Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9958 del 08/05/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 9958 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: D’ANTONIO ENRICA

A

SENTENZA
sul ricorso 21121-2012 proposto da:
A2A ENERGIA S.P.A. (già AEM ACQUISTO E VENDITA
ENERGIA S.P.A.) C.F. 12883420155, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA ARCHIMEDE 112, presso lo
studio dell’avvocato MAGRINI SERGIO, che la

2014
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rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANDREA
DELL’OMARINO, CANTONE LORENZO, GILDA PISA, DAMOLI
CLAUDIO, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

Data pubblicazione: 08/05/2014

- I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE

C.F.

80078750587

in

persona

del

suo

Presidente e legale rappresentante pro tempore, in
proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.
Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S.,

VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura
Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli
avvocati SGROI ANTONINO, D’ALOISIO CARLA, MARITATO
LELIO, giusta delega in atti;
– controri correnti nonchè contro

EQUITALIA ESATRI S.P.A.;
– intimata –

avverso la sentenza n. 933/2012 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 28/05/2012 R.G.N. 929/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/02/2014 dal Consigliere Dott. ENRICA
D’ANTONIO;
udito l’Avvocato MAGRINI SERGIO;
udito l’Avvocato DAMOLI CLAUDIO;
udito l’Avvocato D’ALOISIO CARLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
GeneraleDott.FRANCESCACERONI-che ha concluso per
il rigetto.

C.F. 05870001004, elettivamente domiciliati in ROMA,

RG n 21121/2012

Svolgimento del processo
Con sentenza del 28/5/2012 la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di
rigetto dell’opposizione della soc AEM Acquisto e Vendita di Energia, ora A2A Energia spa società
a prevalente capitale pubblico, avverso la cartella esattoriale emessa su istanza dell’Inps per il
recupero dei contributi dovuti dalla Società per cig, cigs ,mobilità, disoccupazione involontaria ed
assegni familiari.
La Corte d’appello ha ritenuto che la società opponente, partecipata in quota maggioritaria da AEM
spa ,società a sua volta controllata dal comune di Milano , non godeva dell’esenzione contributiva
riservata dalla legge alle imprese pubbliche, essendo assoggettata alla comune disciplina delle
società per azioni. Pertanto, essa non rientrava fra le imprese esonerate dall’applicazione della cassa
integrazione guadagni (art. 3 del d.I.C.P.S. 12.08.47 n. 869 ed artt. 2 della 1. 5.11.68 n. 1115 e 16
della 1. 23.07.91 n. 223) ed era tenuta al pagamento della contribuzione relativa e di quella
conseguente di mobilità.
La Corte ha, altresì, rilevato quanto al contributo per disoccupazione involontaria,
l’assoggettabilità della società a tale contributo dovendo escludersi il carattere di azienda pubblica o
esercente un servizio pubblico. La Corte ha poi rilevato che anche a ritenere azienda esercente un
pubblico servizio difettava la stabilità di impiego, richiesta dall’ art 40 del RD n 1827/1935 ( detta
norma prevede la non assoggettabilità all’assicurazione per disoccupazione involontaria per i
dipendenti da aziende pubbliche, esercenti pubblici servizi e aziende private quando è garantita la
stabilità di impiego da accertarsi dal Ministero del lavoro) utile a determinare l’esonero
contributivo, stabilità di impiego da non confondersi con la tutela reale e non evincibile dalla
esame del CCNL .
Con riferimento alla richiesta formulata dall’opponente di pagamento dei contributi per assegni
familiari in misura ridotta anche per i dipendenti della società che avevano optato per rimanere
iscritti presso l’Inpdap, quali dipendenti delle ex municipalizzate, ha rilevato che la riduzione delle
aliquote contributive richiesta dall’opponente non poteva trovare fondamento nell’articolo 3,
comma 23, della legge n. 335 del 1995 .Ha osservato infatti che la riduzione delle aliquote prevista
da detta norma era correlata all’aumento contributivo stabilito per il fondo pensioni lavoratori
dipendenti con la conseguenza che era del tutto legittimo il decreto ministeriale del 21 febbraio
1996, emanato in attuazione di detta norma, secondo cui le riduzioni delle aliquote non trovavano
applicazione per le categorie iscritte a regimi pensionistici obbligatori diversi dal fondo pensioni
lavoratori dipendenti.

