Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9957 del 08/05/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 9957 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: LORITO MATILDE

SENTENZA

sul ricorso 2338-2012 proposto da:
TELECOM ITALIA S.P.A. C.F. 00488410010, in persona del
legale

rappresentante pro tempore,

elettivamente

\fL.G. FARAVELLI 22, presso lo
domi ciliata in ROMA, VAit
studio degli avvocati MARESCA ARTURO, BOCCIA FRANCO
RAIMONDO, ROMEI ROBERTO, che la rappresentano e
2014

difendono giusta delega in atti;
– ricorrente –

710

contro

MAURI MARIA GRAZIA C.F. MRAMGR69E67L424L, NADAIA SIRO
C.D.

NDASRI52E10E952P,

DOZ

CLAUDIO

C.F.

Data pubblicazione: 08/05/2014

DZOCLD62M21L424Q, tutti elettivamente domiciliati in
ROMA, VIA FLAMINIA 195, presso lo studio dell’avvocato
VACIRCA SERGIO,

che

li

rappresenta

e

unitamente all’avvocato VENTURA GIOVANNI,

difende
giusta

delega in atti;

nonchè contro

SERGAS CRISTINA;

TELE fos7
– intimat4 –

avverso la sentenza n. 91/2011 della CORTE D’APPELLO
di TRIESTE, depositata il 20/07/2011 r.g.n. 115/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/02/2014 dal Consigliere Dott. MATILDE
LORITO;
udito l’Avvocato ROMEI ROBERTO;
udito l’Avvocato VACIRCA SERGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

– controricorrenti –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Tribunale di Trieste Sergas Cristina, Mauri
Maria Grazia, Doz Claudio e Nadaia Siro, tutti dipendenti
della Telecom Italia S.p.a. premesso di aver prestato servizio
– presso struttura organizzativa denominata “FACILITY

lamentavano l’illegittimità della cessione, contestando
l’esistenza dei presupposti previsti dall’art. 2112 cod. civ.
e chiedendo la declaratoria della nullità di quest’ultima e la
reintegra nel posto di lavoro. In subordine,nell’ipotesi di
configurabilità di un licenziamento, chiedevano accertarsi la
carenza di giusta causa o di giustificato motivo con tutti gli
effetti reintegratori e risarcitori sanciti dall’art.18
1.300/70.
Costituito il contraddittorio con Telecom Italia S.p.a. e
Telepost S.p.a., all’esito dell’attività istruttoria espletata
mediante acquisizioni documentali ed espletamento di prova
testimoniale, il Giudice del Lavoro del Tribunale di Trieste
accoglieva le domande con pronuncia che veniva confermata
dalla Corte d’appello.
A sostegno del decisum la Corte territoriale, preliminarmente
accertava che la ricorrente Sergas aveva perfezionato un
accordo transattivo con la Telepost spa, e che detta
circostanza non aveva fatto venir meno l’interesse ad agire
nei confronti della Telecom s.p.a. né poteva essere
interpretata quale rinuncia implicita ai diritti vantati nei
confronti della società.
Ripercorreva quindi, l’evoluzione normativa dell’art.2112 c.c.
accertando l’applicazione alla fattispecie, della disposizione
come novellata dal d.lgsl. n.276/03 e, fatto richiamo ai

dicta

giurisprudenziali elaborati sul punto dalla Corte di
legittimità e dalla Corte di Giustizia Europea, osservava
1

MANAGEMENT” e successivamente, al settore denominato Document
Management trasferito dal 1 0 marzo 2004 alla Telepost s.p.a.,

essenzialmente che le varie attività svolte dai dipendenti
transitati in Telepost non rientravano nella nozione di
trasferimento d’azienda in quanto non si inserivano
nell’ambito di una struttura stabilmente organizzata e diretta
ad un omogeneo risultato produttivo. Indici significativi
potevano identificarsi nella circostanza che la dirigenza
preposta al servizio era priva di poteri decisionali e di

del settore Document Management, creato del resto, a seguito
dell’accorpamento di funzioni eterogenee e parziali unificate
solo dal nome e dalla formale presenza di un responsabile
unico a livello nazionale.
Tanto era emerso all’esito della attività istruttoria
espletata, significativa anche nel senso di delineare
l’insufficienza in capo al settore ceduto, di mezzi materiali
e

