Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9958 del 27/05/2020

Cassazione civile sez. II, 27/05/2020, (ud. 11/10/2019, dep. 27/05/2020), n.9958

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10741/2017 proposto da:

F.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ITALO CARLO

FALBO, 22, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE DIACO, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ROMA CAPITALE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 19646/2016 del TRIBUNALE di ROMA, depositata

il 20/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/10/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza pronunciata all’udienza del 20 ottobre 2016, il Tribunale di Roma ha dichiarato la inammissibilità per tardività dell’appello proposto da F.P. avverso la sentenza del giudice di pace di Roma n. 85917/13 resa nei confronti del Comune di Roma, rilevando: a) che la spedizione dell’atto di citazione in appello era intervenuta il 27 aprile 2016, oltre il termine semestrale di cui all’art. 327 c.p.c.; b) che, infatti, la sentenza del giudice di pace, depositata in data 20 dicembre 2013, recava un numero cronologico del 2013, con la conseguenza che doveva ritenersi essere stata pubblicata entro il 31 dicembre 2013.

2. Avverso tale sentenza la F. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo. L’intimato Comune di Roma non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 133 e 327 c.p.c., sottolineando che la sentenza era stata pubblicata, con deposito in cancelleria, in data 4 dicembre 2015, alla stregua della attestazione in calce al provvedimento.

La doglianza è fondata.

L’attestazione del deposito della sentenza in cancelleria in data 4 dicembre 2015 rende evidente che a tale data la sentenza è stata resa pubblica, ai sensi dell’art. 133 c.p.c., comma 1.

Da quella data, pertanto, decorrer il termine di cui all’art. 327 c.p.c..

La sentenza del Tribunale, per un verso, indica, come data di deposito del provvedimento del giudice di pace, una data (20 dicembre 2013), che è solo quella in calce al documento; per altro verso, nella consapevolezza del superiore rilievo, individua la decorrenza del termine per impugnare in modo presuntivo, traendolo dal numero cronologico della sentenza e quindi collocandolo “al più tardi” al 31 dicembre 2013.

Siffatta conclusione è fondata su una erronea lettura di Cass., sez. un., 22 settembre 2016, n. 18569.

Quest’ultima ha deciso nel senso che, qualora risulti realizzata una impropria scissione tra i momenti di deposito e pubblicazione attraverso l’apposizione in calce alla sentenza di due diverse date, il giudice tenuto a verificare la tempestività dell’impugnazione proposta deve accertare – attraverso un’istruttoria documentale o, in mancanza, il ricorso, se del caso, alla presunzione semplice ovvero, in ultima analisi, alla regola di giudizio di cui all’art. 2697 c.c., alla stregua della quale spetta all’impugnante provare la tempestività della propria impugnazione – il momento di decorrenza del termine d’impugnazione, ossia il momento in cui la sentenza è divenuta conoscibile attraverso il deposito ufficiale in cancelleria comportando l’inserimento di essa nell’elenco cronologico delle sentenze e l’attribuzione del relativo numero identificativo.

La soluzione delle Sezioni Unite segue l’intervento della Corte costituzionale, la quale, muovendo dalla centralità del diritto di impugnazione, aveva osservato (sent. 22 gennaio 2015, n. 3) che, nel caso di apposizione di una doppia data, di deposito e di pubblicazione, “per costituire dies a quo del termine per l’impugnazione, la data apposta in calce alla sentenza dal cancelliere deve essere qualificata dalla contestuale adozione delle misure volte a garantirne la conoscibilità e solo da questo concorso di elementi consegue tale effetto, che, in presenza di una seconda data, deve ritenersi di regola realizzato esclusivamente in corrispondenza di quest’ultima, con la conseguenza che il ritardato adempimento, attestato dalla diversa data di pubblicazione, rende inoperante la dichiarazione dell’intervenuto deposito, pur se formalmente rispondente alla prescrizione normativa”. Ora, è esatto che la sentenza n. 18569 del 2016, nell’indicare le attività, da svolgersi in tempi rapidissimi, in cui si sostanzia la pubblicazione della sentenza, fa riferimento alla sequenza: consegna della sentenza in cancelleria da parte del giudice e recepimento di essa da parte del cancelliere mediante inserimento nell’elenco cronologico e relativa attestazione -, ma è anche vero che, proprio l’esigenza di garantire il diritto della parte alla conoscibilità del provvedimento giurisdizionale, non tollera, nella verifica dell’ammissibilità dell’impugnazione, automatismo alcuno.

Infatti, le Sezioni Unite osservano che “l’apposizione di due date comporta la necessità di individuare il momento nel quale è effettivamente intervenuto il deposito/pubblicazione della sentenza, ma non impone per ciò solo di ricorrere a presunzioni aprioristiche e generalizzate ovvero ad indiscriminate ed ingiustificate rimessioni in termini”.

In ogni caso, tale verifica ruota attorno alla questione della apposizione di due date.

Al contrario – e tanto è puntualizzato ancora nella motivazione della sentenza delle Sezioni Unite menzionata dalla decisione impugnata se sia stata apposta dal cancelliere, come nel caso di specie, un’unica data, deve ritenersi, sino a querela di falso, che la sentenza sia “venuta ad esistenza” in quella data, con ogni relativo presupposto e conseguenza.

2. Alla stregua dei superiori rilievi, la sentenza impugnata va cassata con rinvio al Tribunale di Roma, in persona di diverso giudicante, cui viene demandata anche la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Roma, in persona di diverso giudicante, cui viene demandata anche la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2020

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