Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9958 del 26/04/2010

Cassazione civile sez. I, 26/04/2010, (ud. 17/03/2010, dep. 26/04/2010), n.9958

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22338/2009 proposto da:

F.G. (C.F. (OMISSIS)) elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA SILVIO PELLICO 44, presso l’avvocato

FRANCESCO BARTOLINI BALDELLI, rappresentata e difesa dall’avvocato

CESARO Grazia Ofelia, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MILANO (C.F. (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA T. SOLERA 7/9, presso

l’avvocato PIROCCHI Francesco, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati PEZZULO SALVATORE, SURANO MARIA RITA,

AMMENDOLA SALVATORE, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI

MILANO;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di MILANO del 14/05/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

17/03/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato CESARO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato PIROCCHI che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il Tribunale per i minorenni di Milano con sentenza del 29 agosto 2008 dichiarava lo stato di adottabilità del minore Fe.

(Ndr: testo originale non comprensibile), successivamente riconosciuto come proprio figlio da F.G.; e con decreto del 3 febbraio 2009 rigettava la domanda della madre di revoca dello stato di adottabilità.

Pure il reclamo della F. è stato respinto dalla Corte di appello di Milano, sez. per i minorenni con decreto del 14 maggio 2009, in quanto: a) lo stato di abbandono del minore viene meno a seguito di un atteggiamento di profondo affetto e di dedizione da parte dei genitori, per i quali non basta che gli sia assicurata la disponibilità di mezzi economici; b) la F. mostrava ancora profonda indecisione ed assoluto distacco emotivo per la vicenda anche per la preoccupazione che il padre dell’altra figlia minore, a nome G., non accettasse in famiglia il piccolo Fe.; c) d’altra parte quest’ultimo si trovava assai bene nella situazione di affidamento preadottivo, per cui appariva assolutamente non rispondente ai suoi interessi allontanarlo dalla famiglia cui era affidato.

Per la cassazione di tale decreto F.G. ha proposto ricorso per 10 motivi, cui resiste con controricorso il Comune di Milano, n.q., di tutore del minore Fe..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. Con il primo motivo, la F., deducendo nullità della decisione del Tribunale censura il decreto impugnato per non aver rilevato che nel procedimento di primo grado al minore non era stato nominato alcun difensore, come previsto dalla disposizione della L. n. 183 del 1984, art. 8, applicabile anche nell’ipotesi di revoca della dichiarazione di adottabilità; con la conseguenza che, data l’assenza del minore in giudizio malgrado lo stesso ne costituisse un litisconsorte necessario, la pronunzia doveva considerarsi inutiliter data in quanto non emessa nei confronti di tutte le parti.

La censura è infondata.

La ricorrente mostra infatti di confondere la questione della necessità che il minore sia parte nei giudizi di adottabilità introdotta dalla novella 149 del 2001,con quella della sua assistenza tecnica nei suddetti procedimenti. Quanto alla prima la quale comporta che il conseguente rapporto giuridico con pluralità di soggetti (minore, genitori, P.M.), dedotto nel giudizio, esiga, per ragioni di diritto sostanziale, o anche processuale, l’unità del processo e della decisione nei confronti di tutte le parti interessate, senza di che la sentenza sarebbe “inutiliter data”, la Corte deve ribadire i seguenti principi (Cass. 7281 e 7282/2010;

3084/2010): 1) che il legislatore del 2001 ha considerato il minore non più oggetto della potestà dei genitori e/o del potere-dovere officioso del giudice di individuarne e tutelarne gli interessi preminenti, ma quale soggetto di diritto, e parte necessaria del procedimento, perciò titolare di un ruolo sostanziale (nonchè di uno spazio processuale) autonomo rispetto a quello tradizionale di semplice destinatario di una decisione presa nel suo interesse da altri (a prescindere dal fatto che egli abbia bisogno, siccome incapace di agire, di una rappresentanza per far valere il proprio diritto o difenderlo contro un’ ingiusta pretesa altrui); 2) che siffatta regola vale anche per il procedimento diretto a conseguire la revoca dello stato di adottabilità di cui all’art. 21 della legge perchè anche in esso il minore è il titolare della situazione sostanziale oggetto del giudizio ed il destinatario principale degli effetti della decisione come del resto è reso palese dalla stessa norma che ravvisa il presupposto principale e nel contempo la finalità della revoca “nell’interesse del minore (in quanto siano venute meno le condizioni di cui all’art. 8….”, perciò da accertare nel contraddittorio necessario di quest’ultimo (comma 3).

