Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9956 del 26/04/2010

Cassazione civile sez. I, 26/04/2010, (ud. 14/01/2010, dep. 26/04/2010), n.9956

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6077-2009 proposto da:

A.M.F. (c.f. (OMISSIS)), C.T.

(c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

ALBERICO II 35, presso l’avvocate ROSSANA GRILLO, rappresentati e

difesi dall’avvocato BASSARELLI ANTONINO, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DI MESSINA, G.C., PUBBLICO

MINISTERO PRESSO IL TRIBUNALE PER I MINORI DI MESSINA;

– intimati –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE PER I MINORENNI di MESSINA

depositata il 22/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/01/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per l’accoglimento del terzo motivo del

ricorso, assorbiti gli altri.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con decreto del 15 giugno 2007, il Tribunale per i minorenni di Messina – su ricorso di G.C., madre della minore C.L., nata il (OMISSIS), proposto nei confronti del marito C.T. – dichiarò quest’ultimo decaduto dalla potestà genitoriale nei confronti della figlia.

In tale procedimento il C. – previa ammissione anticipata e provvisoria al patrocinio a spese dello Stato con provvedimento del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Messina in data 13 luglio 2005 – era stato rappresentato e difeso dall’Avv. A.M. F..

2. – Con due successive istanze al predetto Tribunale per i minorenni in data 29 giugno 2007 e 21 aprile 2008, l’Avv. A.M. F. chiese la liquidazione dei compensi spettantile per l’attività professionale svolta.

Il Tribunale, con decreto del 19 giugno 2008 – dopo aver rilevato che la decadenza del C. dalla potestà genitoriale era stata pronunciata “per la reiterata e dolosa inosservanza dell’obbligo di mantenimento” nei confronti della figlia minore, impostogli dal Tribunale ordinario di Barcellona Pozzo di Gotto in sede di giudizio di separazione dei coniugi G.- C., e che tale condotta era stata “sanzionata anche in sede penale” per la violazione degli obblighi di assistenza familiare di cui all’art. 570 cod. pen., osservò che le “pretese” del C., fatte valere nel giudizio di decadenza dalla potestà genitoriale, “palesemente infondate e volte ad eludere l’obbligo di mantenimento anche della figlia minore, integravano i presupposti” di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 136, comma 2, “dovendosi considerare espressione di mala fede”;

conseguentemente, revocò l’ammissione del C. al patrocinio a spese dello Stato e, “per l’effetto”, rigettò l’istanza di liquidazione dei compensi presentata dall’Avv. A..

3. – Avverso tale decreto il C. e l’Avv. A. proposero opposizione dinanzi allo stesso Tribunale per i minorenni di Messina che, con ordinanza del 22 dicembre 2008, la rigettò.

In particolare, il Tribunale – dopo aver richiamato le parti della motivazione del decreto impugnato, dianzi riportate – ha sottolineato che nel procedimento di decadenza dalla potestà genitoriale la decadenza del C. era stata pronunciata “per la dolosa e reiterata inosservanza dell’obbligo al mantenimento impostogli dal Tribunale civile di Barcellona P.G., sanzionata anche in sede penale ai sensi dell’art. 570 c.p. dalla medesima Autorità Giudiziaria”, e che in tale procedimento “il C., per il tramite del difensore, ha formulato una difesa del tutto pretestuosa e fondata su circostanze che le risultanze procedimentali hanno attestato non essere minimamente corrispondenti alle sue reali condizioni”, condividendo perciò il giudizio dei primi Giudici in ordine alla resistenza in giudizio con mala fede, quale presupposto per la revoca dell’ammissione dello stesso C. al patrocinio a spese dello Stato.

4. – A.M.F. e C.T. hanno proposto ricorso per cassazione avverso tale ordinanza, deducendo sei motivi di censura.

Nessuna della parti intimate si è costituita o ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo (con cui deducono: “Nullità del provvedimento – violazione degli artt. 112 e 116 c.p.c. e art. 111 Cost., comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 – con riferimento alla omessa pronuncia nei confronti di un ricorrente e/o comunque alla motivazione apparente”) ed il secondo motivo (con cui deducono:

“Violazione degli artt. 112 e 116 c.p.c. e art. 111 Cost., comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 – Motivazione insufficiente”) i quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta connessione, i ricorrenti criticano l’ordinanza impugnata, sostenendo che essa: a) è nulla per l’omessa indicazione formale di uno dei ricorrenti – C.T. – e per le omesse considerazione e pronuncia in ordine alla sua posizione processuale, autonoma rispetto a quella del suo difensore; b) non da conto delle specifiche censure dei ricorrenti con l’atto di opposizione, segnatamente in riferimento alle difese sviluppate nel giudizio di decadenza del C. dalla potestà genitoriale; c) non contiene alcuna pronuncia sulla domanda di liquidazione dei compensi spettanti all’Avv. A.; d) risulta complessivamente motivata in modo insufficiente ed illogico.