1

A2A Energia spa/ Inps, SCCI , Equitalia Esatri n 13

• La Corte ha poi ritenuto di non poter pervenire ad una riduzione delle aliquote non espressamente
prevista dalla legge neppure in base all’articolo 41 della legge n. 488 del 1999,1a quale a far data
dal 1 gennaio 2000 aveva soppresso il Fondo elettrici già gestito dall’Inps e con la medesima data
gli iscritti erano transitati al FPLD e sempre con la medesima data era prevista la riduzione delle
aliquote di finanziamento della contribuzione di maternità e per gli assegni familiari. Ha rilevato
che la norma aveva rideterminato gli obblighi contributivi ed aveva stabilito, al secondo comma,
l’imposizione di un contributo straordinario a carico dei datori di lavoro, con inclusione di un

derivanti dalla previsione del primo comma .
Infine la Corte territoriale ha respinto l’eccezione sollevata dall’opponente dell’applicabilità delle
sanzioni in misura ridotta in applicazione dell’art. 116, comma 15, L n 388/2000 non ravvisandone
i presupposti.
Avverso la sentenza ricorre la soc A2A Energia spa formulando nove motivi successivamente
illustrati con memoria ex art 378 cpc .
Resiste l’INPS con controricorso . Equitalia Esatri è rimasta intimata.
Motivi della decisione
1) Con il primo motivo la ricorrente denuncia plurime violazioni di legge .Lamenta che la
Corte territoriale ha ritenuto dovute le contribuzioni per CIG e CIGS senza tenere conto della
normativa nazionale e comunitaria in base alle quali l’art 3 , comma 1 , del dlgs cps n. 869/1947
deve essere interpretato nel senso che comprenda anche le società di capitali, costituite per
l’erogazione di servizi pubblici ed il cui capitale è solo in maggioranza di proprietà dell’ente
pubblico.
2) Con il secondo motivo, in relazione alla contribuzione per la disoccupazione involontaria,
la società denuncia violazione di legge nonché vizio di motivazione per aver la Corte negato la
natura di esercente pubblico servizio in capo ad AEM con conseguente non necessità di
accertamento in via amministrativa del requisito della stabilità di impiego.
3) Con il terzo motivo denuncia vizio di motivazione per non aver valutato l’esistenza di un
provvedimento di esonero dal contributo di disoccupazione del Ministero del lavoro del 10/7/56
attestante la stabilità di impiego applicabile anche ad AEM ed alle società da essa derivate nel
quale era dichiarato che il personale godeva di stabilità di impiego con esclusione dell’obbligo
contributivo per la disoccupazione involontaria . Né aveva considerato che il Ministero aveva
esteso alle società aventi causa da Enel ,l’esonero riconosciuto a favore di quest’ultima.

minore onere per le prestazioni minori , al fine di far fronte alle maggiori esigenze finanziarie

4) con il quarto motivo censura le affermazioni della Corte circa l’esclusione della stabilità di
impiego sebbene la contrattazione collettiva, oltre che il Protocollo Federgasacqua del 2003,
contenesse norme che garantivano ai lavoratori una stabilità c.d. rafforzata.
5) con il quinto motivo denuncia violazione di legge ( art 3 , comma 8, 1. n 335/1995) e vizio
di motivazione . Rileva che la circolare n 63/2005 dell’INPS prevedeva per le aziende dapprima
appartenenti allo stato e agli enti pubblici, poi privatizzate, l’obbligo di pagamento della
contribuzione CIG, CIGS e DS solo dal maggio 2005 e che sul punto la Corte nulla aveva riferito.

