Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9954 del 08/05/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 9954 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: ARIENZO ROSA

SENTENZA

sul ricorso 668-2008 proposto da:
SQUILLONI DANIO C.F. SQLDDN71Al2D612A, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA NICOTERA 29, presso lo studio
dell’avvocato ALLOCCA GIORGIO, che lo rappresenta e
difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2014
651

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, AZIENDA
SANITARIA DI FIRENZE;
– intimati nonchè contro

Data pubblicazione: 08/05/2014

,

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE C.F.

80078750587,

in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso l’Avvocatura
, Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

GIOVANNA, VALENTE NICOLA, giusta delega in calce alla
copia notificata del ricorso;

resistente con mandato

avverso la sentenza n. 754/2007 della CORTE D’APPELLO
di FIRENZE, depositata il 20/06/2007 R.G.N. 490/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 25/02/2014 dal Consigliere Dott. ROSA
ARIENZO;
udito l’Avvocato ALLOCCA GIORGIO;
udito l’Avvocato PREDEN SERGIO per delega verbale PULLI
CLEMENTINA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per
inammissibilità o in subordine rigetto.

avvocati RICCIO ALESSANDRO, PULLI CLEMENTINA, BIONDI

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 20.6.2007, la Corte di appello di Firenze, in parziale accoglimento del
gravame proposto da Squilloni Danio avverso la decisione di prime cure che aveva
dichiarato inammissibile, per intervenuta decadenza ex art. 47 d.P.R. 639/1970, la
domanda del predetto, condannava l’INPS alla corresponsione della pensione di
sordomutismo e dell’indennità di comunicazione, con decorrenza dal 1.1.2004, rilevando

che non era condivisibile quanto affermato dal primo giudice in ordine all’applicabilità al
caso esaminato dell’art. 47 d.P.R. 639T70, norma riguardante la decadenza per prestazioni
di tipo previdenziale ed in quanto di stretta interpretazione non estensibile alle prestazioni
di natura assistenziale. Riteneva, poi, che non potesse essere presa in considerazione la
domanda del 1996, che doveva ritenersi rinunciata da parte dell’assistito, per non avere lo
stesso avanzato alcuna contestazione avverso la motivazione di diniego e per avere
proposto nuova domanda il 31.12.2003, con ciò manifestando la volontà inequivoca di non
far valere il suo diritto con riferimento alla prima richiesta. Quanto al merito, osservava
che la c.t.u. aveva acclarato che la sordità, che aveva impedito il normale apprendimento
del linguaggio parlato, e la ipoacusia, che davano luogo all’indennità di comunicazione,
sussistessero sin dall’età di 7 anni dell’assistito, ma che le prestazioni potevano essere
riconosciute solo dal 1.1.2004, primo giorno successivo a quello della domanda.
Ricorre lo Squilloni, con unico motivo di impugnazione.
Il Ministero dell’Economia e Finanze è rimasto intimato, mentre l’INPS ha rilasciato delega
in calce al ricorso notificato.
MITIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di impugnazione, lo Squilloni denunzia, ai sensi dell’art. 360, n. 3,
c.p.c., violazione ed erronea interpretazione dell’art. 443 c.p.c. e dell’art. 8 della legge
11.8.1973, n. 533, con riferimento alla ritenuta “acquiescenza” al provvedimento di diniego
e, con specifico quesito di diritto, domanda se, in relazione al caso controverso, l’omessa
presentazione di gravame amministrativo avverso il diniego di un beneficio e l’avere
presentato una ulteriore domanda per il riconoscimento dello stato di sordomutismo
implichino acquiescenza, alla luce dell’art. 443 c.p.c. e dell’art. 8 I. 533/73.