Ciò è quanto è avvenuto nel caso concreto atteso che dal decreto del Tribunale (che la Corte può esaminare, essendo stato dedotto un error in procedendo), risulta che il procedimento di revoca della L. n. 184 del 1983, ex art. 21, è stato regolarmente instaurato dalla F. nei confronti del tutore del piccolo Fe., che è il Comune di Milano; e questa Corte ha già affermato più volte che nell’ipotesi in cui al minore sia stato nominato un tutore, detta nomina risponde allo scopo di dargli anche un rappresentante legale che abbia la legittimazione a stare in giudizio nei procedimenti in questione in nome e per conto del minore onde valutarne ed attuarne i superiori preminenti interessi. Sicchè quest’ultimo crea deve stare in giudizio proprio attraverso il tutore che gli è stato nominato, come è avvenuto nella fattispecie.

Quanto, poi, alla diversa questione della sua difesa tecnica, è vero che nel giudizio davanti al Tribunale il tutore ha scelto di non costituirsi; sennonchè la ricorrente non ha dimostrato quale pregiudizio abbia arrecato alla salvaguardia delle ragioni del figlio tale linea difensiva una volta che il tutore si è costituito nel giudizio di appello ed ivi ha recepito interamente il contenuto della decisione del Tribunale sul quale ha formulato le proprie difese, chiedendone ed ottenendone dal giudice di appello la conferma. Per cui; sotto questo profilo la F. difetta di interesse a contestare la validità di un giudizio e della decisione che lo ha concluso (Cass. 7282/2010 cit.), sui quali invece la parte interessata ad eccepirne la nullità ha incentrato le proprie difese nei gradi successivi.

3. Inammissibili sono, poi, il quarto motivo, con cui la ricorrente deducendo violazione della L. n. 184 del 1983, art. 21, si duole che il decreto abbia affermato sia pure incidentalmente l’esistenza di un affidamento preadottivo in atto, che peraltro rende inammissibile l’istanza di revoca,senza accertarlo realmente e senza avvedersi che occorreva la prova documentale, in ogni caso da acquisire; che detto affidamento fosse stato già disposto: ed il nono, con cui contesta anche la fonte di detta affermazione, proveniente dal tutore, invece documentalmente smentita dalla data – successiva – della sentenza che aveva dichiarato l’adottabilità.

Come, infatti, ha riconosciuto la stessa F., il decreto impugnato ha menzionato soltanto incidentalmente la esistenza di un affidamento preadottivo in atto per il minore, senza trame la conseguenza preclusiva posta dall’art. 21, comma 4 della legge, per cui “Nel caso in cui sia in atto l’affidamento preadottivo, lo stato di adottabilità non può essere revocato”: avendo esaminato il merito del reclamo, respinto perchè, secondo i giudici di appello,non era venuto meno lo stato di abbandono del minore.

D’altra parte la Corte di appello, pur avendo utilizzato l’espressione “affidamento preadottivo”, non ha inteso riferirsi all’istituto di cui alla L. n. 184, art. 22, successivo alla dichiarazione dello stato di adottabilità, che richiede (cfr. Corte Costit. 344/1992) la particolare istruttoria stabilita dalla norma, nonchè lo specifico provvedimento del Tribunale per i minorenni di cui al comma 6 della stessa (nel caso neppure menzionato), ma all’affidamento etero familiare di cui al precedente art. 4, disposto dallo stesso Tribunale con provvedimento del 29 agosto 2008, dagli stessi giudici di appello espressamente ricordato (pag. 3) nel riferire dello svolgimento del processo. Tale disposizione sul presupposto che il minore sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, prevede la possibilità di affidamento a un’altra famiglia o ad una comunità di tipo familiare affinchè ne tutelino le esigenze consentendone anche durante detto periodo transitorio una crescita equilibrata; con la conseguenza che lo stesso cessa dopo il periodo e per le cause indicate nei commi 4 e seg. dello stesso art. 4.