know how

sufficienti per poter rendere in favore della

stessa azienda da cui proveniva, un servizio valido e
concorrenziale, di guisa che poteva fondatamente ipotizzarsi
nella specie, l’avvenuta esternalizzazione di servizi non
collegati fra loro da aspetti funzionali e operativi in
ispregio alla disposizione codicistica disciplinante la
materia.
Avverso questa decisione interpone ricorso per cassazione la
Telecom Italia S.p.a. affidato a cinque motivi. Mauri Maria
Grazia, Doz Claudio e Nadaia Siro resistono con controricorso
illustrato da memoria ex art.378 c.p.c. Sergas Cristina e
Telepost spa non hanno svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la Telecom spa lamenta insufficiente
motivazione, in relazione all’art. 360, n.5 c.p.c., osservando
che erroneamente la Corte territoriale aveva negato il venir
meno dell’interesse ad agire di Sergas Cristina, all’esito
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spesa occorrenti per avviare un effettivo e concreto sviluppo

della transazione intervenuta con Telepost s.p.a. e delle
dimissioni rassegnate dalla lavoratrice.
Le dimissioni rassegnate dalla lavoratrice nei confronti della
società cessionaria ed intervenute prima della sentenza,
. quando il trasferimento doveva ancora ritenersi legittimo, non
potevano infatti che “porre nel nulla l’unico rapporto di

cessazione del rapporto con Telepost spa.
Pertanto non era dato comprendere quale fosse l’interesse a
fare accertare la illegittimità del trasferimento del ramo
d’azienda cui i lavoratori non erano più addetti e la
permanenza del rapporto con la Telecom spa.
Con il secondo motivo, la società Telecom denunzia violazione
e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. e degli artt. 1406,
2094 e 2112 c. c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.
rilevando che, non essendo nella specie il rapporto di lavoro
caratterizzato

dall’intultus personae e da un particolare

elemento fiduciario, non sussisteva l’interesse dei lavoratori
a contrastare il mutamento del datore di lavoro, al pari che
nella cessione contrattuale di cui all’art. 1406 c. c.,
fenomeno diverso dal subentro del cessionario nel rapporto di
lavoro con il lavoratore per effetto del 2112 c.c., che non
richiede il consenso del lavoratore, con impossibilità di
confrontare le due situazioni.
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per la connessione
logico-giuridica che le connota, sono infondate.
Con riferimento all’interesse ad agire dei lavoratori ceduti
in presenza di dimissioni rassegnate alla cessionaria sia
• prima che dopo la pronunzia favorevole di primo grado, vale
richiamare quanto affermato da questa Corte, secondo cui
qualora l’attore abbia chiesto l’accertamento di un diritto e
la conseguente condanna del convenuto ad un fare, la
3

lavoro al momento esistente”, determinando quindi la

circostanza che nel corso del giudizio sia divenuta
impossibile l’esecuzione della prestazione non determina la
cessazione della materia del contendere, non estinguendosi
l’interesse all’accertamento del fatto controverso (v., in
tali termini, in relazione ad analoga questione, Cass. n.5678
del 7 marzo 2013, Cass. n. 23476 del 19 novembre 2010, Cass.
n. 19009 del 2 settembre 2010). Peraltro, deve considerarsi,

del prestatore di lavoro, che la pronuncia di cessazione della
materia del contendere postula che sopravvengano nel corso del
giudizio fatti tali da determinare la totale eliminazione
delle ragioni di contrasto tra le parti e, con ciò, il venir
meno dell’interesse ad agire ed a contraddire e della
conseguente necessità di una pronuncia del giudice
sull’oggetto della controversia; sicchè, con riguardo alla
posizione di chi ha agito in giudizio, è necessario che la
situazione sopravvenuta soddisfi in modo pieno ed
irretrattabile il diritto esercitato, così da non residuare
alcuna utilità alla pronuncia di merito (cfr. Cass. n. 6909
del 20 marzo 2009 cui adde Cass. cit. n.5678 del 7 marzo
2013).
Non può ritenersi sia venuto meno l’interesse del lavoratore
alla prosecuzione del rapporto con la Telecom Italia spa e
quindi, l’interesse ad agire per conseguire l’accertamento
della illegittimità della cessione del ramo d’azienda cui
erano stati assegnati. Nel rapporto obbligatorio il debitore,
è infatti, di regola, indifferente al mutamento della persona
del creditore, mentre il mutamento della persona del debitore
può ledere l’interesse del creditore. In base a questo
principio – espresso negli artt. 2740, 1268 comma 1 0 , 1272
comma 1 0 , 1273 comma 1 0 , 1406 cod. civ. – deve considerarsi
inefficace la cessione del contratto di lavoro qualora il
lavoratore, titolare di crediti verso il datore, non abbia
prestato il consenso di cui all’art.1406 cod. civ. L’art.2112
4

sempre con riguardo alla sussistenza di un interesse ad agire

cod. civ., che permette all’imprenditore il trasferimento
dell’azienda, con successione del cessionario negli obblighi
del cedente e senza necessità di consenso del lavoratore,
costituisce eccezione al detto principio e non si applica se
non sia identificabile, quale oggetto del trasferimento,
un’azienda o un suo ramo, da intendere come entità economica
organizzata in maniera stabile e con idoneità alla produzione