circolare potesse produrre effetti retroattivi e che anche su detta circostanza la Corte nulla aveva
riferito.
I motivi 1,2,3,4,5 ,congiuntamente esaminati in quanto strettamente connessi ,sono
infondati.
Deve rilevarsi che questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi (cfr, ex plurimis, Cass., nn.
14847/2009; 5816/2010; 11417/2013; 19087/2013; 20818/2013; 20819/2013; 22318/2013;
27444/2013; 27513/2013), rilevando, con articolate motivazioni, che la società partecipata non può
identificarsi con le imprese industriali degli enti pubblici, trattandosi di società di natura
essenzialmente privata nella quale l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente
attraverso gli strumenti di diritto privato, dovendosi altresì escludere, in mancanza di una disciplina
derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, che la mera partecipazione da parte
dell’ente pubblico sia idonea a determinare la natura dell’organismo attraverso cui la gestione del
servizio pubblico viene attuata; poiché la forma societaria di diritto privato è per l’ente locale la
modalità di gestione degli impianti consentita dalla legge e prescelta dall’ente stesso per la duttilità
dello strumento giuridico, in cui il perseguimento dell’obiettivo pubblico è caratterizzato
dall’accettazione delle regole del diritto privato, le società a partecipazione pubblica vanno escluse
dal concetto di imprese pubbliche.
A tale consolidato orientamento ermeneutico il Collegio intende qui dare continuità, non ravvisando
nelle motivazioni della ricorrente argomentazioni che già non siano state esaminate nei ricordati
precedenti.
Deve infatti rilevarsi come una prima definizione giurisprudenziale della figura dell’in house, è
fornita dalla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 18 novembre 1999, causa
C-107/98 -Teckal; in quella sede si è affermato che non è necessario rispettare le regole della gara
in materia di appalti nell’ipotesi in cui concorrano i seguenti elementi: a) l’amministrazione
aggiudicatrice esercita sul soggetto aggiudicatario un “controllo analogo” a quello esercitato sui

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Lamenta altresì che con parere dell’8 febbraio 2006 il Consiglio di Stato aveva escluso che detta

propri servizi; b) il soggetto aggiudicatario svolge la maggior parte della propria attività in favore
dell’ente pubblico di appartenenza.
Con la sentenza n. 50 del 2013, la Corte costituzionale ha, poi, affermato che la Corte di giustizia
dell’Unione europea ha riconosciuto che rientra nel potere organizzativo delle autorità pubbliche
degli Stati membri “auto produrre” beni, servizi o lavori, mediante il ricorso a soggetti che,
ancorché giuridicamente distinti dall’ente conferente, siano legati a quest’ultimo da una “relazione

house si risolva in una violazione dei principi del libero mercato e quindi delle regole
concorrenziali, che impongono sia garantito il pari trattamento tra imprese pubbliche e private, la
stessa Corte ha affermato che è possibile non osservare le regole della concorrenza a due
condizioni: la prima è che l’ente pubblico svolga sulla società in house un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi; la seconda è che il soggetto affidatario realizzi la parte più importante
della propria attività con l’ente pubblico.
Pertanto la finalizzazione della società di capitali alla gestione in house di un servizio pubblico
locale non muta la natura giuridica privata della società con riguardo alle ricadute previdenziali dei
rapporti di lavoro, ma assume rilievo nell’ordinamento nazionale e comunitario con riguardo al
mercato e alla tutela della concorrenza. Né argomenti contrari possono desumersi dal richiamo della
nozione di impresa pubblica, che costituisce anch’essa categoria all’attenzione del legislatore
comunitario, il quale se ne occupa all’art. 86 del Trattato e poi negli artt. 101, 102 e 103 sul divieto
di facilitazioni finanziarie; il legislatore comunitario ha, infatti, previsto, e sotto questo aspetto l’ha
disciplinata, che essa non fosse sottratta, in virtù dei rapporti con i pubblici poteri, alle regole del
mercato imposte, indipendentemente dalla loro appartenenza, a tutte le imprese, regole che valgono
per tutti gli operatori economici e non ammettono deroghe per le imprese pubbliche.
Non è senza significato, in proposito, che i caratteri distintivi dell’impresa pubblica devono essere
ricercati nelle direttive sulla trasparenza delle relazioni finanziarie fra gli Stati membri e le loro
imprese pubbliche (direttiva 80/723 della Commissione, successivamente modificata dalle direttive
2000/52 e 2005/81, ora codificate nella direttiva 2006/111), che hanno posto l’accento sull’esigenza
di assicurare la parità di trattamento tra imprese pubbliche e private e, a questi fini, sulla necessità
di una compiuta trasparenza circa le relazioni finanziarie intercorrenti tra poteri pubblici nazionali e
imprese pubbliche, in modo da distinguere chiaramente il ruolo svolto dalla pubblica
amministrazione quale potere pubblico e quello svolto dalla stessa quale privato.
La qualifica di un soggetto come impresa pubblica prescinde perciò dal fine perseguito, mentre
assume valenza decisiva il legame tra l’impresa e la pubblica amministrazione (intesa nella sua