Pertanto, la ricorrente difetta di interesse ad impugnare l’affermazione di cui si è detto contenuta nella motivazione che non risulta per essa pregiudizievole, non avendo spiegato alcuna rilevanza sulla decisione e sul dispositivo, rispondenti a ragioni affatto diverse.

4. Con il secondo motivo, la F., deducendo violazione della L. n. 183 del 1984, art. 21, si duole che la Corte di appello non abbia considerato che essa, subito dopo il decreto dei primi giudici, aveva provveduto al riconoscimento del figlio:con la conseguenza che era venuto meno lo stato di abbandono anche per la sua volontà espressa di provvedere al minore; e che in ogni caso il mantenimento dello stato di adottabilità era consentito soltanto dopo una nuova valutazione dei suoi presupposti e l’accertamento, invece non compiuto dal decreto che persisteva lo stato di abbandono del piccolo Fe..

Anche detto motivo è infondato.

Questa Corte ha già avuto occasione di osservare prima della novella introdotta dalla L. n. 149 del 2003 – che sul punto non ha apportato significative modifiche: a) che la L. n. 184, considera genitori del minore – perciò parti necessarie nel giudizio di adottabilità – solo coloro che hanno acquisito giuridicamente il relativo status, e non anche i genitori esclusivamente biologici (intesi come presunti o asseriti genitori), cui è attribuita la sola forma di tutela posta dall’art. 11 che nella prospettiva del recupero della responsabilità genitoriale e del mantenimento del minore nella famiglia di origine impone la ricerca dei presunti genitori al fine di avvertirli della facoltà di chiedere la sospensione della procedura per poter provvedere al riconoscimento; b) che in mancanza di genitori naturali che abbiano riconosciuto il minore o che abbiano richiesto la sospensione della procedura, il Tribunale per i Minorenni, “senza eseguire ulteriori accertamenti” (deve dichiarare “immediatamente” lo stato di adottabilità (art. 11, comma 2). Così come una volta decorso il periodo di sospensione senza che sia stato effettuato il riconoscimento deve provvedere “senza altra formalità di procedura alla pronuncia dello stato di adottabilità” (art. 11 comma 5): in conformità al principio che il bambino non riconosciuto è per definizione un bambino abbandonato, in quanto privato non solo di ogni assistenza, ma del bene primario della propria identità personale; c) che ove il riconoscimento intervenga nelle more del giudizio sullo stato di adottabilità – integrando lo “status” giuridico di genitore naturale una condizione della azione, e non un presupposto processuale – quest’ultimo potrà partecipare al giudizio ed impugnare la relativa sentenza (semprecchè non siano maturate le preclusioni stabilite dalla legge). Mentre se il riconoscimento è successivo alla definitività del provvedimento che decide sullo stato di adottabilità, il genitore ha la sola possibilità di proporre istanza di revoca dello stato di adottabilità, ai sensi dell’art. 21; come si ricava dell’art. 11, u.c., che nel negare efficacia al riconoscimento intervenuto dopo la dichiarazione di adottabilità; e l’affidamento preadottivo, implicitamente tale efficacia riconosce a quello effettuato dopo la sola dichiarazione di adottabilità.

Ma in tal caso il riconoscimento rappresenta (per le ragioni esposte) una condizione necessaria per la proponibilità dell’istanza suddetta, invece preclusa ai soli genitori naturali, ma non anche sufficiente a conseguire il provvedimento di revoca, subordinato specificamente dalla norma, come ha finito per riconoscere la stessa F. (cfr. 3 motivo), alla duplice ulteriore condizione dell’interesse del minore nonchè al venir meno del suo stato di abbandono.

