Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9955 del 05/05/2011

Cassazione civile sez. VI, 05/05/2011, (ud. 07/04/2011, dep. 05/05/2011), n.9955

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 12293/2010 proposto da:

P.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA LEONE IV n. 38, presso lo studio dell’avvocato PAPALIA

Ubaldo, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS), in persona del Presidente del

Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo

studio dell’avvocato FIORILLO Luigi, che la rappresenta e difende,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6854/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

7/10/06, depositata il 06/10/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/04/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO IANNIELLO;

è presente il Procuratore Generale in persona del Dott. RENATO

FINOCCHI GHERSI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

La causa è stata chiamata alla adunanza in Camera di consiglio del 7 aprile 2011 ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione, redatta a norma dell’art. 380 c.p.c.:

“Con ricorso notificato in data 6-7 maggio 2010, P.S. chiede, con tre motivi, relativi alla violazione degli artt. 115 e 116, anche in relazione alla ex L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 3, artt. 112, 113 e 437 c.p.c., art. 2697, in relazione alla L. n. 230 del 1962, art. 3, artt. 1421 e 2729 c.c., art. 1362 c.c., e segg., nonchè al vizio di motivazione, la cassazione della sentenza depositata il 6 ottobre 2009, con la quale la Corte d’appello di Roma ha confermato la decisione di primo grado di rigetto delle sue domande di dichiarazione della nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso con Poste Italiane s.p.a. dal 2 ottobre 2000 al 31 gennaio 2001, ai sensi dell’art. 8 del C.C.N.L. 26 novembre 1994, come integrato dall’accordo nazionale 25 settembre 1997 “per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione degli assetti occupazionali in corso e in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi prodotti e dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”.

La società intimata resiste alle domande con rituale controricorso.

Il procedimento è regolato dall’art. 360 c.p.c., e segg., con le modifiche e integrazioni apportate dalla L. 18 giugno 2009, n. 69.

Il ricorso è manifestamente infondato e va pertanto trattato in Camera di consiglio per essere respinto.

Non è fondata la deduzione di inammissibilità del ricorso per difetto della formulazione dei quesiti, che sarebbero imposti a pena di inammissibilità dall’art. 366 bis c.p.c., in ragione del fatto che tale norma del codice di rito è stata abrogata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), con effetto sui ricorsi per cassazione proposti avverso sentenze pubblicate, come nel caso in esame, in epoca successiva alla data (3 luglio 2009) di entrata in vigore di tale legge.

Con la sentenza impugnata, la Corte territoriale ha rilevato che in primo grado la clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato tra le parti era stata impugnata unicamente per difetto di nesso di causalità tra le esigenze eccezionali enunciate e la singola assunzione ed ha pertanto valutato come tardive, in quanto dedotte unicamente coi motivi di appello, le ulteriori censure secondo cui:

– la contrattazione collettiva avrebbe autorizzato, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23, la stipulazione del termine per la causale indicata unicamente fino al 30 aprile 1998;

– la indicata nuova ipotesi di possibile inserimento di un termine finale al contratto di lavoro sarebbe stata introdotta da un accordo sindacale e non dal contratto collettivo.

Quanto infine alle difese svolte tempestivamente, i giudici hanno confermato la valutazione di infondatezza operata in primo grado.

Col ricorso per cassazione P.S. sostiene che la Corte territoriale ha errato a non pronunciarsi sugli argomenti indicati, ritenendoli tardivamente dedotti, in quanto viceversa essi sarebbero ricompresi nelle difese svolte nel ricorso di primo grado.

Senonchè, la ricorrente non riproduce i passi del proprio ricorso in cui sarebbero sviluppate tali ulteriori causae petendi, in violazione della regola della autosufficienza del ricorso per cassazione (su cui cfr., per tutte, recentemente, Cass. nn. 4201/10, 6937/10, 10605/10 e 11477/10), ribadita e rafforzata dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nel testo risultante dalla novella di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, mentre è evidente che tali difese, determinando un ampliamento del tema decidendum, avrebbero dovuto, nel rispetto del principio del contraddittorio nei due gradi di giudizio, essere tempestivamente svolte già col ricorso introduttivo ex art. 414 c.p.c..

Da ciò deriva l’inammissibilità dei relativi motivi di ricorso.

