ruolo svolto dalla pubblica
amministrazione quale potere pubblico e quello svolto dalla stessa quale privato.
La qualifica di un soggetto come impresa pubblica prescinde perciò dal fine perseguito, mentre
assume valenza decisiva il legame tra l’impresa e la pubblica amministrazione (intesa nella sua
accezione più ampia, propria alla materia degli appalti, comprensiva perciò anche dell’organismo di
diritto pubblico) “dominante”.
Anche in questo caso, occorre rilevare, comunque, che il peculiare regime della cd. impresa
pubblica società di capitali, non può determinare, di per sé, ricadute sul regime previdenziale della
società medesima.
Esula, altresì, dal caso di specie la nozione di società pubblica strumentale, attesa l’esclusione “dei
servizi pubblici locali” sancita dall’art. 13 del dl. n. 223/06, convertito in legge n. 248/06; la stessa,
destinata a produrre beni e servizi finalizzati alle esigenze dell’ente pubblico partecipante, si
distingue dalle società a partecipazione pubblico-privata, esercitate secondo modelli paritetici, in
cui il ruolo degli enti territoriali corrisponde a quello di un azionista di una società per azioni (cfr.,
Consiglio di Stato, Sezione VI, 11 gennaio 2013, n. 122).
Conclusivamente deve convenirsi che nel caso che ne occupa non sussistono le condizioni per
escludere la debenza della contribuzione.
Infatti l’art. 3, comma 1, del dl.vo cps n. 869/47, come modificato, ha escluso dall’applicazione delle
norme sulla cassa integrazione guadagni una serie di imprese e, fra queste, “le imprese industriali
degli enti pubblici, anche se municipalizzate, e dello Stato” e, in ragione di quanto già esposto, la
società partecipata non può identificarsi con le imprese industriali degli enti pubblici esonerate,
trattandosi di società di natura essenzialmente privata, nella quale l’amministrazione pubblica
esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e dovendosi escludere,
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imprese pubbliche (direttiva 80/723 della Commissione, successivamente modificata dalle direttive

in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, che la
mera partecipazione da parte dell’ente pubblico sia idonea a determinare la natura dell’organismo
attraverso cui la gestione del servizio pubblico viene attuata.
4) Con il quarto motivo la società denuncia violazione di legge di più norme di legge.
Deduce che, ai sensi dell’art. 3, comma 23, legge n. 335/95 e del d.m. 21.2.1996, attraverso
un’interpretazione costituzionalmente orientata, avrebbe dovuto riconoscersi che la riduzione delle
aliquote CUAF e maternità spettava, a decorrere dal l ° gennaio 1996, anche per quei lavoratori

lett. a) e b), legge n. 274/91, avevano optato per mantenere l’iscrizione all’Inpdap, dovendosi
altrimenti ritenere il contrasto della normativa di riferimento con gli artt. 81 e ss del Trattato CE e
con gli artt. 3 e 41 della Costituzione, con conseguente disapplicazione del ridetto dm 21.2.1996.
5) con il quinto motivo , svolto in via subordinata, la ricorrente, denunciando violazione di
plurime norme di diritto, deduce che ai sensi dell’art. 41 legge n. 488/99, come interpretato
autenticamente dall’art. 68 legge n. 388/00, attraverso un’interpretazione costituzionalmente
orientata, avrebbe dovuto riconoscersi che la riduzione delle aliquote CUAF e maternità spettava a
decorrere dal 1° gennaio 2000 anche per quei lavoratori delle aziende municipalizzate privatizzate
del settore elettrico, che, ai sensi dell’art. 5, comma 1, lett. a) e b), legge n. 274/91, avevano optato
per mantenere l’iscrizione all’Inpdap, dovendosi altrimenti ritenere il contrasto con le sopra indicate
norme comunitarie e costituzionali.
6) Con il sesto motivo la ricorrente censura la sentenza per aver negato il diritto alla
riduzione a decorrere dal 1 gennaio 2001 in base agli articoli 78 e 79 del decreto legislativo n. 151
del 2001 con riferimento ai contributi per maternità. Per gli assegni di famiglia la riduzione era
stata prevista dall’art 120 della L n 388/2000 ,legge finanziaria 2001, con la conseguenza che con
riferimento a questi dal 1 gennaio 2001 la contribuzione veniva corrisposta, senza contestazioni, in
misura ridotta.
7) Con il settimo motivo eccepisce omessa motivazione sulle eccezione di violazione
dell’art 81 del Trattato CE e degli artt 3 e 41della Cost. dell’art 1, comma 238, L n 662/1996 nella
parte in cui prevede l’incremento dell’aliquota dei contributi INPDAP , non previsto per altre
forme previdenziali, nonché violazione della concorrenza e3 lesione della libertà di impresa per il
diverso costo del lavoro.
I motivi 4 ,5 e 7, congiuntamente esaminati, sono infondati.
Deve rilevarsi che la ricorrente propone un’interpretazione “costituzionalmente orientata” delle
norme su cui fonda le proprie doglianze; al riguardo va tuttavia osservato che l’obiettivo di
armonizzazione degli ordinamenti pensionistici nel rispetto della pluralità degli organis
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delle aziende municipalizzate privatizzate del settore elettrico, che, ai sensi dell’art. 5, comma 1,