Di conseguenza sussiste l’interesse del lavoratore ad
accertare in giudizio la non ravvisabilità di un ramo
d’azienda in un complesso di beni oggetto del trasferimento e
perciò l’inefficacia di questo nei suoi confronti, in assenza
di consenso. Né questo interesse è escluso dalla solidarietà
di cedente e cessionario stabilita dal capoverso dell’art.2112
c.c. la quale ha per oggetto solo i crediti del lavoratore
ceduto “esistenti” al momento del trasferimento e non quelli
futuri, onde ben può considerarsi un pregiudizio a carico del
ceduto nel caso di cessione dell’azienda a soggetto meno
solvibile.
Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando vizio di
violazione e falsa applicazione dell’art.2112 c.c., si duole
che la Corte territoriale abbia declinato il requisito della
autonomia funzionale del ramo alienato, avendo a riferimento
esclusivamente il versante organizzativo e tralasciando di
considerare l’aspetto decisivo della idoneità del ramo ceduto
alla produzione di un bene o servizio.
A tal fine sottolinea altresì l’irrilevanza della circostanza
pur posta in rilievo dalla sentenza impugnata, concernente la
conservazione in capo alla cedente di alcune funzioni, posto
.

che il ramo ceduto anche se privato di talune attività, non

perde per ciò stesso l’idoneità a produrre il bene o servizio
per il quale è stato creato. Né osterebbe a tali conclusioni
la eterogeneità delle funzioni inserite nel ramo ceduto, pur
5

o allo scambio di beni o di servizi.

rimarcata dai giudici di merito quale elemento sintomatico
della assenza di autonomia funzionale del settore oggetto di
traslazione.
Con il quarto motivo la società, denunciando vizio di
motivazione, deduce che doveva riconoscersi poca rilevanza al
fatto che i beni componenti il ramo trasferito fossero di

stesso fosse in grado di produrre un servizio o un bene;
erroneamente, inoltre, la Corte territoriale aveva ritenuto
che alla esiguità dei beni materiali potesse sopperirsi solo
ove le professionalità dei lavoratori fossero tali da
richiedere un elevato livello di conoscenze, in concreto
insussistente.
Con il quinto motivo lamenta che la sentenza, nella stessa
parte in cui incorre nel vizio di insufficiente motivazione,
realizzi anche vizio di violazione dell’art.2112 c.c.
ribadendo che ciò che rileva ai fini della definizione di un
legittimo trasferimento di ramo aziendale, è esclusivamente la
circostanza che il ramo ceduto sia in grado di svolgere il
servizio cui è deputato.
I motivi, che in quanto strettamente connessi vanno trattati
unitariamente, sono infondati.
Deve premettersi che, secondo la giurisprudenza di questa
Corte, l’art. 2112 c.c. presuppone che vengano trasferiti,
nella loro funzione unitaria e strumentale, beni materiali
destinati all’esercizio dell’impresa, ovvero strutture a tal
fine organizzate (cfr.,

ex plurimis,

Cass. n.16641 del l °

ottobre 2012, Cass. n.18385 del 19 agosto 2009); ciò in
quanto, seppure un’azienda (o un ramo d’azienda) possa
comprendere anche beni immateriali, non può tuttavia ridursi
solo ad essi, posto che la stessa nozione di azienda (art.
2555 c.c.) postula la necessità di beni materiali organizzati
fra loro in funzione dell’esercizio dell’impresa, di fatto
6

esigua entità, rilevando invece come nella specie il ramo

impossibile in totale assenza di strutture fisiche, per quanto
modeste le stesse siano.
Peraltro,

anche

laddove

i

beni

immateriali

assumano

preponderante rilevanza, è d’uopo, ad evitare la realizzazione
di un mero trasferimento di mano d’opera, che il ramo
d’azienda trasferito sia caratterizzato dall’organizzazione e