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organica” (il cd. affidamento in house). Allo scopo di evitare che l’affidamento diretto a soggetti in

accezione più ampia, propria alla materia degli appalti, comprensiva perciò anche dell’organismo di
diritto pubblico) “dominante”.
Anche in questo caso, occorre rilevare, comunque, che il peculiare regime della cd. impresa
pubblica società di capitali, non può determinare, di per sé, ricadute sul regime previdenziale della
società medesima.
Esula, altresì, dal caso di specie la nozione di società pubblica strumentale, attesa l’esclusione “dei
servizi pubblici locali” sancita dall’art. 13 del dl. n. 223/06, convertito in legge n. 248/06; la stessa,

distingue dalle società a partecipazione pubblico-privata, esercitate secondo modelli paritetici, in
cui il ruolo degli enti territoriali corrisponde a quello di un azionista di una società per azioni (cfr.,
Consiglio di Stato, Sezione VI, 11 gennaio 2013, n. 122).
Conclusivamente deve convenirsi che nel caso che ne occupa non sussistono le condizioni per
escludere la debenza della contribuzione di cui è causa.
Infatti l’art. 3, comma 1, del dl.vo cps n. 869/47, come modificato, ha escluso dall’applicazione delle
norme sulla cassa integrazione guadagni una serie di imprese e, fra queste, “le imprese industriali
degli enti pubblici, anche se municipalizzate, e dello Stato” e, in ragione di quanto già esposto, la
società partecipata non può identificarsi con le imprese industriali degli enti pubblici esonerate,
trattandosi di società di natura essenzialmente privata, nella quale l’amministrazione pubblica
esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e dovendosi escludere,
in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, che la
mera partecipazione da parte dell’ente pubblico sia idonea a determinare la natura dell’organismo
attraverso cui la gestione del servizio pubblico viene attuata.
La ricorrente si duole,( 2 motivo) inoltre, che la Corte territoriale non le abbia
riconosciuto la natura di esercente di pubblici servizi, svolgendo essa ricorrente un’attività
collaterale e strumentale a quella, pacificamente di pubblico servizio, espletata dalla AEM spa; con
la conseguenza della non necessità di accertamento in via amministrativa del requisito della stabilità
d’impiego.
Lamenta ( 3 motivo )che la Corte territoriale non abbia tenuto conto della circostanza che la
sussistenza della stabilità d’impiego era stata riconosciuta dal Ministero del Lavoro, con lettera del
10.7.1956, in favore della AEM, azienda municipalizzata poi trasformata in una società per azioni,
destinata a produrre effetti esonerativi anche per AEM spa e per le società da essa derivate per
scorporo o per cessione di ramo di azienda ; deduce quindi che, così come riconosciuto in relazione
alle società derivate dall’Enel, essa ricorrente doveva ritenersi subentrata, in quanto società
derivata, nell’esonero contributivo a suo tempo accordato all’AEM.
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destinata a produrre beni e servizi finalizzati alle esigenze dell’ente pubblico partecipante, si

La ricorrente deduce, inoltre, ( 4 motivo ) che, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza
impugnata, dalla disamina della disciplina collettiva (CCNL 17.11.1995 dipendenti di imprese del
gas e dell’acqua; CCNL 9.7.1996 dipendenti di imprese elettriche), e tenuto anche conto di quanto
affermato nel Protocollo Federgasacqua dell’11.3.2003, avrebbe dovuto riconoscersi la sussistenza
di una stabilità d’impiego rafforzata.
Si duole( 5 motivo )infine che la Corte territoriale non abbia tenuto conto che il Consiglio di Stato,
con parere dell’8.2.2006, aveva concluso che la circolare Inps n. 63/2005 non poteva produrre
effetti retroattivi , in relazione al disposto dell’art 3 , comma 8 , 1 n 335/1995.
Ciò premesso giova ricordare la seguente normativa di riferimento, nel testo vigente all’epoca
dei fatti per cui è causa:

art. 40 RDL n. 1827/35, secondo cui “Non sono soggetti all’assicurazione obbligatoria per la

disoccupazione involontaria: ( …); 2) gli impiegati, agenti e operai stabili di aziende pubbliche,
nonché gli impiegati, agenti e operai delle aziende esercenti pubblici servizi e di quelle private,
quando ad essi sia garantita la stabilità d’impiego; (…)”

art. 36 dpr n. 818/57, secondo cui “Ai fini dell’applicazione dell’art. 40, n. 2, del R.D.L. 4