Confortano questo risultato anzitutto la disposizione del comma 2 del menzionato art. 11, la quale prevede che il Tribunale ove vi sia “richiesta…. da parte di chi, affermando di essere uno dei genitori naturali, chiede termine per provvedere al riconoscimento”, sospenda (o rinvii ai sensi del comma 3 nell’ipotesi di difetto di età del genitore) “la procedura”; la quale dunque non cessa, ma riprende il suo corso anche nell’ipotesi in cui il riconoscimento venga effettuato nel termine concesso dalla legge. Quindi il successivo comma 5 che individua il solo caso in cui il giudice deve dichiarare “chiusa la procedura”, ravvisandolo non già nell’esito positivo del riconoscimento, quale conseguenza automatica di questo, bensì nel fatto che venga accertato che “non sussista abbandono morale e materiale” del minore; sicchè tanto nel caso in cui “trascorrono i termini senza che sia stato effettuato il riconoscimento” quanto in quello in cui il riconoscimento sia stato effettuato, ma continui egualmente a sussistere “abbandono morale e materiale del minore”, il giudice deve provvedere alla dichiarazione dello stato di adottabilità (comma 5 cit.). Ed infine le disposizioni degli art. 11, u.c., e art. 21, comma 4, le quali, ove sia già intervenuto ) oltre alla dichiarazione di adottabilità, anche l’affidamento preadottivo di cui al successivo art. 22, rendono l’avvenuto riconoscimento privo di efficacia; e per altro verso precludono l’istanza di revoca pur al genitore che lo abbia utilmente effettuato, presumendo in via assoluta che in tale situazione di fatto la revoca dello stato di adottabilità non è nell’interesse del minore. Mentre la consentono soltanto ove il necessario e controllato periodo dell’affidamento preadottivo non sia ancora in corso,disponendo che in tal caso lo stato di adottabilità (non deve, ma) “può essere revocato” allorchè ne ricorrano all’evidenza i due menzionati presupposti indicati nel comma 1.

5. Anche con la novella 149, infine, il legislatore ha inteso privilegiare l’esigenza fondamentale del fanciullo a conseguire un proprio “status” ed a crescere in un ambiente familiare idoneo rispetto all’interesse al recupero della famiglia biologica sancito all’art. 1, nonchè al diritto di ogni altro soggetto, inclusi i genitori biologici; ed ha considerato la revoca un provvedimento di secondo grado, che elide un precedente provvedimento già sottoposto ad un iter processuale completo. Essa è quindi istituto eccezionale, conseguente ad un positivo riesame non già dell’atto – dietro prospettazione di vizi genetici ormai insuscettibili di ulteriore disamina – bensì del rapporto giuridico che ne è scaturito – lo stato di adattabilità sotto il profilo di sopravvenienze positive che facciano venir meno lo stato di abbandono accertato; e tende a porre nel nulla non più un atto conseguenza di un procedimento sommario (come avveniva prima della legge del 2001), ma una sentenza pronunciata dopo un vero e proprio contraddittorio. Sicchè: 1) non può essere sempre e comunque ritenuta corrispondente all’interesse del minore, anche perchè sopravviene quando ormai sono stati effettuati interventi diretti al suo inserimento in una nuova famiglia, o comunque a porre rimedio allo stato di abbandono, dalla cui interruzione possono derivare gravi pregiudizi per il minore stesso, superiori ai benefici conseguibili con il reinserimento nella famiglia naturale; 2) non deve consentire in alcun caso l’interruzione di un sereno inserimento in una famiglia in grado di accoglierlo,come dimostra nuovamente il ricordato art. 11, secondo cui, intervenuti la dichiarazione di adottabilità e l’affidamento preadottivo, perfino il riconoscimento del genitore naturale è privo di efficacia in quanto suscettibile di frustrare l’obiettivo della legge (Cass. 4199/2008; 4537/2008).

Conseguentemente, data la natura e la finalità del giudizio di revoca, la Corte di appello non doveva affatto azzerare – tutti gli accertamenti e le indagini già compiuti nel giudizio rivolto alla dichiarazione di adottabilità del piccolo Fe., per poi eseguirli nuovamente, come prospettato dalla ricorrente; nè riesaminare in particolare la documentazione relativa all’epoca della nascita e dell’abbandono del minore (segnalazione dell’Ospedale, relazione del Servizio Madre segreta della Provincia già oggetto della decisione ormai definitiva che anche in base alle relative risultanze detto abbandono ha ritenuto sussistente. Ma stabilire se vi era la prova dell’effettiva sopravvenienza dei fatti allegati, idonei a superare le condizioni poste dalla L. n. 184 del 1983, art. 8, onde far venire meno l’efficacia del provvedimento di adottabilità che i giudici dell’impugnazione hanno ritenuto tuttavia inidonei a modificare la situazione preesistente accertata dalla sentenza 29 agosto 2008 del Tribunale per i minorenni.

