Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9958 del 15/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 15/04/2021, (ud. 23/02/2021, dep. 15/04/2021), n.9958

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 38415/2019 R.G., proposto da:

l’Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore

Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per legge domiciliata;

– ricorrente –

contro

la “S.I.T.E.C. S.r.l.”, con sede in Caraglio (CN), in persona

dell’amministratore unico pro tempore, rappresentata e difesa

dall’Avv. Lucisano Claudio e dall’Avv. Vulcano Maria Sonia, con

studio in Roma, ove elettivamente domiciliata, giusta procura in

allegato al controricorso di costituzione nel presente procedimento;

– controricorrente –

avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale

del Piemonte l’8 maggio 2019 n. 558/01/2019, non notificata; udita

la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata (mediante collegamento da remoto, ai sensi del D.L. 28

ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 9, convertito nella L. 18

dicembre 2020, n. 176, con le modalità stabilite dal decreto reso

dal Direttore Generale dei Servizi Informativi ed Automatizzati del

Ministero della Giustizia il 2 novembre 2020) del 23 febbraio 2021

dal Dott. Lo Sardo Giuseppe.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte l’8 maggio 2019 n. 558/01/2019, non notificata, che, in controversia su impugnazione di avviso di accertamento per IRPEF, IRAP ed IVA relative all’anno 2008, ha accolto l’appello proposto dalla “S.I.T.E.C. S.r.l.” nei confronti della medesima avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Cuneo il 3 aprile 2017 n. 166/01/2017. La Commissione Tributaria Regionale ha riformato la decisione di primo grado, sul presupposto che l’amministrazione finanziaria fosse decaduta dall’esercizio del potere di accertamento per inapplicabilità del raddoppio dei termini in presenza di reato. La S.I.T.E.C. S.r.l.” si è costituita con controricorso. Ritenuta la sussistenza delle condizioni per definire il ricorso con il procedimento ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la proposta redatta dal relatore designato è stata notificata ai difensori delle parti con il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte. In vista dell’odierna adunanza non sono state presentate memorie.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Con unico motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, comma 3, quale introdotto dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 37, comma 24, convertito, con modificazioni, nella L. 4 agosto 2006. n. 248, del D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, art. 2, comma 3, e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57, comma 3, (nel testo vigente fino al 2 settembre 2015), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto che il raddoppio dei termini di accertamento esigesse l’obbligo di comunicazione della notizia di reato prima della scadenza del termine ordinario.

Ritenuto che:

1. Il motivo è parzialmente fondato.

1.1 In tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, comma 3, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57, comma 3, nei testi applicabili ratione temporis, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, come è stato chiarito dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 247 del 2011, sicchè, ove il contribuente denunci il superamento dei termini di accertamento da parte dell’amministrazione finanziaria, deve contestare la carenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, non potendo mettere in discussione la sussistenza del reato il cui accertamento è precluso al giudice tributario (Cass., Sez. 5, 30 ottobre 2018, n. 27629; Cass., Sez. 6-5, 28 giugno 2019, n. 17586; Cass., Sez. 5, 2 luglio 2020, n. 13481).

1.2 Ora, secondo l’insegnamento di questa Corte, i termini previsti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, comma 3, per l’IRPEF e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57, comma 3, per l’IVA, come modificati dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 37, comma 24, convertito, con modificazioni, nella L. 4 agosto 2006, n. 248, nella versione applicabile ratione temporis, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano sorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale (indipendentemente dall’effettiva presentazione della stessa, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento del reato nel processo: Cass., Sez. 5, 13 settembre 2018, n. 22337), anche con riferimento alle annualità d’imposta anteriori a quella pendente al momento dell’entrata in vigore (4 luglio 2006) del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, tanto derivando non dalla natura retroattiva della novella, ma, secondo la lettura di tali disposizioni data dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 247 del 2011, dalla circostanza che, stabilendo il prolungamento dei termini non ancora scaduti alla data dell’entrata in vigore del detto decreto, essa incide necessariamente (protraendoli) sui termini di accertamento delle violazioni che si assumono commesse prima di tale data, nel rispetto del principio cristallizzato dall’art. 11 preleggi, comma 1, (Cass., Sez. 5, 30 ottobre 2018, n. 27629; Cass., Sez. 6-5, 19 dicembre 2019, n. 33793).