ottobre 1935, n. 1827, e dell’articolo 32, lett. b), della L. 29 aprile 1949, n. 264, la sussistenza della
stabilità d’impiego, quando non risulti da norme regolanti lo stato giuridico e il trattamento
economico del personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni, dalle aziende pubbliche e
dalle aziende esercenti pubblici servizi, è accertata in sede amministrativa su domanda del datore
di lavoro, con provvedimento del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale decorrente a tutti gli
effetti dalla data della domanda medesima”.
Dalla coordinata lettura di tali norme si evince che:

anche in relazione al personale dipendente delle aziende esercenti pubblici servizi l’esenzione

dall’assicurazione obbligatoria per la disoccupazione volontaria opera soltanto ove ai medesimi sia
garantita la stabilità d’impiego;

anche in relazione al personale dipendente delle aziende esercenti pubblici servizi detta stabilità

d’impiego, ove non risultante da nonne regolanti lo stato giuridico e il trattamento economico, deve
essere accertata dal Ministero competente su domanda del datore di lavoro, con decorrenza dalla
data di tale domanda.
In difetto di disposizioni di legge o regolamentari specificamente riguardanti il tipoW
,

d’impresa cui appartiene la ricorrente principale, diviene quindi sostanzialmente irrilevante, ai fini
de quibus, accertare se alla stessa debba o meno essere riconosciuta la qualifica di azienda esercente
un pubblico servizio, posto che, anche in ipotesi affermativa, da ciò non potrebbe farsene derivare,

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, de plano, l’invocata esenzione contributiva; donde l’inammissibilità, per carenza di interesse, del
relativo motivo.
Del pari, non essendo ricomprese le clausole pattizie di cui alla contrattazione collettiva di
diritto comune fra le “norme regolanti lo stato giuridico e il trattamento economico”, l’eventuale
stabilità d’impiego garantita da detta contrattazione collettiva non potrebbe di per sé condurre
all’esenzione contributiva in difetto di domanda di accertamento al riguardo da parte del datore di
lavoro e di conseguente riconoscimento di detta stabilità da parte dell’Autorità amministrativa

Nel caso di specie la ricorrente non deduce di avere inoltrato la domanda, né tanto meno, che
sia stata riconosciuta nei suoi confronti la stabilità d’impiego dei dipendenti.
Sostiene invece, con il terzo motivo, di essere “subentrata”, in quanto società derivata, nell’esonero
contributivo a suo tempo accordato all’azienda municipalizzata AEM.
L’assunto non può essere condiviso, sia perché l’azienda municipalizzata AEM, oggi non più
esistente, era un soggetto giuridico diverso dalla società per azioni in cui venne trasformata e, a
fortiori, dalle altre società che da quest’ultima sono state scorporate; sia perché, essendo stata la
valutazione della sussistenza della stabilità d’impiego per i dipendenti dell’azienda municipalizzata
AEM necessariamente resa in relazione alle disposizioni vigenti all’epoca (si parla del lontano
1956), il riconoscimento invocato non è parametrabile alla diversa disciplina vigente all’epoca dei
fatti per cui è causa, atteso che i contratti collettivi di lavoro che, secondo l’assunto della ricorrente,
regolano il rapporto d’impiego dei suoi dipendenti, sono stati conclusi a distanza di molti anni (cfr,
altresì, sul punto, ex plurimis, Cass., n. 28022/2013; 24524/2013; 20818/2013).
Del tutto inconferente, siccome riferentesi a diverse compagini sociali, risulta poi il riferimento al
riconoscimento operato in relazione alle società del gruppo Enel.
La mancanza del prescritto riconoscimento amministrativo della stabilità d’impiego conduce di
per sé ad escludere la sussistenza dell’invocata esenzione, assorbendo le censure svolte con il quarto
e quinto motivo.
6)con il sesto motivo la società denuncia violazione di plurime norme
Deduce che, ai sensi dell’art. 3, comma 23, legge n. 335/95 e del dm 21.2.1996, attraverso
un’interpretazione costituzionalmente orientata, avrebbe dovuto riconoscersi che la riduzione delle
aliquote CUAF e maternità spettava, a decorrere dal 1° gennaio 1996, anche per quei lavoratori
delle aziende municipalizzate privatizzate del settore elettrico, che, ai sensi dell’art. 5, comma 1,
lett. a) e b), legge n. 274/91, avevano optato per mantenere l’iscrizione all’Inpdap, dovendosi
altrimenti ritenere il contrasto della normativa di riferimento con gli artt. 81 e ss del Trattato CE e
con gli artt. 3 e 41 della Costituzione, con conseguente disapplicazione del ridetto dm 21.2.1996.
7

competente.