6. Contro la valutazione di questa prova è incentrato il terzo motivo,con cui la ricorrente, deducendo violazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1 e 8, artt. 29 e 30 Cost., addebita al decreto impugnato di non aver considerato che la revoca si fonda su due presupposti, costituita il primo dall’interesse del minore ed il secondo dal venir meno dello stato di abbandono. Assume che nel caso sussisteva certamente il primo perchè come più volte evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità nonchè dalla Corte Costituzionale, il fanciullo ha diritto a vivere con la sua famiglia di origine e lo stato di adottabilità costituisce soltanto l’estrema ratio in caso di accertamento dello stato di abbandono, che nella fattispecie non era più esistente quanto meno per l’avvenuto riconoscimento della Corte territoriale che la madre era in possesso di tutti i mezzi per provvedere al suo mantenimento. Mentre per quanto riguarda il profilo affettivo non bastava un giudizio generico,peraltro formulato ex ante, occorrendo un’indagine approfondita fondata quanto meno su di una c.t. o altre indagini specialistiche.

Questo motivo è fondato.

La Corte di appello ha respinto il reclamo della F., in base:

a) alla relazione della ASL redatta il 17 dicembre 2008, subito dopo il riconoscimento del minore, la quale aveva ritenuto che essa non avesse in realtà ancora maturato una scelta chiara e definitiva, essendo apparsa confusa ed in difficoltà in relazione alla prospettiva di occuparsi del figlio: perciò considerata decisiva dal Tribunale per rigettare l’istanza di revoca; b) all’audizione (in appello) della ricorrente il cui comportamento è stato giudicato “improntato ad un distacco emotivo rispetto al problema da risolvere” ed attento più alla propria attività professionale che alla dedizione nei confronti del figlio (pag. 5 decreto). A queste considerazioni ha aggiunto la preoccupazione che i rapporti della ricorrente con il padre dell’altra figlia, contrario ad occuparsi del piccolo Fe., potessero determinare un atteggiamento discriminatorio tra quest’ultimo e la sorella G..

Sennonchè siffatte risultanze potevano al più costituire, data la peculiarità del caso concreto, elementi cui attribuire particolare rilevanza negli accertamenti da compiere onde stabilire se dopo il riconoscimento del minore la F. aveva risolto i difficili rapporti con i compagni con i quali aveva procreato i due figli ed era pronta ad assumere e svolgere con dedizione il suo ruolo genitoriale, come dalla stessa prospettato nel reclamo; ovvero se si trattava di un mero proposito cui non era seguito alcun reale mutamento nella situazione di incertezza descritta dalla relazione della ASL, e quindi nello stato di abbandono del figlio. Laddove la ricognizione del tema di indagine posto dal caso concreto si è trasformata nel giudizio della Corte nell’unica ed esaustiva risultanza che ha orientato in modo determinante la decisione:

perciò adottata senza alcuna istruttoria e senza alcun rapporto alle reali esigenze della fattispecie in esame, utilizzata esclusivamente onde ricavarne una presunzione sul perdurare di un generico giudizio di inadeguatezza della ricorrente.

Eppure, proprio la peculiarità della stessa imponeva di accertare con particolare approfondimento se erano venute meno le condizioni richieste dal menzionato art. 21 per mantenere lo stato di adottabilità, una volta che lo stesso provvedimento impugnato aveva riferito che il minore era nato il 28 luglio 2008 e che, siccome neppure la madre lo aveva riconosciuto, il Tribunale dei minorenni con sentenza del 29 agosto successivo, avvalendosi del disposto della L. n. 184, art. 11, senza compiere alcun altro accertamento aveva provveduto alla dichiarazione dello stato di adottabilità; e la decisione era passata in giudicato proprio perchè la F., non risultando genitore legale del minore; non aveva per un verso ottenuto la pur richiesta sospensione del procedimento, e non era, per altro verso, legittimata a proporre impugnazione contro la sentenza.