Con il terzo (con cui deducono: “Violazione della normativa sul patrocinio a spese dello Stato – D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, artt. 74, 136 e 143 e violazione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”) ed il quarto motivo (con cui deducono: “Omessa motivazione – con riferimento alla violazione della normativa sul patrocinio a spese dello Stato – D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, artt. 74, 136 e 143 del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., ed all’art. 111 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”) i quali possono essere del pari esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta connessione – i ricorrenti criticano, per altri aspetti, l’ordinanza impugnata, sostenendo che i Giudici a quibus: a) non hanno considerato che il giudizio di “mala fede” deve essere necessariamente correlato al disposto del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74, comma 2, per il quale l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato è subordinato alla sussistenza del presupposto che le ragioni dell’istante “risultino non manifestamente infondate”; b) non hanno considerato che le difese svolte dal difensore del C. nel giudizio di decadenza dello stesso dalla potestà genitoriale erano univocamente volte a dimostrare, non già l’irrilevanza della mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento della minore stabilito in sede di giudizio di separazione dei coniugi – circostanza, questa, esplicitamente ammessa dal C., ma l’inidoneità di tale circostanza, di per se sola, a giustificare detta decadenza, potendo anzi tale provvedimento risultare nocivo all’equilibrio psico-fisico della minore; c) hanno adottato una motivazione del tutto insufficiente, in particolare non considerando tutti i motivi di opposizione.

Con il quinto (con cui deducono: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 36 Cost., art. 2233 c.c. e del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, artt. 74, 136 e 143 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”) ed il sesto motivo (con cui deducono: “Omessa motivazione, con riferimento agli artt. 36 e 111 Cost., art. 2233 c.c. e al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 74, 136 e 143 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”) – i quali possono essere anch’essi esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta connessione, i ricorrenti criticano infine l’ordinanza impugnata, anche sotto il profilo della sua i motivazione, sostenendo che i Giudici a quibus hanno omesso di pronunciare sulla domanda di liquidazione dei compensi proposta dall’Avv. A..

2. – Il ricorso proposto da C.T. e dall’Avv. A. M.F. non merita accoglimento.

2.1. – Deve premettersi – alla luce dei denunciati errores in procedendo e, quindi, dell’esame diretto degli atti – che il decreto emesso dal Tribunale per i minorenni di Messina in data 19 giugno 2008 – integralmente confermato, in sede di opposizione, dall’ordinanza impugnata con il ricorso per cassazione – si articola in due capi di pronuncia: il primo – principale, di revoca del provvedimento di ammissione del C. al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 136, comma 2, (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), nella parte in cui prevede che “Con decreto il magistrato revoca l’ammissione al patrocinio provvisoriamente disposta dal consiglio dell’ordine degli avvocati … se l’interessato ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave”, per avere resistito nel giudizio di decadenza dalla potestà genitoriale con mala fede; il secondo – consequenziale, di reiezione della domanda di liquidazione dei compensi per l’opera professionale prestata dall’Avv. A.M.F., nominata dal C., a seguito dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, suo difensore di fiducia nel predetto procedimento di decadenza dalla potestà genitoriale, deciso dal Tribunale per i minorenni di Messina con il decreto 15 giugno 2007 (cfr., supra, Svolgimento del processo, nn. 1 e 2).