2)Con il settimo motivo, svolto in via subordinata, la ricorrente , denunciando violazione di
plurime norme di diritto, deduce che ai sensi dell’art. 41 legge n. 488/99, come interpretato
autenticamente dall’art. 68 legge n. 388/00, attraverso un’interpretazione costituzionalmente
orientata, avrebbe dovuto riconoscersi che la riduzione delle aliquote CUAF spettava a decorrere
dal 1° gennaio 2000 anche per quei lavoratori delle aziende municipalizzate privatizzate del settore
elettrico, che, ai sensi dell’art. 5, comma 1, lett. a) e b), legge n. 274/91, avevano optato per
mantenere l’iscrizione all’Inpdap, dovendosi altrimenti ritenere il contrasto con le sopra indicate

8) con l’ottavo motivo censura per violazione di legge ( art 116, comma 15, lett. a, della L
n 388/2000; art 442 e 444 cpc) e per vizio di motivazione la sentenza con riferimento alla decisione
di rigetto della richiesta di riduzione della misura delle sanzioni in base al disposto dell’art 116,
comma 15, L. n. 388/2000.
9) con il nono motivo la ricorrente eccepisce violazione dell’art 81 trattato e 3 e 41 dell’art
1, comma 238, L n 662/1996 se interpretati nel senso di non prevedere una riduzione della misura
della contribuzione.
I motivi, congiuntamente esaminati stante la loro connessione, sono infondati. Deve rilevarsi
che la ricorrente propone un’interpretazione “costituzionalmente orientata” delle norme su cui
fonda le proprie doglianze; al riguardo va tuttavia osservato che l’obiettivo di armonizzazione degli
ordinamenti pensionistici nel rispetto della pluralità degli organismi assicurativi, fatto proprio dalla
riforma previdenziale di cui alla legge n. 335/95, non implica che sia sottratta alla discrezionalità
del legislatore la regolamentazione della disciplina contributiva in relazione alle peculiari necessità
dei diversi enti previdenziali, sicché non può ritenersi che le norme che implichino al riguardo una
diversificazione contributiva costituiscano violazione del principio di uguaglianza; tanto meno
potrebbe quindi legittimarsi una loro interpretazione che, nella suddetta ottica, si discosti dal
contenuto testuale delle disposizioni scrutinate.
La manifesta infondatezza dei dubbi di costituzionalità sollevati sussiste anche con riferimento al
parametro di cui all’art. 41 della Costituzione, la cui asserita violazione è del resto espressa in
termini generici, non potendo ravvisarsi nelle specifiche disposizioni regolanti gli oneri contributivi
a carico delle aziende in misura diversificata a seconda dell’ente previdenziale di iscrizione dei
dipendenti una limitazione della libertà di iniziativa economica.
Non consta, né è stato dedotto, che la Commissione UE abbia ravvisato nella riduzione contributiva
di che trattasi un aiuto di stato incompatibile; il che, del resto, avrebbe semmai condotto alla
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norme comunitarie e costituzionali.

soppressione della disposta riduzione, non certo ad una sua estensione nel senso propugnato dalla
ricorrente principale.
Ciò premesso, deve rilevarsi che l’art. 3, comma 23, legge n. 335/95, laddove prevede che
“Con effetto dal 1 0 gennaio 1996, l’aliquota contributiva di finanziamento dovuta a favore del
Fondo pensioni lavoratori dipendenti è elevata al 32 per cento con contestuale riduzione delle
aliquote contributive di finanziamento per le prestazioni temporanee a carico della gestione di cui
all’articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, (…)” è assolutamente inequivoco nel ricollegare la

all’elevazione dell’aliquota contributiva dovuta a favore del Fondo pensioni lavoratori dipendenti,
onde non vi è spazio per poter ritenere che la prevista riduzione operi anche a favore dei soggetti
che non versano i contributi a tale Fondo; e il successivo comma 24, nel prevedere invece un
aumento delle aliquote contributive dovute