D’altra parte, questa situazione non era stata provocata esclusivamente dall’iniziale perplessità mostrata dalla ricorrente nel provvedere al riconoscimento del figlio: in quanto, inoltrata, subito dopo, la relativa richiesta all’Ufficiale dello Stato civile di Milano, quest’ultimo aveva rifiutato di ricevere il relativo atto;

sicchè si era reso necessario procedere ad autonomo giudizio davanti al Tribunale di Milano, che con provvedimento del 16 ottobre 2008 aveva ordinato all’Ufficiale dello Stato civile di ricevere la dichiarazione suddetta, formalizzata in data 13 novembre 2008; con la conseguenza ulteriore che, essendo stato nelle more il piccolo Fe. collocato presso una famiglia, alla ricorrente erano stati preclusi anche rapporti con il figlio.

La successione di questi eventi era avvenuta proprio nel periodo di tempo cui è riservata particolare attenzione dalla Convenzione europea in materia di adozione di minori, firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967, ratificata dallo Stato italiano con L. n. 357 del 1974, il cui art. 5 dispone che l’adozione non verrà decisa se non quando sia stato concesso, tra l’altro, il consenso della madre (legittima):

ritenuto valido soltanto “allo spirare del termine prescritto dalla legge che non dovrà essere inferiore a 6 settimane o, ove non sia specificato un termine, nel momento in cui, a giudizio dell’autorità competente, la madre si sarà sufficientemente ristabilita dalle conseguenze del parto”: perciò inducendo la Corte Edu a ritenere che la norma “ha lo scopo di evitare le adozioni premature per le quali il consenso della madre è manifestato in seguito ad una pressione esercitata prima della nascita del bambino ovvero “prima che il suo stato fisico e psicologico si sia stabilizzato dopo la nascita del bambino”. Ed a condannare lo Stato italiano (sent. 13 gennaio 2009,in causa Todorova c/Italia) per avere l’autorità giudiziaria dichiarato immediatamente lo stato di adottabilità di alcuni minori senza ascoltare la madre naturale che pure aveva fatto istanza di essere sentita dal Tribunale e di disporre di un breve lasso di tempo, per riflettere sulla decisione, se riconoscere o meno i figli: perciò violando l’art. 8 della Convenzione dei diritti dell’uomo ratificata in Italia con L. n. 848 del 1955 per avere negato l’interesse che la madre naturale suddetta aveva dimostrato nei confronti dei figli ed escluso che tra di essa e costoro avrebbe potuto svilupparsi un rapporto se essa avesse avuto la possibilità di rimettere in discussione la sua scelta iniziale dinanzi ad un Tribunale. E la violazione della norma convenzionale nell’ interpretazione offerta dalla Corte di Strasburgo non può non influire (cfr. Corte Costit.