assicurativi, fatto proprio dalla riforma previdenziale di cui alla legge n. 335/95, non implica che sia
sottratta alla discrezionalità del legislatore la regolamentazione della disciplina contributiva in
relazione alle peculiari necessità dei diversi enti previdenziali, sicché non può ritenersi che le norme
che implichino al riguardo una diversificazione contributiva costituiscano violazione del principio
di uguaglianza; tanto meno potrebbe quindi legittimarsi una loro interpretazione che, nella suddetta
ottica, si discosti dal contenuto testuale delle disposizioni scrutinate.
La manifesta infondatezza dei dubbi di costituzionalità sollevati sussiste anche con riferimento al

termini generici, non potendo ravvisarsi nelle specifiche disposizioni regolanti gli oneri contributivi
a carico delle aziende in misura diversificata a seconda dell’ente previdenziale di iscrizione dei
dipendenti una limitazione della libertà di iniziativa economica.
Non consta, né è stato dedotto, che la Commissione UE abbia ravvisato nella riduzione contributiva
di che trattasi un aiuto di stato incompatibile; il che, del resto, avrebbe semmai condotto alla
soppressione della disposta riduzione, non certo ad una sua estensione nel senso propugnato dalla
ricorrente.
Ciò premesso, deve rilevarsi che l’art. 3, comma 23, legge n. 335/95, laddove prevede che
“Con effetto dal 1 0 gennaio 1996, l’aliquota contributiva di finanziamento dovuta a favore del
Fondo pensioni lavoratori dipendenti è elevata al 32 per cento con contestuale riduzione delle
aliquote contributive di finanziamento per le prestazioni temporanee a carico della gestione di cui
all’articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, (…)” è assolutamente inequivoco nel ricollegare la
“contestuale” riduzione delle aliquote contributive di finanziamento per le prestazioni temporanee
all’elevazione dell’aliquota contributiva dovuta a favore del Fondo pensioni lavoratori dipendenti,
onde non vi è spazio per poter ritenere che la prevista riduzione operi anche a favore dei soggetti
che non versano i contributi a tale Fondo; e il successivo comma 24, nel prevedere invece un
aumento delle aliquote contributive dovute

“all’assicurazione generale obbligatoria per

l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti e alle forme di previdenza esclusive,
sostitutive ed esonerative della medesima” suona a conferma che la ricordata previsione di cui al
precedente comma deve ritenersi sancita con riferimento alle sole contribuzioni relative al Fondo
pensioni lavoratori dipendenti.
Anche per ciò che riguarda le disposizioni di cui all’art. 41 legge n. 488/99 deve riconoscersi
che la riduzione delle percentuali contributive introdotte dal quarto periodo del primo comma è
direttamente collegata alle previsioni di cui ai precedenti periodi dello stesso comma (soppressione
del Fondo di previdenza per i dipendenti dell’Ente nazionale per l’energia elettrica e delle aziende
elettriche private e del Fondo di previdenza per il personale addetto ai pubblici servizi di telefonia;
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parametro di cui all’art. 41 della Costituzione, la cui asserita violazione è del resto espressa in

iscrizione all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei
lavoratori dipendenti dei titolari di posizioni assicurative e dei titolari di trattamenti pensionistici
diretti e ai superstiti presso i predetti fondi soppressi) e si applica quindi in relazione alle posizioni
dei soggetti che venivano ad essere iscritti all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la
vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti, non certo ai dipendenti delle imprese del settore
elettrico che avevano mantenuto l’iscrizione all’Inpdap.
Parimenti il contributo straordinario di cui ai commi 2 e 3 del medesimo art. 41 legge n. 488/99 è