“all’assicurazione generale obbligatoria per

l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti e alle forme di previdenza esclusive,
sostitutive ed esonerative della medesima” suona a conferma che la ricordata previsione di cui al
precedente comma deve ritenersi sancita con riferimento alle sole contribuzioni relative al Fondo
pensioni lavoratori dipendenti.
Anche per ciò che riguarda le disposizioni di cui all’art. 41 legge n. 488/99 deve
riconoscersi che la riduzione delle percentuali contributive introdotte dal quarto periodo del primo
comma è direttamente collegata alle previsioni di cui ai precedenti periodi dello stesso comma
(soppressione del Fondo di previdenza per i dipendenti dell’Ente nazionale per l’energia elettrica e
delle aziende elettriche private e del Fondo di previdenza per il personale addetto ai pubblici servizi
di telefonia; iscrizione all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i
superstiti dei lavoratori dipendenti dei titolari di posizioni assicurative e dei titolari di trattamenti
pensionistici diretti e ai superstiti presso i predetti fondi soppressi) e si applica quindi in relazione
alle posizioni dei soggetti che venivano ad essere iscritti all’assicurazione generale obbligatoria per
• l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti, non certo ai dipendenti delle imprese
del settore elettrico che avevano mantenuto l’iscrizione all’Inpdap.
Parimenti il contributo straordinario di cui ai commi 2 e 3 del medesimo art. 41 legge n. 488/99 è
testualmente ricollegato alla soppressione degli anzidetti fondi e risulta pertanto privo di
consequenzialità voler desumere dalla norma di interpretazione autentica del terzo comma (art. 68,
comma 7, legge n. 388/00) l’estensione alle posizioni dei dipendenti iscritti all’Inpdap della
riduzione contributiva di cui al primo comma.
Anche l’ottavo motivo relativo alla richiesta di riduzione della misura delle sanzioni è infondato.
L’art. 116, comma 15, legge n. 388/00, sulla cui dedotta violazione la ricorrente fonda l’ottavo
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“contestuale” riduzione delle aliquote contributive di finanziamento per le prestazioni temporanee

motivo, per quanto qui rileva prevede che “Fermo restando l’integrale pagamento dei contributi e
dei premi dovuti alle gestioni previdenziali e assistenziali, i consigli di amministrazione degli enti
impositori, sulla base di apposite direttive emanate dal Ministro del lavoro e della previdenza
sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica
fissano criteri e modalità per la riduzione delle sanzioni civili di cui al comma 8 fino alla misura
degli interessi legali, nei seguenti casi:

connesse a contrastanti ovvero sopravvenuti diversi orientamenti giurisprudenziali o
determinazioni amministrative sulla ricorrenza dell’obbligo contributivo successivamente
riconosciuto in sede giurisdizionale o amministrativa in relazione alla particolare rilevanza delle
incertezze interpretative che hanno dato luogo alla inadempienza e nei casi di mancato o ritardato
pagamento di contributi o premi, derivanti da fatto doloso del terzo denunciato, entro il termine di
cui all’articolo 124, primo comma, del codice penale, all’autorità giudiziaria; (…)”.
Risulta dunque di piana evidenza che la riduzione in parola presuppone la fissazione dei relativi
criteri e modalità da parte di un provvedimento del consiglio di amministrazione dell’Inps, con la
premessa, tuttavia, per “la riduzione delle sanzioni civili di cui al comma 8″ in presenza delle
suddette incertezze, del”l’integrale pagamento dei contributi e dei premi dovuti alle gestioni
previdenziali e assistenziali”, ossia di una condizione la cui sussistenza, nel caso di specie, la
ricorrente neppure ha dedotto (e che, del resto, proprio le ragioni della svolta opposizione
implicitamente negano); donde l’inaccoglibilità del motivo all’esame.
Per le ragioni che precedono il ricorso va rigettato con condanna della ricorrente a rimborsare le
spese processuali al contro ricorrente.
PQM
La Corte
Rigetta il ricorso , condanna la ricorrente a pagare le spese processuali del presente giudizio
liquidate in € 100,00 per esborsi ed € 4.000,00 per compensi professionali , oltre accessori di legge.
Nulla per spese per la parte non costituita.
Roma 27/2/2014
L’estensore

Il Presidente
Federico Roselli
,L.’■ c

10

a) nei casi di mancato e ritardato pagamento di contributi o premi derivanti da oggettive incertezze

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