1.3 Inoltre, in tema di accertamento tributario, i termini previsti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, comma 3, per l’IRPEF e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57, comma 3, per l’IVA, come modificati dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 37, comma 24, convertito, con modificazioni, nella L. 4 agosto 2006, n. 248, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, notificati, incidano le modifiche introdotte dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, commi 130, 131 e 132, attesa la disposizione transitoria, ivi introdotta, che richiama l’applicazione del D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, art. 2, comma 3, nella parte in cui sono fatti salvi gli effetti degli avvisi già notificati (Cass., Sez. 5, 14 maggio 2018, n. 11620; Cass., Sez. 6-5, 19 dicembre 2019, n. 33793).

1.4 Infatti, secondo il D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, art. 2, comma 3, sono, comunque, fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle Entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore del medesimo decreto. Sono, altresì, fatti salvi gli effetti degli inviti a comparire di cui al D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, art. 5 notificati alla data di entrata in vigore del medesimo decreto, nonchè dei processi verbali di constatazione redatti ai sensi della L. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 24 dei quali il contribuente abbia avuto formale conoscenza entro la stessa data, sempre che i relativi atti recanti la pretesa impositiva o sanzionatoria siano notificati entro il 31 dicembre 2015 (Cass., Sez. 6-5, 19 dicembre 2019, n. 33793).

1.5 Da ciò discende che il contribuente, ove voglia contestare l’accertamento compiuto oltre il termine ordinario, dovrà denunciare la carenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia e non potrà mettere in discussione la sussistenza del reato, nè sotto il profilo dell’elemento oggettivo, nè sotto quello dell’elemento soggettivo, nè infine dal punto di vista del suo autore (Cass., Sez. 5, 2 luglio 2020, n. 13481).

1.6 Del pari, sulla scorta della sentenza della Corte Costituzionale n. 247 del 2011, in caso di denuncia presentata oltre gli ordinari termini di decadenza o addirittura di accertamento compiuto senza denuncia, e sempre al fine di verificare l’uso pretestuoso del raddoppio dei termini, il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità, con la precisazione, però, che il correlativo tema di prova – e, quindi, l’oggetto della valutazione da effettuarsi da parte del giudice tributario – è circoscritto al riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale e non riguarda l’accertamento del reato.

1.7 Dalla giurisprudenza citata si evince, dunque, un favor del legislatore per il raddoppio dei termini in presenza di seri indizi di reato che facciano sorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale (indipendentemente dall’effettiva presentazione della stessa), in ossequio ai principio costituzionale di cui all’art. 53 Cost. (capacità contributiva) e art. 112 Cost. (obbligo di esercitare l’azione penale e interesse della collettività al perseguimento dei reati) tutte le volte in cui tale raddoppio del termine non incida su diritti fondamentali del contribuente, quali il diritto di difesa, diritto che nel caso di specie non appare compromesso da un uso pretestuoso o strumentale del termine, tenendo conto (in base agli stessi accertamenti dei giudici di merito), per un verso, che l’avviso di accertamento era stato notificato 1111 dicembre 2015, a fronte della comunicazione della originaria notizia di reato il 28 dicembre 2012, e, per un altro verso, che la contribuente neppure aveva contestato la sussistenza dei reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 2 e 8.

1.8 La Commissione Tributaria Regionale ha fatto malgoverno dei principi enunciati, laddove essa ha apoditticamente ritenuto non doversi raddoppiare i termini quando l’obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p. sia adempiuto soltanto dopo la scadenza del termine ordinario di decadenza, che, peraltro, nella specie, non era ancora scaduto al momento della comunicazione della originaria notizia di reato.

1.9 Ad ogni modo, il raddoppio dei termini D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex artt. 43, comma 3, e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57, comma 3, non può valere anche per l’accertamento relativo all’IRAP, in relazione al quale la sentenza impugnata deve essere confermata.

Difatti, non essendo l’IRAP un’imposta presidiata da sanzioni penali, è evidente che in relazione alla stessa non può operare la disciplina del “raddoppio dei termini” di accertamento quale applicabile ratione temporis (tra le altre: Cass., Sez. 6-5, 3 maggio 2018, n. 10483; Cass., Sez. 6A-5, 24 febbraio 2020, n. 4742).

2. Pertanto, stante la parziale fondatezza del motivo dedotto, il ricorso può trovare accoglimento per quanto di ragione e la sentenza impugnata deve essere cassata nei limiti specificati in motivazione con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata nei limiti specificati in motivazione e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 23 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2021

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