i

Il ricorso va dichiarato inammissibile, posto che, con la doglianza proposta, ai sensi
dell’art. 360, n. 3, c.p.c., come violazione e falsa applicazione di legge, si tende nella
sostanza a censurare aspetti valutativi contenuti nella decisione impugnata con riguardo
alla ritenuta acquiescenza al prowedimento di diniego espresso in sede amministrativa in
ordine alla domanda di benefici assistenziali proposta nel 1996. Il comportamento
concludente del ricorrente è stato desunto, oltre che in base alla circostanza che nessun
anche in forza dell’ ulteriore considerazione che la presentazione di autonoma e
successiva domanda, che evidentemente non poneva richiamo alla precedente, doveva
essere interpretata come abbandono di quella avanzata per una prestazione avente
decorrenza anteriore a quella consentita dalla presentazione dell’istanza del 2003.
Questa Corte ha osservato come, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di
legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento
impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica
necessariamente un problema interpretativo della stessa, laddove, viceversa, l’allegazione
di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è
esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del
giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di
motivazione (cfr. Cass. 16.7.2010 n. 16698). E’ stato anche evidenziato come il discrimine
tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea
ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, owero erronea applicazione della legge in
ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato
dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata
valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass. 16698/10 cit.).
Deve pure considerarsi che, in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione,
ove la censura della parte, pur formalmente diretta a denunciare la violazione delle norme
di diritto, sia intesa a contestare la motivazione della sentenza, valutata come carente per
non aver tratto dalle risultanze istruttorie i significati ritenuti evidenti o, comunque,
desumibili, la formulazione del quesito di diritto – che si riduca alla mera istanza di una
decisione in ordine all’esistenza di una “regula iuris” da applicare nel caso concreto – non
si traduce nell’inammissibilità del motivo di ricorso per violazione dell’art. 366-bis cod.
proc. civ. per mancata indicazione dell’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice

2

ricorso era stato avanzato in sede amministrativa avverso il diniego espresso dalla P.A.,

di merito e correlata omessa prospettazione, da parte del ricorrente, della regola da
applicare, appuntandosi la contestazione esclusivamente sui modi con i quali il giudice di
merito ha proceduto alla valutazione del fatto e delle prove (cfr. Cass. 21.4.2009 n. 9477).
Tuttavia, nella specie il motivo va dichiarato pur sempre inammissibile in quanto, come
. affermato da questa Corte, il ricorso per cassazione, con il quale si facciano valere vizi di
motivazione della sentenza, impugnata a norma dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., deve
motivo pone il requisito della specificità sanzionandone il difetto – la precisa indicazione di
carenze o lacune nelle argomentazioni sulle quali si basano la decisione o il capo di essa
censurato, ovvero la specificazione d’illogicità, consistenti nell’attribuire agli elementi di
giudizio considerati un significato fuori dal senso comune, od ancora la mancanza di
coerenza fra le varie ragioni esposte, quindi l’assoluta incompatibilità razionale degli
argomenti e l’insanabile contrasto degli stessi. Ond’è che risulta inidoneo allo scopo il far
valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito
all’opinione che di essi abbia la parte ed, in particolare, il prospettare un soggettivo
preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali
aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di
prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai
possibili vizi dellmiter” formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma in
esame. Diversamente, si risolverebbe il motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 n.5
cod. proc. civ. in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate ed, in
base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal giudice del merito (cfr. Cass. 23.5.2007 n.
12052, Cass. 30.3.2007 n. 7972).
Le considerazioni esposte rendono evidente l’indicato profilo di inammissibilità del ricorso.
Le spese del presente giudizio, limitate all’attività difensiva svolta dall’INPS in udienza,
sono liquidate come da dispositivo e cedono a carico del ricorrente, per il principio della
soccombenza.
Nulla va statuito sulle spese nei riguardi del M.E.F., che è rimasto intimato.
P.Q.M.

3

contenere – in ossequio al disposto dell’art. 366 n.4 cod. proc. civ., che per ogni tipo di

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio, liquidate, in favore dell’INPS, in euro 50,00 per esborsi ed in
euro 1.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
‘ Nulla per spese nei confronti del Ministero dell’Economia e Finanze.

Così deciso in ROMA, il 25.2.2014

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