348 e 349/2007) sulla ricerca e sulla valutazione della prova che sia venuta meno la situazione di abbandono del minore di cui alla L. n. 149, art. 21, causata dal suo mancato riconoscimento da parte della madre allorquando quest’ultimo sia stato richiesto ed ottenuto, come si è verificato nella fattispecie nei mesi immediatamente successivi al parto, inducendo il Collegio a rilevare che invece nel caso nessun accertamento specialistico è stato compiuto onde stabilire le capacità genitoriali della F.. Non nel giudizio di adottabilità, peraltro svoltosi proprio nel periodo considerato dall’art. 5 della Convenzione in materia di adozione, perchè la stessa non aveva ancora riconosciuto il minore e perciò non poteva esservì parte; e perchè d’altra parte il Tribunale non aveva ritenuto di sospendere il procedimento per consentirle di procedere al riconoscimento. E neppure nel procedimento di primo grado iniziato a seguito di istanza di revoca e sostanzialmente definito in base alla sola menzionata relazione della ASL, peraltro riferibile al periodo avanti menzionato, caratterizzato dallo stato di confusione e di difficoltà in cui versava allora la ricorrente: perciò stesso da solo non probante ed ancor meno decisivo per valutare l’effettività delle sue scelte successivamente maturate, nonchè la loro corrispondenza agli interessi del minore. Così come nessun mezzo istruttorie è stato disposto dalla Corte di appello, malgrado la F. avesse chiesto l’ammissione di consulenza tecnica specialistica, nonchè reiterato la domanda già inutilmente avanzata al Tribunale di essere sottoposta a tutte le valutazioni ed indagini ritenute opportune onde accertare la sua attitudine ad accudire alle esigenze materiali e morali del piccolo Fe.; e la loro assunzione, neppure menzionata dal provvedimento impugnato, si rivelasse indispensabile anche al lume dalla circostanza che, non essendo consentito alla ricorrente di frequentare il figlio e di intrattenere un rapporto continuativo con lui, nessuna prova la stessa poteva addurre (come avrebbe potuto fare per l’altra figlia), traendola dalla frequenza e dalla comunanza di vita con il minore,o quanto meno da sperimentazioni disposte dal giudice di primo grado (Cass. 3775/1983), che la situazione era mutata rispetto a quella considerata e cristallizzata dai Servizi Sociali nel periodo successivo al parto.

7. Nè l’obbligo della motivazione sulla inidoneità di costei a provvedere al figlio può ritenersi assolto per l’ampio spazio dedicato dalla Corte al suo comportamento durante l’audizione disposta in appello: anzitutto perchè gli stessi giudici del reclamo hanno avvertito che lo stesso poteva “costituire una ulteriore conferma della scarsa capacità di profonda emotività” della ricorrente,e non da solo, la prova della (in)disponibilità del genitore a prendersi cura del figlio, nonchè del perdurare dello stato di abbandono del minore. E quindi perchè, riferendosi il provvedimento impugnato non già a tratti così radicati nella personalità della ricorrente da impedire qualsiasi prognosi favorevole circa lo sviluppo dei suoi rapporti con il figlio, bensì a comportamenti emotivi (e/o privi di emotività) tenuti nel corso di un’udienza, pur se svolta da organi giudiziari qualificati alla loro valutazione, gli stessi rientrano proprio fra quelli considerati dalla giurisprudenza di legittimità suscettibili di apprezzamenti e spiegazioni diversi; per cui la Corte deve ribadire (cfr. Cass. 5812/1989) che affinchè il relativo convincimento possa ricollegarsi a regole di comune esperienza specialistica, occorre la sussistenza di elementi da cui la scienza desuma una sola e determinata valutazione, sicchè, in presenza di detti comportamenti, il giudice minorile non può esimersi dall’acquisizione di ulteriori riscontri o dal ricorso a consulenza tecnica, e comunque dal compimento di più approfonditi accertamenti. Così come è tenuto a maggior ragione a disporli per verificare in concreto la possibilità di un comportamento discriminatorio del genitore a fronte del proposito di costui di far vivere insieme i figli minori onde consentire l’instaurarsi e lo sviluppo, nel loro comune interesse, di un sano rapporto affettivo tra di essi.

Assorbiti, pertanto, i restanti motivi del ricorso, il decreto impugnato, che non si e attenuto ai principi esposti va cassato con rinvio alla stessa Corte di appello di Milano, che in diversa composizione provvederà ai complessi accertamenti postulati dalla fattispecie e per quanto detto non delegatali ai Servizi sociali; ed all’esito degli stessi valuterà altresì se l’eventuale rientro nella famiglia di origine possa causare pregiudizi al minore, tenuto conto delle sue specifiche esigenze attuali e del periodo trascorso presso la famiglia cui è stato temporaneamente affidato (Cass. 14609/2009); in relazione al quale il provvedimento impugnato si è limitato a riportare le sole dichiarazioni del tutore.

Sarà compito del giudice di rinvio provvedere alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte, rigetta i primi due motivi del ricorso, dichiara inammissibili il quarto ed il nono, accoglie il terzo, ed assorbiti gli altri, cassa il decreto impugnato e rinvia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 17 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2010

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