capacità operativa sia assicurata dal fatto di essere dotati
di un particolare know how, o, comunque, dall’utilizzo di
copyright, brevetti, marchi, o altro (cfr, Cass. n.5678 del 7
marzo 2013).
Sempre in virtù dell’art. 2112 c.c., deve intendersi per ramo
autonomo d’azienda, come tale suscettibile di trasferimento,
ogni entità economica organizzata in maniera stabile che, in
occasione del trasferimento, conservi la propria identità; il
che presuppone però una preesistente realtà produttiva
funzionalmente autonoma e non anche una struttura produttiva
creata

ad hoc

in occasione del trasferimento (cfr.,

ex

plurimis, Cass. 3 ottobre 2013 n. 22613, Cass. n. 20422 del 21
novembre 2012, Cass.n. 21697 del 13 ottobre 2009).
Nell’ottica descritta questa Corte ha infatti già osservato,
in linea con la prevalente dottrina formatasi sul punto, che
in materia di trasferimento di parte (c.d. ramo) di azienda,
tanto la normativa comunitaria (direttive CE nn. 98/50 e
2001/23) quanto la legislazione nazionale (art. 2112, comma
quinto, cod. civ., sostituito dall’art. 32 del d.lgs. 10
settembre 2003, n. 276 ed applicabile

ratione temporis alla

fattispecie considerata), perseguono il fine di evitare che il
trasferimento si trasformi in semplice strumento di
sostituzione del datore di lavoro, in una pluralità di
rapporti individuali, con altro sul quale i lavoratori possano
riporre minore affidamento sul piano sia della solvibilità sia
dell’attitudine a proseguire con continuità l’attività
7

dal coordinamento, in modo stabile, di dipendenti la cui

produttiva. La citata direttiva del 1998 richiede, pertanto,
che il ramo d’azienda oggetto del trasferimento costituisca
un’entità economica con propria identità, intesa come insieme
di mezzi organizzati per un’attività economica, essenziale o
accessoria, e, analogamente, l’art. 2112, quinto comma,
cod.civ. si riferisce alla “parte d’azienda, intesa come
articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica

organizzata in modo stabile e non destinata all’esecuzione di
una sola opera (cfr. Corte di Giustizia CE, sentenza 24
gennaio 2002, C-51/00), ovvero di un’organizzazione quale
legame funzionale che renda le attività dei lavoratori
interagenti e capaci di tradursi in beni o servizi determinati
(Cass. 4 dicembre 2012 n.20422, Cass. 8 giugno 2009 n. 13171).
Nel caso in esame la sentenza impugnata si è attenuta ai
descritti principi avendo accertato, nei termini in precedenza
esposti, con motivazione esauriente ed esente da vizi logici o
giuridici, l’assenza d’un legittimo trasferimento di ramo
d’azienda essenzialmente perché il ramo d’azienda, così come
individuato nel contratto, era privo di una adeguata autonomia
funzionale come definita alla luce dei principi enucleati
dalla giurisprudenza

di legittimità ai quali si è fatto

richiamo, esaurendosi

in una entità costituita

consistenza minima
fatto

confluire

specializzazione e

ad hoc con

di beni strumentali nella quale è stato
personale eterogeneo, senza alcuna
coordinamento per una molteplicità di

servizi.
Con motivazione congrua la Corte territoriale ha quindi
individuato nella esiguità dei beni trasferiti, nella
eterogeneità delle professionalità utilizzate, nella scarsa
produttività del servizio, indici significativi di una forma
di espulsione di frazioni non coordinate fra loro di
articolazioni aziendali sostanzialmente non autonome,
unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non
8

organizzata”. Deve, quindi, trattarsi di un’entità economica

dall’inerenza del rapporto ad un ramo di azienda già
costituito, in coerenza con la ratio legis della disposizione
codicistica come enucleata dalla esegesi offerta dalla
giurisprudenza di questa Corte alla quale si è fatto richiamo.
Sotto il profilo motivazionale la sentenza impugnata, per
quello che riguarda il richiamato accertamento, è formalmente

la struttura argomentativa, e va pertanto confermata, essendo
precluso a questa Corte qualsiasi sindacato di legittimità.
Il ricorso va pertanto respinto.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza
nei confronti dei controricorrenti nella misura in dispositivo
liquidata. Nulla per le spese nei confronti di Telepost s.p.a.
e Sergas Cristina che non hanno svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna Telecom Italia spa al
pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in
euro 100,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi
professionali oltre accessori di legge. Nulla per le spese nei
confronti di Telepost s.p.a. e Sergas Cristina.
Così deciso in Roma il giorno 26 febbraio 2014.

coerente con equilibrio dei vari elementi che ne costituiscono

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