Inoltre, la difesa della P. ribadisce le proprie iniziali tesi difensive, secondo cui l’ipotesi ulteriore di possibile causa di apposizione di un termine al contratto di lavoro individuata dalle OO.SS. con l’accordo del 1997 sarebbe assolutamente generica, il termine convenuto dalle parti in forza di essa sarebbe comunque nullo per difetto di uno specifico nesso causale tra le esigenze indicate e la singola assunzione e comunque la società non avrebbe assolto all’onere probatorio su di essa gravante anche quanto alla sussistenza in concreto delle suddette esigenze.

Tali tesi difensive sono manifestamente infondate.

Questa Corte ha infatti da tempo definitivamente chiarito (cfr. Cass. S.U. n. 4588/06 e le successive conformi della sezione lavoro, tra le quali, recentemente, ad es., Cass. n. 6913/09) che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, ha operato una sorta di “delega in bianco” alla contrattazione collettiva ivi considerata quanto alla individuazione di ipotesi ulteriori di legittima apposizione di un termine al rapporto di lavoro, sottratte pertanto a vincoli di conformazione derivanti dalla L. n. 230 del 1962, e soggette, di per sè, unicamente ai limiti e condizionamenti contrattualmente stabiliti.

Siffatta individuazione di ipotesi aggiuntive può essere operata anche direttamente, attraverso l’accertamento da parte dei contraenti collettivi di determinate situazioni di fatto e la valutazione delle stesse come idonea causale del contratto a termine (cfr., ad es., Cass. 20 aprile 2006 n. 9245 e 4 agosto 2008 n. 21063), senza necessità di un accertamento a posteriori in ordine alla effettività delle stesse.

Quanto al tipo di contrattazione collettiva autorizzata a tale ampliamento, la citata L. n. 56, art. 23, si esprime in termini di “apposizione di un termine… consentita nelle ipotesi individuate nei contratti collettivi di lavoro stipulati con i sindacati nazionali o locali aderenti alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale”.

La legge, come è evidente dal tenore letterale della stessa e dalla relativa ratio (che è quella di affidare a organizzazioni sindacali ampiamente rappresentative – ma non necessariamente col concorso di tutte – la valutazione di ipotesi di apposizione del termine che costituiscano una mediazione apprezzabile rispetto agli interessi coinvolti) non distingue a seconda che si tratti di un contratto collettivo stipulato ad hoc oppure in occasione dei periodici rinnovi della disciplina collettiva dei rapporti di lavoro a livello nazionale ed eventualmente locale.

Nell’esercizio dei poteri attribuiti dalla norma di legge indicata, è stato stipulato, nel settore del lavoro presso le Poste Italiane, l’accordo collettivo nazionale del 25 settembre 1997, che la giurisprudenza di merito ormai consolidata, ritenuta incensurabile nelle numerosissime occasioni in cui è stata sottoposta al controllo di questa Corte – e oggi confermata in sede di diretta conoscenza di tali norme contrattuali da parte del giudice di legittimità, interpreta nel senso che esso individui nelle “esigenze eccezionali… etc.” ivi indicate – e coincidenti con quelle enunciate nel contratto individuale tra le parti – una situazione concretamente accertata come legittimante l’apposizione di un termine al contratto di lavoro nei limiti numerici complessivi stabiliti in osservanza della L. n. 56 del 1987.

Poichè anche la sentenza impugnata si è associata a tale valutazione di fatto, essa ha conseguentemente correttamente ritenuto la non necessità di un autonomo accertamento a posteriori, in giudizio, della effettività di tali esigenze e del loro collegamento causale con la singola assunzione.

Il relatore propone pertanto di dare continuità all’orientamento giurisprudenziale indicato, comportante la manifesta infondatezza delle censure in esame.

Sono seguite le rituali comunicazione e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.

Il Collegio condivide il contenuto della relazione, in particolare quanto alle questioni di diritto decise dalla sentenza impugnata in conformità alla giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte, che i motivi di ricorso non appaiono idonei a mutare.

Il ricorso va pertanto respinto, con la condanna della ricorrente a rimborsare alla società le spese di questo giudizio di cassazione, secondo le liquidazione fattane in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare alla società le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 30,00 per esborsi ed Euro 2.500,00, oltre accessori di legge, per onorari.

Così deciso in Roma, il 7 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2011

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