La predetta qualificazione dei due capi di pronuncia come “principale” e “consequenziale” – in particolare, del secondo come “consequenziale” al primo – si fonda sul rilievo che, avendo il decreto di revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato efficacia retroattiva, ai sensi dello stesso D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, comma 3 (“La revoca ha effetto dal momento dell’accertamento delle modificazioni reddituali, indicato nel provvedimento del magistrato; in tutti gli altri casi ha efficacia retroattiva”), nella specie, a seguito della revoca del beneficio, gli onorari e le spese dovuti all’Avv. A. per l’opera prestata in favore del C. devono considerarsi non più come spese processuali da anticipare dall’erario per effetto dell’ammissione al patrocinio (ai sensi del combinato disposto del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 8, comma 2, e art. 131, comma 4, lett. a), ma, per effetto della revoca appunto, come spese processuali; da anticipare dalla parte che si era avvalsa dell’opera professionale del difensore, secondo il principio dell’onere di anticipazione delle spese processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 8, comma 1, (che ora stabilisce tale onere, originariamente previsto dall’art. 90 cod. proc. civ., il quale è stato abrogato dal D.Lgs. 30 maggio 2002, n. 113, art. 299 riprodotto dallo stesso D.P.R. n. 115 del 2002, art. 299).

2.2. – Tale premessa consente di affermare, sempre in via preliminare, che: a) l’ordinanza impugnata – la quale, nel respingere l’opposizione avverso il decreto del 19 giugno 2008, conferma integralmente tale decreto, decidendo in materia di diritti soggettivi (patrocinio a spese dello Stato, assicurato ai non abbienti dall’art. 24 Cost., comma 3 e dal D.P.R. n. 11 del 2005, art. 8, comma 2, e compensi da prestazioni d’opera intellettuale, di cui all’art. 2233 cod. civ.) e non essendo altrimenti impugnabile, è ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7.

(cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 19161 del 2009 e 15323 del 2005);

b) le censure formulate dall’Avv. A. in proprio, concernenti la revoca dell’ammissione del C. al patrocinio a spese dello Stato (segnatamente il terzo ed il quarto motivo) devono essere dichiarate inammissibili per difetto di legitimatio ad causam, non essendo la stessa titolare della situazione giuridica soggettiva fatta valere nel giudizio di opposizione.

3. – Quanto ai primi due motivi del ricorso, i profili sub a) e b) (quelli sub c e d saranno esaminati unitamente ai motivi quinto e sesto) – che, involgendo questioni concernenti la validità dell’ordinanza impugnata come atto, possono considerarsi comuni ad entrambi i ricorrenti – sono infondati.

Con essi si deduce la nullità dell’ordinanza, perchè non indica formalmente uno dei ricorrenti, C.T., omette di considerare e pronunciare in ordine alla sua posizione processuale – autonoma rispetto a quella del suo difensore, non da conto delle specifiche censure formulate dagli stessi ricorrenti con l’atto di opposizione, segnatamente in riferimento alle difese sviluppate nel giudizio di decadenza del C. dalla potestà genitoriale. Al riguardo, è sufficiente osservare che, trattandosi di ordinanza, essa deve essere motivata “succintamente” (art. 134 c.p.c., comma 1).

e, in ogni caso, in modo tale da consentire il raggiungimento dello scopo dell’atto (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 1283 del 2003).

Nella specie, l’esame complessivo dell’ordinanza consente di affermare che la formale omissione del C., quale parte opponente, è irrilevante, sia perchè la stessa ordinanza manca strutturalmente di una intestazione con la formale e distinta indicazione delle parti e dei loro difensori – quindi, anche dell’altra opponente, Avv. A., sia perchè dalla sua motivazione, complessivamente considerata, risulta agevole individuare l’oggetto del provvedimento opposto e la relativa ratio decidendi, le parti opponenti ed i motivi di opposizione.

4. – Anche il terzo ed il quarto motivo sono infondati.

Quanto alle censure – secondo cui i Giudici a quibus non avrebbero considerato nè che il giudizio di “mala fede” deve essere necessariamente correlato al disposto del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74, comma 2, per il quale l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato è subordinato alla sussistenza del presupposto che le ragioni dell’istante “risultino non manifestamente infondate”, nè che le difese svolte dal difensore del C. nel giudizio di decadenza dello stesso dalla potestà genitoriale erano univocamente volte a dimostrare l’inidoneità a giustificare tale decadenza della sola circostanza della mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento a favore della figlia minore stabilito nel giudizio di separazione dei coniugi, esse non meritano accoglimento.