consequenzialità voler desumere dalla norma di interpretazione autentica del terzo comma (art. 68,
comma 7, legge n. 388/00) l’estensione alle posizioni dei dipendenti iscritti all’Inpdap della
riduzione contributiva di cui al primo comma.
Il sesto motivo è invece fondato.
La ricorrente censura la sentenza impugnata secondo cui la riduzione dell’aliquota per il contributo
di maternità prevista dall’art. 78 del dlgs . n. 151/01 non avrebbe portata generale. Secondo la
Corte, infatti, appare preferibile una lettura sistematica della normativa ponendo in relazione la
riduzione prevista dall’art 78 con il successivo art 79 il quale prevede che ,in relazione agli oneri
previsti dall’art 78 , è dovuto dai datori di lavoro un contributo sulle retribuzioni . Ne consegue
secondo il giudice di merito che risultava evidente che la diminuzione dei contributi per maternità
,anche in questa norma, si correlava all’aumento della contribuzione diretta a fini pensionistici che
non poteva che essere quella gestita dall’Inps .
L’art. 78 dl.vo n. 151/01, (in cui è stato trasfuso l’art. 49, commi 1, 4 e 11, legge n. 488/99),
introduce la riduzione degli oneri contributivi quale conseguenza (“Conseguentemente”) della
prevista messa a carico del bilancio statale (nei limiti indicati) degli importi delle prestazioni
relative ai parti, alle adozioni e agli affidamenti intervenuti successivamente al luglio 2001 e per i
quali è riconosciuta la tutela previdenziale obbligatoria, senza far quindi alcun riferimento
all’aumento dell’aliquota contributiva dovuta al Fondo pensioni lavoratori dipendenti di cui all’art.
3, comma 23, legge n. 335/95; non può quindi condividersi l’assunto della Corte secondo cui la
suddetta disposizione costituirebbe la disciplina di riferimento.
Sotto il profilo testuale, inoltre, l’art. 79 dl.vo n. 151/01 stabilisce espressamente che il
contributo “in attuazione della riduzione degli oneri di cui all’art. 78” è “dovuto dai datori di
lavoro (…) sulle retribuzioni di tutti i lavoratori dipendenti”; l’inequivoca dizione legislativa “tutti i
lavoratori dipendenti” impedisce pertanto di accogliere l’opzione ermeneutica secondo cui la
riduzione in parola non dovrebbe applicarsi per i lavoratori (dipendenti da datori di lavoro privati)

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testualmente ricollegato alla soppressione degli anzidetti fondi e risulta pertanto privo di

che, per effetto di pregresse disposizioni legislative, abbiano optato per il mantenimento della
propria posizione assicurativa presso l’Inpdap.
8) Con l’ottavo motivo, denunciando violazione di plurime norme di diritto , nonché
vizio di motivazione , la ricorrente si duole del mancato riconoscimento della riduzione delle
sanzioni a termini del disposto dell’art 116, comma 15, lett a della 1. n 388/2000.
L’art. 116, comma 15, legge n. 388/00, per quel che qui rileva, prevede che “Fermo restando

consigli di amministrazione degli enti impositori, sulla base di apposite direttive emanate dal
Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e
della programmazione economica fissano criteri e modalità per la riduzione delle sanzioni civili di
cui al comma 8 fino alla misura degli interessi legali, nei seguenti casi:
a) nei casi di mancato e ritardato pagamento di contributi o premi derivanti da oggettive incertezze
connesse a contrastanti ovvero sopravvenuti diversi orientamenti giurisprudenziali o
determinazioni amministrative sulla ricorrenza dell’obbligo contributivo successivamente
riconosciuto in sede giurisdizionale o amministrativa in relazione alla particolare rilevanza delle
incertezze interpretative che hanno dato luogo alla inadempienza e nei casi di mancato o ritardato
pagamento di contributi o premi, derivanti da fatto doloso del terzo denunciato, entro il termine di
cui all’articolo 124, primo comma, del codice penale, all’autorità giudiziaria; (…)”.
Risulta dunque di piana evidenza che la riduzione in parola presuppone la fissazione dei relativi
criteri e modalità da parte di un provvedimento del consiglio di amministrazione dell’Inps, con la
premessa, tuttavia, per “la riduzione delle sanzioni civili di cui al comma 8″ in presenza delle
suddette incertezze, dell” l’integrale pagamento dei contributi e dei premi dovuti alle gestioni
previdenziali e assistenziali”, ossia di una condizione la cui sussistenza, nel caso di specie, la
ricorrente neppure ha dedotto (e che, del resto, proprio le ragioni della svolta opposizione
implicitamente negano); donde l’inaccoglibilità del motivo all’esame.
Per le considerazioni che precedono, in accoglimento del sesto motivo, la sentenza impugnata deve
essere cassata . La causa , peraltro, può essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori
accertamenti in fatto ,rigettando la domanda dell’INPS relativamente alla domanda di pagamento
dei contributi per indennità di maternità a decorrere dall’1/1/2001 nella misura intera e non già,
come richiesto fondatamente dalla ricorrente nella misura ridotta.
Compensa le spese dell’intero processo tra le parti costituite considerata la complessità della
materia trattata ed il parziale accoglimento dell’opposizione alla cartella esattoriale.
PQM

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l’integrale pagamento dei contributi e dei premi dovuti alle gestioni previdenziali e assistenziali, i

accoglie il sesto motivo del ricorso , ri getta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al
motivo accolto e decidendo nel merito ) rig etta la domanda dell’Inps relativamente ai contributi per
maternità a partire dal. ‘1°/1/2001 .
Compensa le spese dell’intero processo tra le parti costituite. Nulla per spese per la parte non
costituita .

Roma 27/2/2014

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