Al riguardo, va precisato che la revoca del provvedimento di ammissione provvisoria al patrocinio a spese dello Stato disposta dal consiglio dell’ordine degli avvocati (del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 124 e 126) nell’ipotesi, quale quella di specie, in cui “l’interessato ha agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave”, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, comma 2, – è misura di natura esclusivamente sanzionatoria, la cui ratio sta nella sanzione, appunto, dell'”abuso” del beneficio: tale misura, infatti, può essere adottata ex post sulla base dell’esito della lite, sfavorevole alla parte ammessa al patrocinio, e delle risultanze del procedimento, da cui emerga la sussistenza, in capo alla stessa parte, dell’elemento soggettivo (mala fede, come nella specie, o colpa grave) che connota complessivamente l’azione o la resistenza nel giudizio. In particolare, la “mala fede” va ravvisata quando il complessivo comportamento processuale della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato denota la consapevolezza della infondatezza della domanda, delle eccezioni o delle tesi sostenute alla luce della disciplina positiva e della giurisprudenza (cfr., ad esempio, le sentenze nn. 13071 del 2003 e 24645 del 2007, nonchè l’ordinanza n. 3057 del 2009, in tema di responsabilità processuale aggravata, ai sensi dell’analoga disposizione di cui all’art. 96 c.p.c., comma 1).

Nè questa ricostruzione può essere inficiata dal rilievo formulato dai ricorrenti – secondo cui lo stesso D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74, comma 2, assicura il patrocinio al cittadino non abbiente “quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate” (v. anche lo stesso D.P.R. n. 115 del 2002, art. 126, comma 1, che subordina l’ammissione provvisoria al beneficio alla condizione che “le pretese che l’interessato intende far valere non appaiono manifestamente infondate”), per la decisiva ragione che tale argomento “prova troppo” ed è intimamente contraddittorio: opinando come fanno i ricorrenti, infatti, ad eccezione della revoca del beneficio per il sopravvenuto mutamento della situazione reddituale del soggetto ammesso (art. 136 c.p.c., comma 1), la mera “delibazione” preventiva della “non manifesta infondatezza” delle ragioni addotte o delle pretese fatte valere per agire o per resistere in giudizio precluderebbe definitivamente detta revoca per l’azione o la resistenza in giudizio con mala fede o colpa grave, privando in tal modo di contenuto precettivo la richiamata disposizione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, comma 2, ed impedendone tout court la stessa applicabilità.

Nella specie, l’ordinanza impugnata – con il sottolineare che nel procedimento di decadenza dalla potestà genitoriale la decadenza del C. era stata pronunciata “per la dolosa e reiterata inosservanza dell’obbligo al mantenimento impostogli dal Tribunale civile di Barcellona P.G., sanzionata anche in sede penale ai sensi dell’art. 570 c.p. dalla medesima Autorità Giudiziaria”, e che in tale procedimento “il C., per il tramite del difensore, ha formulato una difesa del tutto pretestuosa e fondata su circostanze che le risultanze procedimentali hanno attestato non essere minimamente corrispondenti alle sue reali condizioni” -, ha adeguatamente e correttamente motivato, alla luce delle precedenti considerazioni, le gravi ragioni della riconosciuta sussistenza, in capo allo stesso C., dell’elemento soggettivo della mala fede;

motivazione che inoltre, implicando apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, è insindacabile in sede di legittimità. In ogni caso, la censura a tale motivazione si risolve – a ben vedere – nella inammissibile prospettazione di una diversa valutazione del contenuto delle difese svolte e delle tesi sostenute nel giudizio di decadenza dalla potestà genitoriale.

5. – Al rigetto del terzo e del quarto motivo del ricorso consegue il rigetto del quinto e del sesto motivo: come già dianzi rilevato (cfr., supra, n. 2.1.) infatti, a seguito del decreto di revoca del provvedimento di ammissione del C. al patrocinio a spese dello Stato – il divenuto definitivo in forza della presente sentenza, gli onorari e le spese, dovuti all’Avv. A. per l’opera professionale prestata in favore del C. nel procedimento di revoca dello stesso dalla potestà genitoriale nei confronti della figlia minore Lucia, devono considerarsi spese processuali che vanno anticipate non più dallo Stato, bensì dalla parte che si è avvalsa dell’opera professionale del difensore, secondo il principio dell’onere di anticipazione delle spese di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 8, comma 1. E’, perciò, evidente che non sussiste il vizio di omessa pronuncia sostanzialmente denunciato con i motivi in esame, in quanto al rigetto dell’opposizione, pronunciato dall’ ordinanza impugnata in riferimento alla disposta revoca del provvedimento di ammissione del C. al patrocinio a spese dello Stato, consegue necessariamente – ex lege – l’estinzione del diritto del difensore all’anticipazione di onorari e spese da parte dello Stato.

6. – Non sussistono i presupposti per pronunciare sulle spese del presente grado del giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 14 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2010

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